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  • Lamborghini ibrida, un’auto da corsa per due campionati. Ecco la storia completa

    Lamborghini che diventa ibrida e si elettrifica. Non solo per le auto di serie, ma anche per le auto da corsa. E che auto da corsa. La casa di Sant’Agata Bolognese ha infatti annunciato che nel 2024 costruirà una LMDh, ovvero un prototipo capace di gareggiare sia nel WEC sia nell’IMSA, i due campionati di durata più importanti al mondo, nelle rispettive massime classi: Hypercar e GTP.

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    Alla larga dalla pista

    Tante novità in una dunque per un costruttore che, per tradizione si è sempre tenuto alla larga, almeno fino a quando il fondatore è stato in sella. Ferruccio Lamborghini si rifiutò sempre categoricamente di scendere in pista, pur facendo una delle auto più veloci di allora e tra le più belle della storia: la Miura. Eppure tra i suoi creatori c’era Gian Paolo Dallara, uno dei più grandi progettisti di auto da corsa di tutti i tempi.

    Ammutinamento o test di sviluppo?

    Eppure qualcuno che tentò di fare una Miura da corsa ci fu. All’interno la chiamavano tutti Jota (alla spagnola, come tutti i nomi delle Lamborghini) dalla lettera J, la voce che all’interno dei regolamenti FIA regola la trasformazione di un modello di serie in auto da competizione. Qualcuno racconta che fu un ammutinamento e, una volta scoperto dallo stesso Ferruccio, fu sedato senza pietà.

     La lettera J sta per Jota

    Qualcuno invece dice che fu fatto semplicemente per sviluppare soluzioni da applicare sulla Miura stradale. Fatto sta che il suo V12 di 3.929 cc aveva una potenza salita da 350 cv a 440 cv, la struttura era stata alleggerita e vi erano alcune modifiche aerodinamiche, come i fari a bolla al posto di quelli a sollevamento, contornati da deviatori per alleviare la portanza aerodinamica sull’assale anteriore.

    Ricostruzione filologica

    La Jota fu rivenduta poi ad un cliente privato che la distrusse in un incidente. Alcune delle specifiche Jota furono tuttavia applicate ad alcune Miura. A quei tempi le regole di omologazione non erano certo complicate come quelle odierne. L’allora collaudatore della Lamborghini, Bob Wallace, aiutò successivamente un collezionista a ricostruirne un esemplare fedele.

    Una Lambo da rally? Poteva accadere

    Il nome Jota sarebbe stato poi resuscitato nel 2018 per denominare alcune versioni come la Diablo Jota e la Aventador SVJ. SV sono due lettere magiche di Lamborghini e stanno per Super Veloce. Wallace creò nei primi anni ’70 persino due derivativi da rally della Jarama e delle Urraco, ma senza riuscire a portarli mai in gara. Nel 1968 aveva anche aiutato i piloti Gerhard Mitter e Marcello Gallo a preparare una Miura SV per la Preis der Nationen di Hockenheim, ma senza ottenere la qualificazione.

    Il destino tra la Islero e Le Mans

    Eppure nel 1975 una Lamborghini arrivò a tanto così dal debutto in gara. Una Islero GT400 fu infatti iscritta alla 24 Ore di Le Mans. Il pilota francese Paul Rilly aveva acquistato dalla concessionaria Garage Europ Sport il primo esemplare arrivato in Francia nel 1968 e si era messo in mente di correre con una Lamborghini. Rilly si rivolse dunque alla Garage Thépenier, allora importatore Lamborghini d’Oltralpe per avere l’aiuto tecnico della casa madre.

    Diniego con prestito

    Il titolare Jean Thépenier riuscì a far avere a Rilly un appuntamento a Sant’Agata Bolognese con Ubaldo Sgarzi, braccio destro di Ferruccio Lamborghini e direttore commerciale dell’azienda. Il pilota francese voleva un’auto per correre, ma gli fu opposto un no deciso, come da politica aziendale. L’unica cosa che riuscì ad ottenere fu un kit di freni potenziati e sospensioni ribassate per la sua Islero. E neppure a buon mercato: erano un prestito, con un deposito di 15.000 franchi.

    Il gran rifiuto e l’opportunità

    La Islero guidata da Rilly e del suo compagno Roger Levéve non riuscì a qualificarsi. Non era però riuscita a qualificarsi anche una delle Ferrari nel team NART (North American Racing Team) di Luigi Chinetti, personaggio potentissimo e rispettato. Da pilota infatti aveva vinto tre edizioni della Le Mans e una con il suo team nel 1965, l’ultima assoluta conquistata da una Ferrari alla corsa francese. Era inoltre importatore del Cavallino negli Usa. Chinetti chiese allora di ammettere comunque le sue vetture, ma trovando l’irremovibilità dell’Aco, per protesta ritirò tutte le vetture.

    Se ci fossero stati gli smartphone…

    I giudici di gara decisero allora di riammettere in griglia la Islero di Rilly. Lui però se n’era già andato e provarono più volte a chiamarlo a casa, ma non rispose nessuno. Quando riuscirono a parlare con lui, era già sabato e non ce l’avrebbe fatta a tornare a Le Mans per essere in griglia. Per vedere a Le Mans un’altra Lamborghini ci sarebbero voluti altri 31 anni: fu la Murciélago GT-R del team Japan Lamborghini Ownership Club Isao Noritake preparata dalla Reiter Engineering insieme ad Audi, diventata proprietaria del Toro nel 1998.

    La prima Lambo per Le Mans è giapponese

    I piloti erano Marco Apicella, Yasutaka Hinoi e Kouji Yamanishi. Si arrese dopo 283 giri. L’anno dopo ci riprovarono: stesso team e stessa macchina, ma in prova Apicella ebbe un’incidente. La squadra lavorò tutta la notte per rimettere a posto la Murciélago. E ce la fecero, ma dopo un solo giro, l’auto si fermò con il cambio rotto. Fu quello l’anno del debutto con vittoria del Diesel alla 24 Ore più famosa del mondo con l’Audi. La JLOC si prese tuttavia la soddisfazione di vincere il campionato Asian Le Mans Series.

    La Countach QVX di Gruppo C

    Eppure non doveva essere neppure questo il primo atto di Lamborghini nelle corse di durata. Nel 1985, sotto la proprietà dei fratelli francesi Patrick e Jean-Claude Mirman, iniziata nel 1981, l’importatore britannico David Jolliffe ebbe l’idea di fare un prototipo di Gruppo C passato alla storia come Countach QVX. Il motore, derivato da quello da 5,2 litri della Countach Quattrovalvole con testata a 32 valvole – da qui la sigla QV – fu messo nelle mani di Luigi Marmiroli, nome celebre nella storia del motorismo.

    Tante speranze e pochi soldi

    Il telaio fu affidato invece alla Spice Engineering. I piloti chiamati a sviluppare il progetto furono Mauro Baldi e Tiff Needell, diventato poi famoso come personaggio televisivo di Top Gear. La vettura fu esposta a Le Mans nel 1986 e fu iscritta a 7 corse, ma ne fece solo una: la Southern 500 Sun di Kyalami. In qualifica segnò il 7° tempo, confermandosi in gara 1 e migliorandosi al 5° posto in gara 2. Dunque, un buon potenziale, ma pochi sponsor. Per questo il progetto naufragò ben presto, anzi non salpò mai davvero.

    Il sogno italiano di Lee

    Lamborghini nel 1987 passò alla Chrysler. Il suo presidente Lee Iacocca era lo stesso che aveva convinto Henry Ford II agli inizi degli anni ’60 a comprare la Ferrari per correre. Non essendoci riuscita, la Ford costruì la GT40 che vince la 24 Ore di Le Mans per 4 anni consecutivi dal 1966 al 1969. Acquistando la casa del Toro, Iacocca coronava il sogno di prendersi un grande marchio sportivo italiano per farne la punta di diamante del gruppo in termini di tecnologia e di immagine.

    V12 anche per la Formula 1

    In quegli anni la Lamborghini apre un reparto denominato Lamborghini Engineering e lo affida a Mauro Forghieri. L’ex ingegnere Ferrari sviluppa un motore di Formula 1 denominato LE3512: 35 per la cilindrata di 3,5 litri e 12 sono i cilindri a V. Equipaggiò monoposto Larrousse, Lotus, Ligier, Minardi e persino una Lamborghini affidata al Modena Team. Anche la McLaren lo provò e lo stesso Ayrton Senna ne rimase impressionato, ma la squadra inglese preferì il motore Peugeot. Fu dunque accantonato nel 1993.

    La Squadra Corse fa venire l’appetito

    Solo con Audi, la Lamborghini si struttura in modo stabile per le competizioni con la Squadra Corse e un programma di vetture per i clienti per i campionati GT. Da allora, prima con Gallardo e poi Huracàn, ha vinto oltre 40 titoli, si è imposta due volte alla 12 Ore di Sebring e tre volte alla 24 Ore di Daytona. Nel 2019 per la prima volta, l’allora ceo Stefano Domenicali ammette che il Toro sta pensando ad una LMH (Le Mans Hypercar). Nel 2020, Domenicali diventa ceo della Formula 1 e torna Stephan Winkelmann.

    Audi ci ripensa e il Toro incorna

    Il manager tedesco, che aveva già occupato quel posto dal 2005 al 2016 prima di andare in Audi Sport e in Bugatti, vuole fare invece una LMDh (Le Mans Daytona hybrid). Le voci di un annuncio sono sempre più insistenti fino a quando Audi e Porsche comunicano di voler fare una LMDh. Il sogno di Lamborghini sembra ancora una volta infranto, stavolta contro logiche di gruppo. Ed invece Audi a marzo congela il programma e tornano le voci che, finalmente, diventano l’annuncio ufficiale del 17 maggio scorso.

    Iniziare per gradi

    Il responsabile sportivo del progetto è Giorgio Sanna, ex pilota e collaudatore a capo di una struttura che conta 50 persone. Il riferimento tecnico è Maurizio Reggiani, che da poco ha lasciato il suo posto decennale di responsabile prodotto e si è scelto la migliore delle pensioni possibili. L’obiettivo è correre con un’unica squadra sia nel WEC sia nell’IMSA, ma non direttamente e per gradi. Solo successivamente sarà approntato un programma per clienti, simile a quello per le GT.

    La parte elettrica è standard

    L’unica caratteristica tecnica nota è che il motore termico sarà un V8 sovralimentato. La parte ibrida sarà standard per tutte le LMDh: trasmissione Xtrac, batteria Williams Engineering (stesso fornitore della Formula E) e motore elettrico Bosch con potenza di 50 KW in tiro e di 200 kW in rilascio. Per regolamento, la potenza del sistema è di 500 kW e il peso è di 1.030 kg, ma entrambe le grandezze sono soggette al BoP.

    LMH e LMDh, un confronto… bilanciato

    BoP sta per Balance of Performance e serve a creare equilibrio in gara. Servirà anche a creare equilibrio anche con le LMH vetture che fanno parte delle stesse categorie e hanno potenza identica, ma il motore elettrico (che può anche non esserci) ha 200 kW, sia in tiro sia in rilascio, è collegato alle ruote anteriori e può entrare in azione solo dopo i 120 km/h (ma anche qui il BoP può variare la soglia). Il peso è identico, ma nettamente diverso è il discorso del corpo vettura.

    Un poker di telai

    Per le LMH infatti la scocca è fatta dal costruttore stesso. Vi hanno optato: Toyota e Glickenhaus, dal 2023 sono in arrivo Peugeot, ByKolles-Vanwall e soprattutto Ferrari. Per le LMDh vi sono quattro telai standard. Alpine e Acura hanno scelto Oreca, Porsche avrà Multimatic, BMW e Cadillac hanno optato per Dallara. Logica vorrebbe che fosse quest’ultimo ad essere scelto da Lamborghini per due ottime ragioni: la consaguineità emiliana (la Dallara è a Varano de’ Melegari, in provincia di Parma) e il legame storico con Gian Paolo Dallara, progettista della Miura.

    La quarta scelta

    Le voci invece parlando di Ligier, la quarta scelta prevista da regolamento. Anche in questo caso, si tratterebbe di un ritorno vista la collaborazione nel 1991 per la monoposto JS35 spinta dal motore LE3512. La conferma ufficiale dovrebbe arrivare a settimane. La prima LMDh a girare in pista è stata la Porsche, la Acura (prima casa ad aderire al nuovo regolamento) ha già fatto vedere la ARX-06 camuffata, la BMW la sua M Hybrid V8, la Cadillac è attesa per il 9 giugno. L’Alpine, come la Lamborghini, arriverà nel 2024.

    Basta uno sguardo

    L’elemento che spicca sin dalle prime immagini è la riconoscibilità dei prototipi. Nonostante siano basati su telai standard e il primo criterio per una vettura da corsa sia funzionale, è davvero impressionante come la BMW sembri una BMW con il suo grande doppio rene, la Cadillac presenti i fari anteriori triangolari come gli ultimi modelli, la Porsche le immancabili quattro luci e i gruppi ottici della Acura ricordino la NSX.

    Più marketing che tecnica

    Il primo bozzetto fornito da Lamborghini rimanda direttamente alla Murciélago e alla Huracàn. Dobbiamo ricordare che anche sulla QVX i fari posteriori erano quelli della Countach di serie. Elementi che evidenziano due fenomeni. Il primo è che l’ibrido è un elemento fondante dell’automobile. Il secondo è che le competizioni, più che in passato, rappresentano un veicolo di marketing più che un campo di sviluppo. Lo dimostra la standardizzazione di componenti fondamentali, così come avviene per la Formula E e il WRC.

    Parlare con la lingua dei trionfi

    Ma questo non impedirà comunque di mantenere un legame forte tra competizioni e sviluppo. Le parti elettriche standard sono infatti realizzate da grandi fornitori, pronti a restituire all’industria tutto quello che hanno appreso. Le case potranno concentrarsi sull’integrazione dei sistemi ibridi e sul software, arma di differenziazione sempre più importante insieme allo stile. Quel che conta è che le regole siano uguali per tutti e permettano a chi è più bravo a farsi riconoscere con l’arma di comunicazione più potente: la vittoria.

    L’ibrido per camminare e per correre

    Lamborghini per decenni non vi ha mai creduto, ma col tempo ne ha sperimentato il potere, anche in termini di business. Le auto da corsa infatti si vendono, presso i cosiddetti gentleman driver che, a suon di moneta pesante, giocano in pista con una tecnologia che 25 anni fa sembrava solo un gioco da tavoli per tecnofili: l’ibrido.

  • Lamborghini, 1,5 miliardi per Direzione Cor Tauri e ridurre le emissioni del 50% nel 2025

    Lamborghini investirà 1,5 miliardi di euro per l’elettrificazione e per ridurre le emissioni di CO2 del 50% entro il 2025. Il piano si chiama Direzione Cor Tauri ed è stato presentato da Stephan Winkelmann. Il tedesco è tornato al timone della casa di Sant’Agata recentemente e si è ripreso la poltrona occupata dal 2005 al 2016. Allo stesso tempo, ha mantenuto la carica di amministratore delegato di Bugatti.

    Lamborghini Direzione Cor Tauri
    Partiti da lontano

    Il piano prevede un approccio olistico, iniziato in verità già dal 2015 con la certificazione carbon neutral dello stabilimento. Quanto al lancio dei prodotti, arriveranno due supersportive ibride a partire dal 2023 e l’elettrificazione di tutta la gamma avverrà entro il 2024. L’utilizzo ancora più ampio della fibra di carbonio permetterà di ridurre il peso.

    Lamborghini Direzione Cor Tauri
    Mette la spina

    Per ibrido, si intende ibrido plug-in. Non avrà dunque seguito il sistema autoricaricabile a supercondensatori della Siàn. Winkelmann ha tuttavia assicurato che avrà un impatto limitato sulla massa complessiva della vettura, garantirà un rapporto peso/potenza uguale o migliore rispetto ad ora e un’elevatissima capacità di carica.

    Leggi l’articolo sulla Lamborghini Siàn, l’elettrificazione del Toro arriverà in un lampo

    Lamborghini Sian
    I rapporti migliori

    Trova conferma quanto detto nel settembre del 2019 da Maurizio Reggiani, direttore tecnico di Lamborghini. Presumibilmente, la prima supersportiva ibrida plug-in sarà l’erede della Aventador con motore V12 seguita dall’epigona della Huracàn. Resta da vedere quanto il sistema della Urus si distinguerà da quelli di altri modelli del gruppo Volkswagen basati sulla stessa piattaforma.

    Lamborghini V12 Miura
    Ibrida in tutto, probabilmente

    Resta in ogni caso da vedere quale sarà lo schema ibrido e la tecnologia della batteria. Lamborghini sta studiando da tempo con il MIT accumulatori che sfruttano la fibra di carbonio, le nanotecnologie e l’integrazione tra batteria e supercondensatore. Le batterie ibride, oggetto di attenzione anche da parte di Tesla uniscono, in teoria, il meglio di due mondi: la densità e l’erogazione di potenza del supercondensatore (vd. sportività) insieme alla densità e alla tenuta dell’energia della batteria (vd. autonomia).

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    Lamborghini supercondensatori
    La quarta sarà elettrica

    Nella seconda metà del decennio arriverà il quarto modello. Non sarà né una coupé 4 posti come il concept Estoque né una GT 2+2 come la Asterion. Ma una cosa è sicura: sarà elettrico. Eppure non sarà neppure come la Terzo Millennio, ipersportiva con 4 motori realizzata nel 2017 in collaborazione del MIT.

    Lamborghini MIT
    Posizione di guida rialzata

    Come sarà allora l’elettrica di Lamborghini? Nel documento Direzione Cor Tauri non ve n’è traccia visiva. Winkelmann la definisce “una supersportiva del suo segmento”, e aggiunge: avrà una seduta rialzata e sarà una vettura di uso quotidiano. Sarà dunque un crossover? La sua risposta: è una delle ipotesi, sarà sicuramente un’auto che non esiste sul mercato.

    Lamborghini Asterion
    Base comune

    Presunzione a parte, la Lamborghini elettrica sfrutterà verosimilmente le risorse del gruppo. Tre le ipotesi per la piattaforma: la PPE (Premium Platform Electric), un’evoluzione della J1 (Taycan e E-Tron GT) o una derivazione del progetto Artemis che Audi (cui Lamborghini fa capo) sta portando avanti.

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    Lamborghini Direzione Cor Tauri
    La sintesi offerta dai carburanti

    Lamborghini guarda anche ad un’altra prospettiva per ridurre le emissioni: i carburanti. Winkelmann è chiaro al proposito: se le benzine sintetiche ci porteranno gli stessi risultati delle batterie, saremo i primi a continuare con i motori a scoppio. Anche Porsche guarda a questa prospettiva e, mentre punta ad avere l’80% della gamma elettrica nel 2030, vuole mantenere i pistoni per le sue sportive (911 e 718).

    Lamborghini Estoque
    Un altro giro per pensare

    Per valutare e decidere, c’è tutto il tempo. Il prossimo ciclo di prodotto infatti sarà ibrido e avrà ancora al centro il motore a scoppio. Il numero uno di Lamborghini non pensa solo pro domo sua e ai carburanti sintetici in chiave difensiva dei valori tradizionali dell’automobile. Pensa anzi che siano una soluzione utile anche per le vetture piccole, dove il costo dell’elettrico è e rimarrà un problema anche nel futuro.

    Lamborghini Terzo Millenno
    Ibride anche le competizioni

    Il piano non cita le competizioni. Il fondatore Ferruccio Lamborghini avversava le corse. Il collaudatore Bob Wallace sviluppò nel 1970 una Miura pronta per la pista. Fu chiamata Jota come il capitolo del regolamento FIA che fissa le regole per omologare auto da competizione. Lamborghini però lo fermò. In tempi recenti molto è cambiato, non solo per ragioni di immagine, ma anche di business.

    Lamborghini Miura Jota
    Opportunità in pista

    Le Huracàn vendute ai team clienti corrono e vincono nei vari campionati GT e c’è il Super Trofeo monomarca. L’ex ad Stefano Domenicali aveva affermato che Lamborghini guardava con interesse al regolamento LMH (Le Mans Hypercar). Più recentemente, il responsabile di Lamborghini Motorsport, Giorgio Sanna, ha dichiarato la propensione verso le LMDh (Le Mans Daytona hybrid).

    Giorgio Sanna Lamborghini
    Due soluzioni, ibride entrambe

    Entrambe le classi sono ibride, anche se in modo differente. Nella prima l’ibrido è realizzato con un motore elettrico anteriore, la trazione è integrale e l’intera vettura è realizzata dal costruttore. Nella seconda il telaio e il modulo ibrido sono standard, la trazione è solo posteriore e le vetture possono essere anche cedute a team clienti. E proprio questo fattore potrebbe essere decisivo per la scelta finale. Direzione Cor Tauri anche stavolta.

    Lamborghini Huracàn
  • Lamborghini Siàn, l’elettrificazione del Toro arriverà in un lampo

    La prima ibrida di Lamborghini è un lampo, un Siàn, come si dice a Bologna. Ed è un’auto in serie limitata che sarà prodotta in 63 esemplari, come l’anno in cui la casa del Toro è stata fondata. Naturalmente, visto il prezzo di realizzo di 2,5 milioni di euro, sono andati già tutti venduti. Ma la Siàn è preziosa per il suo pacchetto tecnico che potrebbe prefigurare l’erede della Aventador.

    Maurzio Reggiani
    L’ibrido leggero e sportivo

    «Sarà sicuramente un’auto PHEV – afferma Maurizio Reggiani (foto sopra), capo dello sviluppo tecnico di Lamborghini dal 2006 – e oggi stiamo definendo quale può essere la batteria migliore o la combinazione migliore tra gli accumulatori che si possano avere». La Siàn ha un sistema ibrido composto dal V12 6.5 della Aventador SVJ potenziato da 770 cv a 785 cv, da un motore elettrico da 34 cv (25 kW) e da un supercondensatore (o supercapacitor) a 48 Volt alloggiato in una scatola di carbonio posizionata dietro il parafiamma, tra l’abitacolo e il vano motore. La parte elettrica pesa 34 kg, dunque l’ibridizzazione ha un rapporto peso/potenza pari ad 1, la metà delle migliori supersportive. Il motore elettrico è montato all’interno del cambio, direttamente sull’albero secondario, dopo la frizione e prima del sistema di trazione integrale. L’inverter è integrato nella trasmissione.

    Lamborghini V12 ordine di scoppio

    La docilità delle emissioni zero

    La potenza totale è di 819 cv per prestazioni da sogno (oltre 350 km/h, meno di 2,8 s. per lo 0-100 km/h), ma in Lamborghini hanno pensato di più alla loro percepibilità. Il motore elettrico infatti agisce fino a 130 km/h e la sua azione è evidente nella risposta e in ripresa. In terza, quarta e quinta, il motore elettrico aumenta la coppia totale del 10%; in sesta e settima del 20%. Nel passaggio 30-60 km/h in terza, la Siàn è più veloce di 2 decimi, da 70 a 120 km/h in sesta guadagna 1,2 secondi. Se il guidatore sceglie la modalità di guida Comfort, il motore elettrico “riempie” i passaggi di marcia rendendoli più fluidi. Nelle modalità Sport e Corsa, fornisce invece il massimo della spinta. Nelle manovre a bassissima velocità e in retromarcia, fa tutto ad emissioni zero aumentando la docilità della vettura. È la prima volta che un ibrido a supercondensatore alimenta direttamente la catena cinematica.

    Tutte le delizie del supercondensatore

    La Lamborghini utilizza dal 2017 sull’Aventador un supercondensatore a 12 Volt al posto della batteria. In passato, la Mazda ha usato questo tipo di accumulatore per alimentare i servizi di bordo, PSA e Cadillac per il sistema stop&start. La Toyota lo ha utilizzato sulla Supra HV-R, vincitrice della 24 Ore di Tokachi nel 2007, nel WEC tra il 2012 e il 2015 sulle TS030 (foto sotto) e TS040 e sul concept Toyota Hybrid-R con un 1.6 turbo e 3 motori elettrici da 420 cv presentata a Francoforte nel 2013. Rispetto alla batteria agli ioni di litio, il supercondensatore ha una densità di potenza 8 volte superiore (2.400 W/kg contro 300 W/kg) erogandola in modo più veloce e in modo perfettamente simmetrico sia in erogazione sia in ricarica. Inoltre resiste a milioni di cicli di ricarica. Tra i contro: la densità di energia inferiore, la tenuta della carica e il costo elevato.

    toyota-ts030-hybrid

    Due sentieri, una destinazione

    Per quest’ultimo capitolo, Reggiani è ottimista e parla con cognizione. «Quando due anni fa abbiamo cominciato la nostra collaborazione con il MIT, abbiamo inaugurato due laboratori: uno sulle nanontecnologie per lo storage dell’energia nel carbonio e l’altro sui supercapacitor». A Sant’Agata dunque i sogni sono due: fare una batteria in carbonio (magari integrandola nella scocca) e un supercondensatore che abbia un rapporto vantaggioso tra capacità, costo, peso e ingombri. E il terzo sogno magari è di integrarle in un unico sistema: la batteria ricaricabile sarebbe il serbatoio di energia principale mentre il supercondensatore assicurerebbe potenza, reattività e, facendo da tampone, la possibilità di recuperare più energia di quanto concesso dai sistemi attuali. L’idea non è nuova visto che Suzuki ci stava lavorando tempo fa.

    Lamborghini Terzo Millennio

    Le promesse da mantenere

    E che i supercondensatori abbiano un futuro non lo pensa solo Lamborghini. Nel maggio scorso Tesla ha acquistato per 235 milioni di dollari la Maxwell, leader mondiale delle celle per supercondensatori. Sono Maxwell anche le celle degli accumulatori Continental che equipaggiano la Aventador e – presumibilmente – anche quelle della Siàn. E che il Toro tenga d’occhio entrambe le tecnologie per la propria strategia di elettrificazione lo dimostrano due concept. Il primo è la LPI 910-4 Asterion (foto sotto), un’ibrida plug-in con motore V10, 3 elettrici e batteria agli ioni di litio da 910 cv presentata al Salone di Parigi del 2014. Il secondo è la Terzo Millennio (foto sopra), presentata proprio in occasione dell’inaugurazione dei laboratori Lamborghini al MIT: ha 4 motori elettrici, direttamente calettati sulle ruote alimentati da supercondensatori.

    Lamborghini LPI 910-4 Asterion

    Aspettando la svolta

    Dunque quale sarà la scelta finale della Lamborghini per la erede della Aventador? «È una partita a poker con la tecnologia. Se oggi guardiamo lo stato dell’arte – conclude Reggiani – i valori di potenza ed energia si spostano sempre di più verso l’alto. Siamo in una fase in cui le evoluzioni non sono lineari, ma potrebbero essere improvvise. Quando si fa ricerca inoltre, non è possibile darsi un obiettivo temporale: bisogna mettere in conto il fallimento o che non ci siano economie di scala che permettano la fattibilità di una soluzione. Per una Urus qualche centinaio di chili di batterie non cambiano la vita, per una supersportiva sì. Per questo prenderemo una decisione definitiva il più tardi possibile per essere sicuri di mettere a bordo la migliore tecnologia possibile».Maxwell supercapacitors

  • Ferdinand Piëch, addio al signore della tecnica

    In azienda lo chiamavano il “vecchio”, ma nessuno più di lui amava il nuovo, la tecnica, il futuro dell’automobile. Un ingegnere, adoratore della tecnica, che divenne manager imparando l’arte dell’industria e facendo di Volkswagen il gigante che è oggi. Se n’è andato a 82 anni Ferdinand Piëch, forse l’ultimo dei grandi “car guy” della storia, sia per talento sia per discendenza. Era infatti nipote di Ferdinand Porsche, l’uomo che aveva inventato il Maggiolino, ma cominciò la sua carriera disegnando la Porsche 917 (foto sotto), l’auto che nel 1970 diede alla casa di Zuffenhausen la prima di 19 edizioni della 24 Ore di Le Mans e i primi titoli nei campionati di Durata di tutto il mondo.

    Porsche 917K

    Il papa nero di Wolfsburg

    Ha guidato il gruppo tedesco dal 1993 al 2002, anno in cui è entrato a far parte del potentissimo Consiglio di Sorveglianza continuando a esercitare fino al 2015 la sua influenza, sia effettiva sia carismatica, come una sorta di papa nero. In quegli anni, nulla all’interno di Volkswagen poteva accadere senza la sua approvazione. Austero e temutissimo, era famoso per il suo tono di voce basso e per il suo metodo: mettere persone, reparti e singoli in perenne competizione per tirare fuori il meglio e poi applicarlo a tutti i modelli del gruppo. Dai sedili ai metodi di stampaggio delle lamiere, dai volanti fino ai sistemi di alimentazione: Piëch voleva il meglio, il massimo e – si diceva – metteva alla porta chiunque compiesse per due volte lo stesso errore.

    Volkswagen Lupo 3L TDI

    La visione del Gruppo

    Oltre a possedere una immensa cultura automobilistica, aveva anche – o forse, soprattutto – una capacità di visione straordinaria. Immaginò l’Audi come marchio premium che lotta ad armi pari con BMW e Mercedes quando a Ingolstadt il massimo che veniva prodotto erano le DKW con motore 2 tempi. Quando ci fu la contesa con BMW per i marchi Rolls-Royce e Bentley non ebbe dubbi nello scegliere il secondo, per la sua tradizione sportiva. Quando se ne presentò l’occasione, non esitò nell’acquisire la Lamborghini e persino la Ducati (alla modica cifra di 880 milioni di euro) per non parlare della Bugatti. Sotto la sua era Volkswagen si prese anche Scania e Man. Allora si disse che erano fissazioni e manie di grandezza, ma il tempo gli ha dato ragione.

    Volkswagen Group

    La suggestione dell’Italia

    Da buon germanico di cultura elevata, amava l’Italia con tutta la sua tradizione motoristica, con autentica passione mediterranea. Avrebbe voluto avere la Maserati, fu ancora più sfacciato per l’Alfa Romeo che, una volta all’interno del Gruppo, immaginava come antagonista diretta di BMW mentre Audi avrebbe puntato il mirino solo su Mercedes. Avrebbe voluto fare della Seat l’Alfa Romeo di Spagna, anche se il capolavoro per numeri e profitti rimane la Skoda. Ci furono altri sogni che non gli riuscirono. Tra questi, dare alla “Macchina del Popolo” un’ammiraglia come la Phaeton (foto sotto), un’auto tecnicamente straordinaria la cui base meccanica fu poi sfruttata per la prima Bentley Continental GT.

    Volkswagen Phaeton

    Volere è dovere

    Fu lui a volere Audi come il marchio della trazione integrale “Quattro”, la A8 e la A2 con scocca interamente d’alluminio. Volle la Bugatti con motore 16 cilindri, con oltre mille cavalli e capace di superare i 400 km/h. Durante la sua gestione si è visto di tutto nei cofani delle varie vetture dal marchio: i V5, V6 a bancate strette, i W8, i W12 (ancora presenti sulle Bentley), i W16 e ancora i diesel ad iniezione diretta a 3, 4, 5, 6, 8 e 12 cilindri a pompa rotante, iniettore-pompa e common rail. E poi ancora i cambi a doppia frizione, i motori a benzina turbo ad iniezione diretta… Quando scaddero i brevetti sulla sovralimentazione doppia (turbo e compressore volumetrico) che la Lancia aveva depositato per la Delta S4, la Volkswagen aveva già pronto un motore con questa soluzione per la produzione di serie. Se per Frankenstein Junior il motto era “Si può fare” per Piëch era “Si deve fare”.

    Volkswagen Lupo 3L TDI

    I bassi consumi valgono un titolo di Formula 1

    Tra i “si deve fare” di Piech ce ne furono due. Il primo è l’auto da 3 litri e la seconda l’auto da 1 litro. Nel primo caso, herr Ferdinand definì questo traguardo importante quanto la vittoria ad un mondiale di Formula 1, l’unica competizione nella quale l’ingegnere tedesco non mise ruota. E il trionfo arrivò nel 1999 con la Lupo 3L TDI (foto sopra), un concentrato di tecnica, leggerezza e aerodinamica a caro prezzo (27 milioni di lire mentre una Yaris partiva da 15,5 milioni). Poi venne nel 2013 la XL1 (foto sotto), un prototipo biposto prodotto in 250 esemplari capace persino di percorrere più di 100 km con un litro di gasolio e una ricarica. Era infatti una diesel bicilindrica 800 ibrida plug-in, con cambio DSG e carrozzeria in carbonio, dal peso di 795 kg dotata di una scorrevolezza eccezionale (cx di 0,189 e cxS pari a 0,28).

    Volkswagen XL1

    L’ultimo sogno

    L’intensità della sua vita privata è stata pari a quella professionale. Ha avuto ben 12 figli da 4 donne diverse che dovranno dividersi il suo ingente patrimonio valutato in circa 6 miliardi di euro. La sua uscita di scena è avvenuta nel 2015: avrebbe voluto non rinnovare il mandato al suo ex delfino Martin Winterkorn alla guida di Volkswagen AG, ma anche i Porsche e i suoi fedelissimi gli voltarono le spalle. Era l’immediata vigilia del Dieselgate. Un caso o un abile stratagemma? Il suo ultimo sogno se lo è concesso qualche mese fa: la Bugatti Voiture Noire (foto sotto), una one off da 11 milioni di euro (tasse escluse) ispirata alla Type 57 SC Atlantic del 1938. Chissà che fine farà quel sogno, chissà che cosa vedeva il vecchio per l’automobile e la mobilità. Rimane ciò che ha costruito e la visione di un uomo che ha visto nella riduzione delle emissioni un traguardo da perseguire al pari delle prestazioni.

    Bugatti Voiture Noire e Type 57C Atlantic