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  • L’EPA prepara limiti più duri per la CO2, così anche l’America punta all’auto elettrica

    L’Environmental Protection Agency (EPA) ha proposto livelli più restrittivi per le emissioni di CO2 di automobili e light truck negli Stati Uniti d’America. Tali standard spingono con più vigore l’industria dell’auto nordamericana verso l’auto elettrificata, come auspicato del presidente degli USA, Joe Biden.

    I nuovi standard EPA emendano quanto stabilito dal SAFE (Safer Affordable Fuel Efficient) del 2020 da parte dell’amministrazione di Donald Trump. Quest’ultimi infatti prevedevano una tabella di marcia assai più morbida, con un miglioramento annuo del 3% dell’efficienza di flotta per le nuove auto vendute.

    Da 40 a 52 miglia per gallone in 5 anni

    La proposta della presidenza Biden mira ad un incremento del 10% annuo raggiungendo nel 2026 le 52 miglia per gallone contro le 40 attuali. È inoltre previsto che dal 2023 in poi tale progresso debba essere del 15%. Per il 2022 dovrebbero inoltre essere formalizzati i nuovi standard per i mezzi pesanti.

    Secondo l’EPA e il governo USA, le nuove regole ridurranno le emissioni di 2,2 miliardi di tonnellate di CO2 entro il 2050 con un beneficio per la connettività tra gli 86 e 140 miliardi di dollari e un risparmio per gli automobilisti compreso tra 120 e 250 miliardi di dollari in spese di gestione.

    Oltre l’amministrazione Trump

    L’EPA starebbe inoltre preparando anche un nuovo quadro normativo per le emissioni di metano dai pozzi di petrolio e di CO2 dalle centrali termoelettriche. Anche in questo caso si tratterebbe di un inasprimento rispetto a quanto fatto da Donald Trump e un ritorno alla linea del suo predecessore, Barack Obama.

    Il provvedimento offre benefici ai cittadini, ma invia un chiaro messaggio alle case e al mondo dell’economia. «Dando ai costruttori un percorso chiaro – Ministro dei Trasporti, Pete Buttigieg – assicureremo che una parte maggiore di quei veicoli e posti di lavori si creino qui».

    Il raduno delle Big Three

    Il riferimento è all’annuncio che il presidente Biden ha fatto il 4 agosto di fronte alla Casa Bianca: il futuro dell’auto americana è elettrico ed entro il 2030 la metà delle auto vendute negli USA saranno ibride o elettriche. Insieme a lui c’erano i rappresentanti delle storiche Big Three.

    Per General Motors c’era il presidente e CEO Mary Barra, per Ford il suo omologo Jim Farley, per Stellantis c’era Mark Stewart, COO per il Nordamerica del gruppo nato dalla fusione tra FCA e PSA. I tre hanno plaudito all’annuncio di Biden, che non ha alcun valore vincolante, ma ha un preciso significato economico.

    Follow the money

    Una transizione così massiccia vuol dire infatti un fiume di denaro statale per finanziare le attività di ricerca e sviluppo, favorire gli investimenti industriali e costruire una rete di ricarica adatta all’automobilista americano. Il piano annunciato da Biden è imponente: 1.200 miliardi di dollari entro il 2030.

    Un quarto (312 miliardi) sono destinati ai trasporti. Di questi 174 miliardi servono a spingere l’auto elettrica, dei quali 100 per gli incentivi al consumatore e 7,5 per l’installazione di 500mila colonnine. Oggi ce ne sono 41mila. Ci sono 49 miliardi per il trasporto pubblico, 66 per le ferrovie, 7,5 ad autobus e scuolabus.

    Tutti (più o meno) pronti

    I costruttori sono arrivati di fronte alla Casa Bianca con i loro pezzi pregiati: Ford F-150 Lightning e E Transit, Chevrolet Bolt, Jeep Wrangler Limited Rubicon 4xE e Hummer EV. Le promesse entro il 2030 sono in un comunicato congiunto: General Motors, Ford e Stellantis promettono il 40-50% di vendite elettriche.

    Leggi l’articolo sulla Hummer EV, a volte ritornano mostruosamente elettrici

    Leggi l’articolo su Ford F-150 Lightning, anche l’utilitaria americana diventa elettrica

    In precedenza GM ha annunciato di voler produrre solo auto elettriche dal 2035, nel 2030 Ford venderà il 40% di elettrico globalmente e Stellantis per gli USA prevede il 40% di auto a basse emissioni. Secondo AlixPartners ci vogliono 330 miliardi per portare le vendite dell’elettrico dal 2% attuale al 34% nel 2030.

    Leggi l’articolo su General Motors, l’elettrificazione in 4 mosse

    Leggi l’articolo sui più recenti piani di Ford per l’auto elettrica

    Tesla assente, UAW presente

    Il grande assente è stato Elon Musk il quale ha twittato “Sembra bizzarro che Tesla non sia stata invitata”. La Casa Bianca si è difesa dicendo che erano stati convocati i costruttori con il maggior numero di iscritti alla UAW (United Automotive Workers), il potente sindacato. Altro destinatario del messaggio politico di Biden.

    Il presidente Ray Curry ha le idee chiare: «Il punto della UAW non è su scadenze difficili o percentuali, ma la conservazione dei salari e dei benefici che sono stati il cuore e l’anima della classe media americana». Alcuni membri nel Partito Democratico avrebbero esercitato infatti pressioni verso il presidente.

    Obiettivo comune, ma senza vincoli

    Costoro avrebbero voluto un annuncio allineato con quello dell’Unione Europea e della California: indicare nel 2035 la data della morte dei veicoli dotati di motore a combustione interna. Una mossa che avrebbe messo in fibrillazione proprio il sindacato. L’auto elettrica fa paura, ma fa ancora più paura perderla.

    In questo gli USA si preparano ad affrontare la transizione in modo diverso, meno direttivo e “legislativo” rispetto a Europa e Cina. Il futuro si affronta in modo concertato, con la “moral suasion” e promuovendo la forza di un’industria e di un mercato che rimane pur sempre il secondo al mondo per vendite e produzione.

    La lezione di Obama

    Ma l’elemento più forte del modello americano di intervento statale è il denaro. Accadde lo stesso con l’amministrazione di Barack Obama e il fallimento di Chrysler e GM. Secondo il Tesoro americano, lo stato federale ha immesso nel sistema produttivo 426 miliardi salvando 1,5 milioni di posti di lavoro e un vantaggio finale per le casse statali di oltre 15 miliardi.

    Un vero e proprio manifesto dell’intervento statale nell’economia. Oggi Ford, Stellantis e soprattutto General Motors sono profittevoli e l’obiettivo è mantenere la competitività del sistema paese. Conti alla mano, il costo del cambiamento è superiore a quello del salvataggio perché il quadro è più ampio e complesso.

    Anche gli “stranieri” sono d’accordo

    Anche i costruttori non americani, ma presenti produttivamente negli USA, appoggiano l’intento dell’amministrazione americana. I costruttori europei non possono che essere d’accordo, poiché è in linea con i loro obiettivi industriali e commerciali. Anche Hyundai e Toyota si sono dette pronte alla sfida.

    Logo Toyota cofano

    Anche l’America va dunque verso l’auto elettrica, ma non verso le emissioni zero. Elettrificare un mercato fatto dal 60% di suv e pick-up e di grandi distanze è oggettivamente più complesso. Non a caso, i limiti EPA arrivano fino al 2026 e Biden nel suo 50% per il 2030 ha incluso tutte le auto elettrificate, ma ha incassato da Mary Barra la promessa che sarà il primo a guidare la prima Corvette elettrica.

    Bentornata America!

    L’America dunque rientra nel resto del mondo e negli accordi di Parigi che l’amministrazione Trump aveva abbandonato sposando tesi negazioniste sul legame tra azione umana e cambiamenti climatici. L’EPA non ha però lanciato la volata verso l’auto elettrica, ha solo forzato il passo verso un obiettivo che non ha date vincolanti. La discussione sull’azzeramento delle emissioni è dunque rimandata e subordinata alla realtà che la stessa America sarà in grado di costruire nel frattempo.

    Zio Sam
  • Riciclo Made in Italy per le batterie al litio

    Arriva il riciclo Made in Italy a risolvere il grande problema del corretto recupero a fine vita dei materiali contenuti nelle batterie al litio.

    Parliamo delle batterie dei computer, degli smartphone e soprattutto di quelle – molto più grandi – delle auto elettriche e ibride.

    E’ inutile avere un’auto che non emette fumi allo scarico, infatti, se poi la batteria che ha a bordo depaupera risorse naturali ed è impossibile da riciclare recuperandone gli elementi più preziosi.

    RECUPERO DEL LITIO

    Fondamentale è il recupero del litio, materiale non raro e costoso oggi. Ma che ha enormi incognite per il futuro. Le sue riserve sono molto importanti in Sudamerica tra Cile, Argentina e Bolivia, con grossi giacimenti anche in Cina e Australia. Oltre che in Brasile, Portogallo, Afghanistan, Stati Uniti.

    Di litio ce n’è al mondo, quindi. Ma ovviamente non è infinito e l’esperienza del petrolio dovrebbe averci insegnato qualcosa.

    SI RECUPERANO anche Cobalto, Nichel, Manganese

    Se l’attenzione di molti è sul litio, perchè dà il nome alle batterie che proprio sui suoi ioni fanno affidamento per il loro funzionamento. Il riciclo Made in Italy delle batterie al litio consente anche il recupero di Nichel, Cobalto, Manganese contenuti negli accumulatori.

    Si tratta di materiali importanti da recuperare, tra i quali soprattutto il cobalto ha attirato nell’ultimo periodo l’attenzione mondiale. Questo a causa della forte concentrazione delle riserve e della produzione attuale nella Repubblica Democratica del Congo.

    la tecnologia italiana arriva da Cobat e CNR

    Il riciclo Made in Italy per le batterie al litio arriva da una ricerca affidata dal Cobat all’Istituto del CNR ICCOMIstituto di chimica dei composti organometallici di Firenze.

    Il processo italiano è completamente originale, come dimostra l’accettazione della richiesta di brevetto a livello europeo e degli ulteriori brevetti parziali di singole fasi del processo. Si tratta del risultato del lavoro affidato al CNR ICCOM nel 2014 dal Cobat, che nel 2018 ha condotto all’importantissimo risultato.

    Adesso tocca all’industria

    Ora che il processo relativo al riciclo Made in Italy per le batterie al litio è stato individuato, deve partire l’operazione industriale che consenta di sfruttarne le potenzialità. Dal punto di vista economico, oltre che ambientale. A questo proposito il Cobat ha già individuato dei partner industriali italiani coi quali far partire in Italia l’attività di riciclo con recupero pressoché totale dei componenti e dei materiali delle batterie al litio.

    Sono in ballo molti posti di lavoro, oltre che una leadership tecnologica in grado di superare la concorrenza degli altri paesi altamente industrializzati.

    Cosa succede oggi alle batterie al litio

    Attualmente le batterie al litio in Europa finiscono in gran parte in Germania, dove ci sono oltre 15 operatori industriali in grado di recuperare correttamente i componenti e parte dei materiali.

    Molti dei processi applicati, però, non sono in grado di recuperare correttamente i materiali contenuti nella cosiddetta Black Mass. La massa nera contiene proprio Litio, Manganese, Cobalto, Nichel. Oppure li recuperano soltanto parzialmente. Si limitano cioè a Cobalto e Nichel, senza riuscire a estrarre correttamente ed economicamente il Litio e il Manganese.

    Buona parte della Black Mass viene per questo inviata in Estremo Oriente. Principalmente in Corea e nelle Filippine. Qui con processi adeguati vengono estratti tutti i materiali.

    L’operazione avviene vicino alla Cina perchè le aziende di questo paese hanno la tecnologia per estrarre tutti i materiali.

    Le aziende cinesi, che sono nell’ordine delle decine, smaltiscono così tutte le batterie del mercato interno e partecipano, direttamente o indirettamente, alle attività economiche che si sviluppano in altri paesi dell’area.

    In Germania la Volkswagen ha già annunciato di voler entrare nella corsa per il recupero totale dei materiali contenuti nelle batterie al litio (clicca qui vedi articolo).

    Le dimensioni del business

    Il giro d’affari potenziale del riciclo Made in Italy per le batterie al litio è enorme. Il processo messo a punto da Cobat e CNR ICCOM di Firenze per essere economicamente interessante ha bisogno di migliaia di tonnellate di batterie al litio da trattare ogni anno. Soltanto in questo modo diventa vantaggioso estrarre tutti i materiali.

    Oggi le batterie al litio raccolte in Italia sono nell’ordine delle centinaia di tonnellate l’anno. Ma i modelli di auto elettriche e ibride si diffondono sempre di più e alcuni mercati, come quello Norvegese, già hanno espresso interesse per alternative più efficaci agli attuali processi applicati in Germania.

    La start-up italiana capitanata dal Cobat sarà in grado di partire, comunque, in modo economicamente sostenibile già con il livello attuale di raccolta nel nostro paese di centinaia di tonnellate di batterie al litio.

    La strada obbligata

    Quella del recupero di tutti i materiali compresi il Litio, il Manganese, il Nichel, il Cobalto a livello europeo e globale è una via senza alternative. Un prodotto non è sostenibile se porta al consumo di risorse non rinnovabili (clicca qui vedi articolo e VIDEO sostenibilità).

    L’auto elettrica non fa eccezione.

    Il riciclo Made in Italy per le batterie al litio rappresenta quindi un’ottima notizia per l’ambiente, per l’auto elettrica, per il riavvio di uno sviluppo industriale ed economico sano e lungimirante nel nostro paese.

  • VIDEO SFIDA – ROBOTAXI BUSINESS DELL’AUTO A GUIDA AUTONOMA

    La guida autonoma sta arrivando a bordo di ogni auto ma c’è un segreto nel suo sviluppo che sta sfuggendo a tutti.

    Ci sono cinque livelli della SAE (Society of Automotive Engineers) che la descrivono, fino al quarto livello SAE possiamo dire che la vettura sia un’automobile.

    Col quinto livello SAE di automazione non c’è dubbio, l’auto diventa un robot. Ed è qui che inizia l’affare.

    L’auto automatizzata non nasce per far riposare il guidatore, ma per renderlo superfluo.

    Aprendo incredibili opportunità di mercato, di affari, di fatturazione. Il cosiddetto robotaxi, dalle nostre parti poco trattato, è oggetto di enormi investimenti e sviluppo in America e in Asia. Stati Uniti, Giappone, Cina su tutti.

     

    GLI SFIDANTI. FORZE E DEBOLEZZE

    Gli automobilisti. Non sono al centro dello sviluppo ma con l’automazione possono avere i loro benefici. Anzi, ne hanno già avuti molti con l’arrivo di tutte le componenti che man mano stanno salendo a bordo: dall’Abs in poi non è più chi è al posto di guida ad avere il controllo completo dell’auto. Sono forti perché rappresentano il mercato di oggi, ma sono deboli perché potrebbero diventale marginali nel mercato di domani.

    I costruttori di auto. Sono loro a introdurre oggi le innovazioni più importanti e visibili. Ma non sono stati loro a iniziare il processo, che è stato spinto da Google, forse da Apple, poi da Uber e altri operatori che non sono ancora nel mondo dell’auto, oppure guadagnano sulla corsa in auto – non sulla vendita del singolo veicolo. I marchi auto tradizionali sono combattuti tra il coccolare il loro cliente attuale, che vuole guidare ed emozionarsi facendolo, oppure inseguire quello che forse sarà il cliente futuro. Come tutti i leader hanno paura di perdere la leadership e questo può essere un loro limite.

    Le società presenti e future che offrono servizi di mobilità. Uber, Waymo di Google, molte start-up cinesi e americane, forse MyTaxi e Car2go della Daimler. Per loro l’auto completamente automatica è certamente fonte di guadagno. Hanno il mercato attuale delle corse a pagamento, sono candidati ad avere anche quello futuro con margini ancora più elevati. Però hanno bisogno dei costruttori se vogliono auto fatte bene, perché costruire un veicolo per la strada non è affatto banale. Waymo-Google fa scuola, avendo iniziato da sola ed essendo poi passata a prendere le auto da Fiat Chrysler e Jaguar Land Rover. Poi c’è la Tesla. Che sembra aver previsto già tutto. Oggi auto elettriche per clienti, domani vendita di corse in auto col Tesla Network. La flotta? Quella dei clienti di oggi, che domani potranno riguadagnare il denaro speso per l’acquisto mettendo i loro veicoli a sistema.

     

    CHE FUTURO FA

    L’auto completamente automatica sta nascendo. A Phoenix in Arizona la Waymo sta iniziando a offrire corse di utilità quotidiana a utilizzatori qualunque, preregistrati online in una campagna di arruolamento che è già iniziata. Tutti i costruttori cercano di attrezzarsi ma hanno il problema di sempre. Il loro settore storico è un altro, la loro cultura è un’altra. Per cambiare dovrebbero forse rinnegarla e non lo faranno mai.

     

    dico la mia, perché le cose possono cambiare. E spesso è meglio che cambino.

    La mia opinione è che l’automazione della guida vada bene, se nasce nel modo giusto.

    Auto autonoma e auto a emissioni zero, anche se potrebbero essere due cose diverse, devono diventare sinonimi.

    Dobbiamo fare attenzione, però. Perché l’auto senza emissioni può e deve nascere prima, a prescindere dal fatto che si sviluppi o meno l’automazione. E deve essere per tutti.

    L’Italia deve accorgersi dell’enorme occasione che c’è all’orizzonte, ogni rivoluzione tecnologica porta con sé la possibilità di creare posti di lavoro e benessere. Non va mai sottovalutata.