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  • Kia Energy House, apre il primo spazio multifunzionale sul futuro elettrico

    Si chiama Kia Energy House ed è il primo spazio multifunzionale dedicato all’auto elettrica aperto dal marchio coreano a Roma. Al suo interno sarà possibile avere informazioni sulla mobilità del futuro secondo la visione del marchio e partecipare a incontri ed eventi.

    Il programma sarà dedicato all’innovazione e alla cultura contemporanea in una più larga interpretazione.

    Kia Energy House interno

    Capire il futuro

    L’auto elettrica può mostrare così il suo ruolo e la sua importanza per la costruzione della società del futuro, che dovrà essere coerente con gli obiettivi di sostenibilità anche nelle soluzioni architettoniche, urbanistiche, tecnologiche.

    Per questo nella Kia Energy House troveranno spazio eventi dedicati a tre grandi ambiti: la mobilità elettrica, l’educazione scolastica e universitaria, la cultura e la tecnologia Mede in Korea.

    La grande trasformazione del marchio Kia avvenuta negli ultimi mesi, che ha visto la nascita di un logo completamente nuovo e la presentazione di un programma molto ambizioso di sviluppo e lancio sui principali mercati mondiali di una gamma con trazione esclusivamente elettrica, ha infatti molto a che fare col grande slancio verso il futuro della Corea del Sud.

    Kia Energy House esterno

    Auto elettrica, scuole, università e cultura

    Nel primo Kia Energy Store italiano l’auto elettrica sarà spiegata ai ragazzi delle scuole e sarà oggetto di incontri con centri di eccellenza e studenti universitari, ma ci sarà spazio anche per la musica delle K-Pop band che hanno conquistato il mercato mondiale, il cibo e le eccellenze tecnologiche del Made in Korea.

    Un esperimento molto interessante, nel quale la mobilità elettrica si propone come uno degli elementi grazie ai quali costruire il futuro sostenibile del pianeta.

    Kia ed Enel X Energy House Roma

    All’interno dell’Enel X Store

    Chi vuole saperne di più sull’auto elettrica, guidare modelli di ultima generazione e provare a fare una ricarica con diverse tecnologie ha quindi un nuovo luogo dove recarsi.

    La prima Energy House della Kia Italia si trova presso l’Enel X Store di Corso Francia a Roma. Nel piazzale antistante il nuovo spazio multifunzionale è disponibile l’infrastruttura di ricarica gestita da Enel X Way che conta ben sei stazioni ad alta potenza capaci di arrivare ciascuna a 350 kW, colonnine WayPole da 22 kW e l’innovativo pannello digitale WayMedia con due WayBox del tipo destinato alla ricarica domestica.

    Programma elettrico Kia

    Il programma di espansione elettrica della Kia prevede che entro il 2027 il marchio arrivi alla disponibilità a listino di ben 14 modelli a batterie, con l’obiettivo di arrivare a raggiungere una quota del 6,6% del mercato elettrico a livello mondiale (Cina esclusa). Oltre al lancio di nuovi modelli, la rivoluzione elettrica Kia prevede anche l’arrivo di inediti servizi di mobilità offerti con veicoli a zero emissioni e un ruolo importante per i futuri PBV – Purpose based vehicles, veicoli elettrici costruiti appositamente per rispondere a specifiche esigenze della mobilità del futuro, come le consegne dei prodotti e-commerce e l’utilizzo condiviso nelle grandi aree urbane.

    Giuseppe Bitti Kia Italia

    Giuseppe Bitti, amministratore delegato Kia Italia

    La Kia ha l’obiettivo di conquistare la leadership nella mobilità elettrica.

    Afferma Giuseppe Bitti, amministratore delegato del marchio in Italia, che continua: “L’Energy House offre al pubblico e ai nostri clienti, attuali e potenziali, la possibilità di capire al meglio le ambizioni del gruppo e lo scenario futuro della mobilità”.

    Anche a Milano

    La Kia Italia ha per ora deciso la presenza dell’Energy House nell’Enel X Store di Corso Francia a Roma fino alla fine del mese di giugno ma è possibile che il progetto possa avere una durata maggiore, visto che è già stata annunciata l’apertura entro l’anno di un secondo Kia Energy Store a Milano ed è confermato l’arrivo sul nostro mercato del grande Suv elettrico Kia EV9 proprio a fine 2023.

  • HySolarKit, l’idea italiana per l’ibrido solare su auto circolanti

    Il progetto italiano di ibrido solare HySolarKit per auto già circolanti, quindi spesso molto inquinanti, è portato avanti da un partenariato di 4 aziende: Mecaprom, Solbian, Landi Renzo ed eProInn – Energy and Propulsion Innovation, spin-off dell’Università di Salerno fondato dal professor Gianfranco Rizzo.

    Si tratta di un approccio all’elettrificazione che porta alla ribalta la rigenerazione funzionale ed energetica del parco auto già circolante, anche datato, per accelerare in modo deciso verso il raggiungimento dei traguardi sul contenimento delle emissioni.

    HySolar Kit ibrido solare gruppo di lavoro

    Interessata anche la Toyota

    Questo il nuovo filone di lavoro all’attenzione dei media dopo l’intervento di Akio Toyoda il 13 gennaio scorso, in occasione del Tokyo Auto Salon. Il Ceo di Toyota ha sostanzialmente proposto l’elettrificazione dei veicoli già esistenti, ovvero una sistematica operazione di retrofit che vede la conversione delle loro motorizzazioni endotermiche tradizionali in powertrain evoluti, capaci cioè di affiancare il contributo delle nuove auto nella lotta al cambiamento climatico.

    Tutto questo con una soglia di costo evidentemente pensata per il grandissimo numero  di automobilisti non propensi alla sostituzione immediata della vecchia vettura. Un metodo, dunque, anche con risvolti sociali abbinati alla necessità di velocizzare la transizione.

    Progetto Save per l’ibrido solare

    Anche l’Europa ha già sposato l’idea da tempo, come dimostra il progetto Save (Solar Aided Vehicle Electrification) finanziato dalla Commissione europea per lo sviluppo e l’industrializzazione del sistema HySolarKit, la conversione di vetture benzina o diesel in veicoli ibridi alimentati anche ad energia solare.

    Auto ibrida solare con kit HySolar

    Nella sede presso il campus di Fisciano, i ricercatori provenienti da eProLab, il gruppo di ricerca del Dipartimento d’Ingegneria Industriale dell’Università di Salerno, lavorano alle fasi di industrializzazione finale del HySolarKit, che prevede l’aggiunta ad una vettura tradizionale, a trazione e propulsore  termico anteriore, di due motori elettrici integrati nelle ruote posteriori (Hybrid Electric Retrofit System, “HERS”). Si realizza in questo modo una trazione integrale ibrida, con i motori elettrici alimentati da una batteria addizionale al litio.

    Doppia possibilità di ricarica

    Questa può essere ricaricata dalla rete elettrica, con una opzione plug-in, oppure da pannelli solari flessibili ad alto rendimento prodotti da Solbian, partner del progetto, montati sul tetto e sul cofano dell’auto.

    In questo caso, la ricarica avviene in modo gratuito e tanto nelle fasi di guida che di sosta. La trazione integrale ibrida viene poi gestita attraverso una interfaccia passiva con la centralina di controllo del veicolo, chiamando cioè in causa l’intervento dei motori elettrici posteriori in base alle condizioni di carica degli accumulatori, ma senza interferire con le regolazioni originali del veicolo, dunque con una adattabilità elevata anche a vetture datate, circa il 70% del parco circolante europeo secondo quanto dichiarano gli esperti della eProInn.

    Auto circolante ibrida solare HySolarKit

    Per l’azienda, l’intervento dei motori elettrici consente un miglioramento evidente nelle prestazioni, con una riduzione del 20% nel tempo necessario per l’accelerazione 0-100 km/h, ma anche con una diminuzione nei consumi e nelle emissioni che può raggiungere il 25% nella tipica guida urbana.

    Il lavoro della eProInn si sta rivolgendo anche ad un update sostanziale del HySolarKit con il sostegno dei fondi di Campania Start Up Innovativa, per l’aggiunta di una funzionalità di guida in modalità 100% elettrica per brevi tratti.

  • StoreDot, che cosa ha sviluppato la start-up nella quale Volvo (e non solo) ha investito

    Cento miglia in 5 minuti. È questo lo slogan della StoreDot, la start-up israeliana nella quale Volvo Cars ha annunciato recentemente di aver investito attraverso la Volvo Cars Tech Fund, il suo braccio finanziario per operazioni di venture capital.

    Leggi l’articolo di Volvo che investe in StoreDot

    StoreDot
    In Israele con tanti partner

    StoreDot ha il suo quartier generale a Herliya ed è stata fondata nel 2012 da Doron Myersdorf (amministratore delegato), Simon Litsyn e Gil Rosenman mentre il ruolo di executive chairman è di David Gilmour. Sì, si chiama proprio come il chitarrista dei Pink Floyd. Volvo non è il primo costruttore automobilistico né il primo grande marchio ad aver messo gli occhi su StoreDot. Prima degli svedesi vi hanno infatti investito Daimler, BP, Ola Electric, TDK e Samsung.

    StoreDot
    Industrializzazione a Northvolt

    L’obiettivo di Volvo è combinare le tecnologie messe a punto e ancora in fase di sviluppo da StoreDot e industrializzarle nella joint-venture con Northvolt. In questo caso si parla di un investimento di 30 miliardi di corone svedesi (2,9 miliardi di euro) per lo sviluppo e la produzione di celle e batterie, a favore di veicoli Volvo e Polar, utilizzando solo energia da fonti rinnovabili. In poche parole: ripulire il segmento più grosso e sporco – o meno pulito – dell’auto elettrica.

    Leggi l’articolo di Volvo e Northvolt, per l’auto elettrica la priorità è creare posti di lavoro

    StoreDot
    Anche BMW e Volkswagen

    Ambizione legittima per un costruttore che punta a fare il 50% delle vendite con le auto elettriche nel 2025, il 100% nel 2030 e infine ad essere a impronta zero nel 2040. Dal canto suo, Northvolt – nel cui capitale sono presenti anche BMW e Volkswagen – deve puntare a un duplice obiettivo: standardizzare al massimo e, allo stesso tempo, dare ai propri finanziatori prodotti su misura per le proprie esigenze. L’accordo tra Volvo e Northvolt prevede anche un centro di ricerca e una gigafactory dedicati creando oltre 3mila posti di lavoro.

    StoreDot
    Anodo al silicio “nano”

    La tecnologia ideata da StoreDot si basa su un anodo di nuova concezione che, al posto della grafite, impiega nanoparticelle di silicio insieme a molecole organiche. La composizione di quest’ultime è segreta e, secondo l’azienda israeliana, contrasta la naturale espansione dell’anodo permettendo l’adozione di potenze di ricarica maggiori con curve più spinte, in sicurezza e minore decadimento. Al conseguimento di questo risultato, oltre alla chimica, avrebbero contribuito il machine learning e l’intelligenza artificiale.

    StoreDot
    Additivi stabilizzanti

    Ma non è solo questa la direttrice di ricerca. StoreDot avrebbe individuato anche soluzioni innovative per l’anodo e l’elettrolita. Per il primo ha ideato un processo di applicazione innovativo denominato RIE (Reactive-Ion Etching). Per il secondo ha brevettato additivi del gruppo ditioestere-funzionali in grado di stabilizzare l’elettrolita rallentando contemporaneamente il degrado di catodo e anodo, anche se quest’ultimo è a base metalloide. Una soluzione ibrida solida (semi-solida) a bassa resistenza farà da ponte verso le batterie allo stato solido vere e proprie.

    StoreDot
    A sacchetto o cilindriche

    Nel frattempo, le batterie con anodo al silicio “100in5” con chimica NMC811 hanno dimostrato ottimi risultati: con una densità in massa di 300 Wh/kg e in volume di 680 Wh/litro sopportano 1.250 cicli (10-80% in 15 minuti e scarica completa in un’ora a 25 °C e pressione zero) mantenendo un’efficienza dell’80%. StoreDot afferma di poter applicare tale tecnologia sia alle celle a sacchetto (pouch) per applicazioni pack-to-cell (senza moduli), sia quelle cilindriche 4680, utilizzate da Tesla. Secondo la start-up israeliana (e Volvo) sarà su un’auto nel 2024.

    StoreDot
    Il calcolatore di ricarica

    Le caratteristiche migliori di questa batteria sembrano essere la stabilità e la capacità di ricevere alte potenze con una curva di ricarica praticamente piatta. StoreDot mette a disposizione un calcolatore per rendersi conto della differenza. Se prendiamo un’auto con batteria da 90 kWh che consuma 29 kWh/100 km e la ricarichiamo a 350 kW per incamerare energia sufficiente per 100 miglia (162 km), il miglior concorrente impiega 11 minuti con una media di 18 minuti per le altre contro i 5 minuti della StoreDot.

    StoreDot
    Questione di chimica e software

    Insomma la batteria StoreDot ci mette meno della metà e il suo vantaggio è maggiore quanto più elevata è la potenza di ricarica cominciando ad allungare (anzi accorciare) già con potenze oltre i 100 kW. Un altro aspetto interessante di questa tecnologia è che non si tratta solo di chimica, ma anche di software e questo dimostra, ancora una volta, quanto sia importante l’aspetto immateriale per lo sviluppo dell’auto elettrica e quanto – probabilmente – vi sia da scoprire anche nelle chimiche già disponibili.

    StoreDot
    Cento miglia in due minuti

    Altro aspetto fondamentale di questa tecnologia – e che fa a differenza per una start-up – è che StoreDot, oltre alla chimica, abbia già individuato (e brevettato) i processi per industrializzare le proprie batterie. E questo sarebbe solo l’inizio perché con le batterie allo stato solido si pensa di arrivare nel 2028 ad una densità di energia in massa di 450 Wh/kg e una velocità di ricarica “100in3” e nel 2032 ad una batteria “post lithium” “100in2” con una densità di 550 Wh/kg.

    StoreDot
    Efficienza piena fino a 600 cicli

    Alla metà di ottobre StoreDot ha effettuato un’altra prova con le sue celle “100in5” ricevendo ulteriori conferme. Caricate dal 10% all’80% in 10 minuti e scaricate in un’ora, hanno superato i 1.000 cicli per abbassare la propria efficienza all’80%. Altro dato ancora più significativo è che le celle StoreDot sono scese sotto il 100% solo dopo 600 cicli. Questo vuol dire efficienza piena per 300.000 km e dell’80% per 500.000 km con l’ampia, anzi ampissima sicurezza garantita da questo test massacrante.

    Lo stato solido? Almeno 10 anni

    StoreDot sta preparando una versione ancora più resistente della sua “100in5” della quale sarà data dimostrazione entro fine anno. L’azienda israeliana ha fatto sapere che lo sviluppo delle batterie allo stato semi-solido prosegue secondo i tempi stabiliti. Quelle allo stato solido hanno invece un futuro più lontano: almeno 10 anni.

    StoreDot
  • Bosch Termotecnica, c’è l’idrogeno nel futuro delle nostre case

    Bosch Termotecnica, la divisione del colosso tedesco che si occupa di soluzioni di climatizzazione della casa, indica un percorso verso la sostenibilità ambientale che vede l’utilizzo di gas verdi, come l’idrogeno e il biometano, come complementare rispetto all’elettrificazione degli usi finali.

    Caldaie attuali pronte per miscele di idrogeno

    Le caldaie Bosch a condensazione attualmente sul mercato possono già funzionare con una miscela di gas che contiene fino al 20% di idrogeno.

    La rete di distribuzione in Italia – che raggiunge in base ai dati Bosch l’80% degli edifici residenziali con gas metano – per il 70% della sua estensione è definita H2-ready. I sette decimi dell’infrastruttura, quindi, possono distribuire miscele di idrogeno esattamente come oggi permettono di far viaggiare il metano.

    100% idrogeno dal 2025

    Credendo nello sviluppo del nuovo vettore energetico, Bosch ha già avviato sperimentazioni sul campo sia in Inghilterra sia in Olanda di caldaie alimentate al 100% da idrogeno e prevede di renderle disponibili per la produzione in serie a partire dal 2025. 

    Bosch caldaia idrogeno e pompa di calore

    Bosch Clima Service

    Bosch Clima Service è il nome del nuovo servizio dalla divisione Termotecnica di Bosch Italia che si diffonderà velocemente nei prossimi anni in tutte le maggiori città italiane.

    La Bosch, attraverso una rete di professionisti altamente qualificati sul territorio italiano, mira a rispondere a ogni esigenza di comfort domestico, accompagnando e consigliando il consumatore: dalla scelta della soluzione più adatta, all’individuazione degli eventuali incentivi di legge, all’assistenza e supporto tecnico.

    Caldaia a idrogeno e transizione energetica 

    Sebbene l’idrogeno sia visto sempre più come un vettore di energia utilizzabile anche negli edifici, il suo utilizzo è stato finora piuttosto ridotto.

    Sviluppando una caldaia alimentata a idrogeno, Bosch dimostra che le caldaie possono essere convertite rapidamente dal gas naturale, attualmente utilizzato, al 100% di idrogeno.

    Bosch Termotecnica caldaia idrogeno

    Un primo apparecchio dimostrativo della caldaia a idrogeno Bosch, con una potenza termica nominale di 30 kW, è stato messo in funzione per la prima volta su un banco di prova nel 2017.

    Soluzione per gli edifici esistenti 

    L’utilizzo dell’energia rinnovabile e dell’elettricità anche per usi termici si sta diffondendo sempre più sia nei nuovi edifici, sia nei progetti di ristrutturazione e ammodernamento degli edifici esistenti.

    Senza importanti adeguamenti strutturali come l’isolamento termico, tuttavia, l’installazione di soluzioni di riscaldamento basate su pompe di calore, negli edifici esistenti è spesso complessa e costosa.

    Approccio multi tecnologico

    La nuova caldaia Bosch a idrogeno mira quindi a fare la differenza, poiché non richiede ulteriori misure di ammodernamento e consente di ridurre drasticamente le emissioni in ogni edificio.

    La caldaia a idrogeno Bosch è in grado di adattarsi rapidamente alle diverse necessità di riscaldamento della famiglia nei vari momenti della giornata o della settimana, offrendo le stesse elevate prestazioni di una tradizionale caldaia a gas a condensazione e occupando lo stesso spazio in casa.

    Cosa pensano gli Italiani

    Il pensiero degli italiani – in tema di climatizzazione domestica – è stato analizzato attraverso un’indagine commissionata dalla divisione Termotecnica di Bosch Italia a Hokuto, network specializzato in ricerche statistiche basate su machine learning e intelligenza artificiale.

    L’indagine è stata svolta nel mese di settembre 2022 su un campione di 1.000 persone, di cui il 25% ha da poco acquistato apparecchi per riscaldamento e/o climatizzazione o sta per procedere all’acquisto.

    Secondo il 53,2% dei consumatori, per abbattere le emissioni di CO2, le aziende produttrici dovrebbero ricorrere a un maggior utilizzo di energie rinnovabili rispetto ai combustibili fossili.

    Bosch Termotecnica sistema ibrido

    Per il 19,2%, invece, per contribuire alla riduzione delle emissioni le aziende dovrebbero produrre soluzioni più efficienti. Tale risultato indica come, piuttosto che un miglioramento delle tecnologie esistenti, per i consumatori sia necessario un cambio di paradigma relativamente alle fonti energetiche impiegate nella produzione.

    Dall’indagine emerge anche come i consumatori italiani tendano a mettere in atto poche azioni volte a contenere i consumi energetici domestici, preferendo quelle più semplici e di facile attuazione, come modificare i propri comportamenti in casa (96,4%), ma anche utilizzare prodotti più efficienti (75,5%). 

    Gradimento per l’idrogeno verde

    Indagine Bosch idrogeno casa

    Tra coloro che hanno in programma un intervento sul proprio impianto di riscaldamento nei prossimi 6 mesi, si registra ampia disponibilità a considerare fonti energetiche alternative, anche se poco conosciute e oggi non ancora disponibili, come, per esempio, l’utilizzo di idrogeno verde (65,5%).

    Inoltre, pur in un contesto di generale scarsa conoscenza di fonti energetiche rinnovabili, a parità di impianto, l’integrazione di energia solare (quindi pulita e gratuita) a supporto di altre fonti resterebbe la scelta ideale per la propria abitazione (39,6%).

    Idrogeno per motivi ecologici

    Come fonte di energia preferita per la propria abitazione si nota anche una favorevole predisposizione a utilizzare impianti ibridi. Inoltre, l’indagine evidenzia che chi ha citato tra i possibili combustibili l’idrogeno verde, lo ha fatto principalmente per motivi ecologici e non economici.

    Fiducia nell’installatore

    Per quanto riguarda il comportamento all’acquisto, l’installatore termoidraulico resta il punto di riferimento preferenziale (50,9%) non solo per l’installazione del prodotto, ma anche per chiedere informazioni.

    Bosch termotecnica showroom Milano

    Per il 78,9% degli intervistati, il costo totale dell’intervento (apparecchio, materiali e installazione) si conferma di gran lunga il principale parametro di valutazione per l’acquisto, seguito dalla classe energetica del prodotto (52,3%).

    Unico interlocutore

    Oltre a questi due parametri, il 36,8% degli intervistati ha indicato come criterio di acquisto la possibilità di avere un unico interlocutore. Questo dato sottolinea la chiara esigenza da parte dei consumatori di essere accompagnati da un esperto in ogni fase del processo di acquisto.

    Bosch marchio conosciuto e verde

    La strategia di Bosch Termotecnica va proprio in questa direzione, forte anche dell’elevata riconoscibilità del marchio Bosch (85,8%) e delle sue azioni a sostegno del clima e dell’ambiente (84,2%).

  • Volvo, grazie alla ricarica bidirezionale la Ex90 elettrica scambierà energia con la casa e la rete

    La Volvo EX90 avrà la ricarica bidirezionale. Così l’ammiraglia elettrica, che sarà presentata tra meno di un mese dalla casa svedese, si candida ad essere la prima auto di un marchio europeo a portare sul mercato la soluzione tecnica che permette all’auto di scambiare energia con la rete elettrica e l’abitazione.

    Si comanda dall’App

    Grazie alle funzionalità di ricarica intelligente in arrivo sull’app per smartphone di Volvo Cars, la Volvo EX90 permetterà di ricaricare l’auto quando la domanda di energia dalla rete è inferiore e i prezzi sono più bassi.

    Volvo ricarica bidirezionale accumulo casa

    Questo normalmente implica anche una maggiore presenza di fonti rinnovabili nel mix energetico. Ma non basta, perchè tramite l’applicazione si potrà programmare l’auto e prevedere di conservare l’energia accumulata per utilizzarla in un secondo momento.

    Presentazione il 9 novembre

    La Volvo EX90 completamente elettrica verrà presentata il 9 novembre e sarà quindi la prima Volvo ad essere predisposta per la ricarica bidirezionale.

    Inizialmente disponibile in mercati selezionati, la ricarica bidirezionale è potenzialmente in grado di rendere più economico, efficiente e sostenibile l’utilizzo di energia.

    Energia per la casa

    Una volta disponibile, la ricarica bidirezionale della nuova Volvo EX90 permetterà al veicolo di fornire energia per la casa e per altri dispositivi elettrici.

    Volvo ricarica bici

    Oltre a poter ricaricare elettrodomestici e altri dispositivi, l’auto sarà anche in grado di ricaricare altre vetture elettriche compatibili cedendo parte della sua carica. Allo stesso modo, se l’auto sta per esaurire la carica, potrà accettare elettricità in arrivo da altre vetture dotate della medesima funzionalità.

    Accumulo per la rete elettrica

    In funzione delle regole specifiche di ciascun mercato energetico, la ricarica bidirezionale potrà anche consentire ai clienti di supportare la rete in modi diversi.

    Ciò potrà includere il prelievo di più energia nei momenti in cui vi è un eccesso di energia rinnovabile, oppure la vendita di energia durante le ore di picco di utilizzo, quando la domanda è più elevata.

    Ricarica bidirezionale tenda

    Se in futuro la maggior parte delle auto sarà dotata di questa funzionalità, sarà possibile bilanciare la rete con maggiore frequenza. In questo modo si potrà anche migliorare la sostenibilità complessiva della rete, riducendo il potenziale spreco di energia da fonti rinnovabili nei momenti in cui la produzione supera la domanda.

    Risparmio in bolletta

    In situazioni nelle quali si avrà energia residua nella batteria che è stata caricata in precedenza con energia elettrica più economica e pulita, si potrà utilizzare lo strumento della restituzione energetica alla rete per alleggerire la propria bolletta.

    Successivamente, si potrà collegare l’auto alla presa di corrente e ricaricare dalla rete quando i prezzi dell’elettricità sono più bassi.

    Poiché l’energia in genere costa meno quando il contributo delle fonti climaticamente neutre alla fornitura di elettricità è più elevato, questa funzione può far risparmiare sulla bolletta e aumentare al contempo la frazione di energia più pulita immessa in rete.

  • Corea, viaggio all’interno della potenza elettronica che diventa sempre più elettrica

    Per l’Italia ci sono due Coree e anche per il resto del mondo. La differenza è che noi parliamo di calcio e tutti gli altri invece del 38° parallelo che dal 1953 divide una nazione dopo una guerra fratricida. Quando infatti il 18 giugno 2002 l’Italia fu buttata fuori dai mondiali con un golden gol al 117’, fu troppo facile ricordare quello che era successo il 19 luglio 1966 a Middlesborough.

    Italia Corea
    Dalla nostra Corea a Squid Game

    Era la conferma che “la nostra Corea”, dopo ben 36 anni, significava ancora una sconfitta inaspettata e cocente, la metafora di una bestia nera che negli anni è diventata una tigre. E qui non parliamo più di calcio, ma di economia e soprattutto di tecnologia e industria. E forse anche di cultura. Mai prima d’ora infatti la Corea del Sud riesce ad esportare personaggi e fenomeni.

    PSY Gangnam Style

    Alzi la mano chi, prima del 2012 e della famosa canzone di PSY sapesse che Gangnam fosse il quartiere più cool di Seoul senza contare motivetti come Baby Shark e, più recentemente, la valanga del cosiddetto K-pop fatta dai BTS e altre boy band costruite a tavolino.

    E che dire del cinema, della fiction e della letteratura, manga compresi? Il caso più eclatante è Squid Game, ma anche di Parasite, prima pellicola nella storia non in lingua inglese ad aver vinto nel 2019 l’Oscar per il miglior film (insieme ad altre tre statuette) dopo la Palma d’Oro di Cannes.

    Squid Game
    Elettronica e intrattenimento di consumo

    Abbiamo scoperto che, oltre a Bong Joon-ho, sotto il 38° parallelo vi sono altri eccellenti registi, ma soprattutto che la Corea del Sud ha per tutti noi qualcosa che ci rappresenta e ci assomiglia. La conseguenza? È sapere che la Corea non è una specie di Giappone – anche se le loro storie recenti si assomigliano – e che non sono solo produttori di smartphone, televisori, lavatrici e automobili.

    Per scoprire meglio che cosa un paese può e vuole dare al mondo è sempre meglio andare a vedere che cosa vuole e può dare a se stesso. Un viaggio a Seoul può essere illuminante. Il grande viale di Gwanghwamun, tra grattacieli, pannelli pubblicitari e centri commerciali, ospita almeno quattro simboli in poche centinaia di metri che chiunque voglia conoscere la Corea deve vedere e conoscere.

    I simboli di Seoul

    Il primo è il Gyeongbokgung Palace il palazzo reale della dinastia Joseon (1392-1897), ora in ristrutturazione. Accanto c’è Samcheong dove ci sono musei, gallerie d’arte e un pezzo di vecchia Corea fatte di case basse dal valore inestimabile.

    Seoul

    In una città dove 60 metri quadri in centro possono costare anche l’equivalente di 3 milioni di euro, piccoli negozi, ristoranti e angoli dove lo sguardo abbraccia la Seoul storica e moderna: una megalopoli da 10 milioni di abitanti che si espande e si spande come un liquido ai piedi di verdi colline.

    Seoul

    Su Gwanghwamun, a pochi centinaia di metri, c’è la statua dorata del re Sejon il Grande. Il piedistallo riporta tutti i caratteri dell’alfabeto Hangul che il sovrano fece introdurre nel 1444.

    Seoul

    Sono 19 consonanti e 21 vocali che vengono usati in blocchi sillabici. Dunque, niente a che vedere con gli ideogrammi cinesi e qualcosa di simile ai katakana e hiragana giapponesi che però si servono sempre degli ideogrammi (kanji).

    Una nazione a testuggine

    Altri 250 metri e c’è la bruna statua dell’ammiraglio Yi Sun-sin che per i coreani è quello che Nelson è per gli inglesi: semplicemente l’Eroe, con la lettera maiuscola. Il 26 ottobre 1597, proprio mentre l’Armada di Filippo II cercava di invadere l’isola britannica, sullo stretto di Myeongnyang Yi Sun-sin riuscì a battere con 13 navi la flotta giapponese grande 10 volte quella coreana.

    Uno dei segreti di quella vittoria è rappresentato proprio alla base della statua ed è il Kobukson o nave testuggine il cui ponte era protetto da un tetto in ferro e lo scafo era in pino e con chiglia ad U. In questo modo, resistevano meglio agli attacchi, erano vincenti nello speronamento e potevano navigare sotto costa in acque più basse dove quelle avversarie invece rischiavano di incagliarsi.

    Il rapporto con il Giappone

    Se qualcuno vuole ravvisare in tutto questo una metafora del rapporto che c’è tra la Corea e il Giappone, nel loro approccio e nella loro cultura, non è distante dalla realtà. Il fattore religioso ha il suo peso. Il 30% dei coreani del sud è cristiano e i battezzati, oltre al loro nome autoctono, hanno anche un nome latino. Le generalizzazioni sono sempre riduttive, ma si può dire che il coreano è più individualista del giapponese. Il primo decide da solo, il secondo sempre insieme al gruppo ed in presenza del gruppo cui appartiene.

    Senza approfondire le differenze culturali con un paese così vicino e – per ovvie ragioni – così tenuto a distanza, basta vedere quanto monumentale sia Gwanghwamun. Fa pensare alle avenida spagnole, alle avenue parigine o anche alle downtown nordamericane. La gestione degli spazi è già cultura.

    Seoul
    Vicino scomodo e chiassoso

    Quanto all’altro scomodo vicino, ovvero la Corea del Nord e il suo dittatore Kim Joung-Un, il paese vive un misto di rimozione ed assuefazione. Avere una potenza atomica ostile che dista a meno di 100 km dalla capitale e che lancia missili per dimostrare di poter colpire quando e come vuole non è una preoccupazione: perché dovrebbe esserlo se Pyongyang queste minacce arrivano da più di mezzo secolo e non si sono mai materializzate?  

    Qualche centinaio di metri e si incrocia Cheonggyecheon, la via che contiene un fiume. Al centro – e sotto – vi scorre infatti lo Jungnangcheon, un affluente dell’Han, il fiume che taglia Seoul e che nel territorio della capitale è attraversato da 27 ponti. Sullo Jungnangcheon avevano costruito una strada e una sopraelevata, ma nel 2005 ne hanno fatto un parco urbano dove il letto artificiale scorre tra grattacieli alternato da piccole cascate e fontane.

    Seoul
    Un’anima elevata al cielo

    Ancora due passi e ci si trova di fronte al municipio. Di fronte una piazza con uno spazio verde a forma ellittica e una grande scritta “I SEOUL U”, un gioco di parole che significa “ti medito” o anche “ti do un’anima” o “ti animo”. L’edificio è un esempio di sedimentazione tra una severa architettura che sembra presa da Berlino Est e, come se volesse inghiottirla, una gigantesca onda in vetro e acciaio che si staglia dietro.

    Il simbolo di Seoul e delle sue ambizioni è però dall’altra parte dell’Han e si chiama Lotte Tower: un grattacielo da 550 metri, altezza che ne fa il sesto al mondo, e 120 piani.

    È costato 2,5 miliardi di dollari e può resistere a terremoti fino al nono grado della scala Richter. Dal 79° all’101° piano un hotel tra i più lussuosi di Seoul, all’85° piano una piscina e in cima un ponte di cristallo da 7 metri da attraversare per i forti di cuore.

    Automobili, che passione

    Seoul ha 22 linee di metropolitana e il biglietto si paga solo in contanti, ma si vede ad occhio nudo che ama le automobili. E neppure di piccola taglia. Suv, ma soprattutto berline, anche di rappresentanza.

    L’automobile è status ed è orgoglio nazionale. I numeri sono da mercato chiuso: su 1,71 milioni di auto vendute nel 2021, 1,44 sono di costruzione domestica ovvero l’84% del totale. Le auto di importazione sono premium e lusso per quasi il 80%.

    Mercedes, BMW, Audi e Volvo coprono da sole il 67% di questo specie di Champions League. Il campionato invece vede solo 4 squadre e Hyundai si prende oltre il 50%, un altro 37% la Kia mentre Renault Samsung ha poco più del 4%, ancora meno SsangYong e GM Korea. Sempre partendo dalle prime impressioni, di elettriche sembrano essercene ben poche, molto meno che da noi, ma i numeri dicono che l’elettrificazione sta accelerando.

    Elettrificazione? Anche idrogeno, con convinzione

    Dal 2020 al 2021 si è passati da 36.300 a 71.700 unità di auto elettriche e solo nella prima metà del 2022 se ne sono aggiunte altre 67mila portando il circolante a circa 300mila su un totale di 25 milioni dove ci sono anche oltre un milione di ibride e quasi 25mila auto ad idrogeno. E anche in questo caso la sensazione è di trovarsi in un posto dove le fuel cell ci sono. Non è invasione, ma auto come la Hyundai Nexo si incontrano dentro e fuori la città.

    Leggi la mia prova della Hyundai Nexo a Milano

    Secondo le statistiche governative, entro il 2022 ci saranno 310 stazioni per l’idrogeno, 100 di queste a 700 bar. L’obiettivo è di arrivare a 450 entro il 2025 e 1.200 entro il 2040. Hyundai prevede di produrre 700.000 stack all’anno nel 2030, dei quali 500mila destinati a veicoli. Potente è anche la spinta che il governo sudcoreano sta dando alle auto elettriche, sia in incentivi all’acquisto sia per la rete di ricarica.

    Leggi l’articolo su Hyundai ci crede, il futuro è a Idrogeno

    La grande accelerazione

    Il piano di incentivi all’acquisto per tutti i veicoli ad emissioni zero è finanziato con l’equivalente di 4 miliardi di dollari fino al 2025 ed è a due fasce: per auto con prezzo fino a 55 milioni di won (39mila euro) il sussidio è di 19 milioni (circa 13.500 euro), per la fascia 55-85 milioni di won (poco meno di 60mila euro) il sussidio è dimezzato. L’obiettivo di questo piano è avere nel 2025 il 20% di auto vendute ad emissioni zero e 3 milioni circolanti.

    Molto interessante è il meccanismo delle quote di auto a basso impatto ambientale introdotta nel 2020. In questa categoria sono comprese anche le ibride e persino le auto a GPL. Sono numerosi i distributori per quest’ultimo tipo di carburante. Ogni costruttore ha l’obbligo di venderne almeno il 15%. Se ne vende di più, può cedere la sua quota eccedente ad un altro costruttore, come dei crediti di imposta o gli ETS (Emission Trading System) per la CO2.

    Spine come nessun altro

    I numeri della rete di ricarica elettrica sono impressionanti: oltre 90mila punti di ricarica a corrente alternata e 15mila ad alta potenza a corrente continua nel 2021. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, in un anno sono cresciute rispettivamente in numero del 50% e del 70% e la Corea del Sud è diventata il paese con la più alta densità di rete di ricarica al mondo con 2,6 veicoli ogni punto di ricarica.

    Per avere un ordine di grandezza, l’Europa è a 15,5 e la Cina a 7,2. Solo Hyundai lo scorso anno ha installato in patria 120 spine da 350 kW e conta di arrivare a 5mila nel 2025. Per il 2022 fondi per i punti a bassa potenza è di 74 miliardi di won (52 milioni di euro) e di 37 miliardi (26 milioni) per quelli ad alta potenza, dunque triplicati rispetto al passato, così come gli incentivi all’acquisto.

    Hyundai e Kia pronte

    Il sistema dunque si è messo in moto. E anche l’industria. Hyundai prevede 17 modelli elettrici, dei quali 6 con il marchio Genesis. Kia ha annunciato 14 modelli entro il 2027 e di raggiungere il 30% di vendite in elettrico. La Corea del Sud ha 50 milioni di abitanti su una superficie di 100.00 kmq (un terzo dell’Italia), ma ha il 5% della capacità produttiva mondiale relativa alle celle per le batterie.

    I tre maggiori produttori sono LG, Samsung e SK Innovation, veri e propri giganti industriali. C’è dunque già un sistema pronto a sostenere – e a sostenersi – attraverso sia il mercato interno, sia la forza commerciale e industriale acquisita su tutti i mercati. Basta dire che in Europa nei primi 8 mesi dell’anno la quota di Hyundai e Kia è passata rispettivamente dal 4% al 4,8% e dal 4% al 5,2%, negli USA dal 5,2% al 5,5% e dal 4,7% al 5%.

    La forza e la flessibilità del sistema

    Quale è la forza di questi due marchi di fronte all’elettrificazione? Tre elementi: una grande esperienza, una clientela già acquisita e soprattutto una varietà che va dal mild-hybrid all’idrogeno e spesso è disponibile anche per uno stesso modello. Dunque piattaforme flessibili accanto ad altre dedicate come la E-GMP che vanta tecnologie avanzate come l’architettura a 800 Volt e l’inverter al carburo di silicio. Ed in arrivo ve n’è un’altra per una piccola elettrica a basso costo.

    Leggi l’articolo sulla piattaforma E-GMP base delle Hyundai e Kia del futuro

    Leggi l’articolo su Hyundai Ioniq 5, l’elettrica nata per diventare una stella

    Leggi larticolo su Kia EV6 che vince il titolo di Auto dell’Anno 2022

  • USA, tornano gli incentivi per le auto elettriche, e sono selettivi, protezionistici e con credito d’imposta

    Incentivi alle auto con la spina, per gli USA si prepara il gran ritorno, ma con correzioni di ordine operativo e protezionistico. Il piano è contenuto nell’Inflation Reduction Plan e prevede fino al 2032 un credito d’imposta pari a 7.500 dollari per auto elettriche o ibride o plug-in nuove e fino a 4mila per quelle usate.

    I tre “ma” dei nuovi incentivi

    Ma c’è un ma, anzi più di uno. Il primo ma è che c’è un limite di prezzo: 55mila dollari per le autovetture e 80mila per suv, truck e van. E questo risponde ad un criterio utilizzato anche da noi, sostenuto dal Fondo Monetario Internazionale e che sarà introdotto anche in Norvegia perché l’incentivo flat è iniquo e non vantaggioso per la comunità.

    Leggi l’articolo sui cambiamenti alle politiche di incentivazione dell’auto elettrica in Norvegia

    Un tetto al prezzo e al reddito

    Il terzo è che il reddito del beneficiario non deve superare (al netto di detrazioni e deduzioni) i 150mila dollari se è celibe o nubile, 225mila per i capofamiglia e 300mila per le coppie sposate. Anche in questo caso, il principio è di favorire la classe media e non chi può comunque acquistare auto da 200mila dollari.

    Anche per le auto usate

    Per le auto usate invece il credito massimo di 4mila euro non deve superare il 30% del prezzo di transazione che, in ogni caso, non deve superare i 25.000 dollari. In questo caso, i limiti di reddito sono di 75.000 dollari per i single, 150.000 per i coniugi in comunione dei beni e di 112.500 per i capifamiglia.

    Protezionismo mascherato, neppure troppo

    Il terzo ma è che le auto da acquistare devono essere prodotte sul suolo americano con batterie le cui materie prime critiche utilizzate (litio, nickel, cobalto, manganese, etc) devono essere sotto il controllo di aziende nazionali. Tale misura mira evidentemente a limitare il potere economico della Cina.

    Obiettivo primario: la Cina

    Come è noto infatti il Dragone controlla, attraverso proprie aziende, l’estrazione di metalli e terre rare indispensabili per le batterie. Non a caso sotto la Muraglia si è sviluppata l’industria di celle e batterie più grande del mondo, dapprima per l’elettronica di consumo e poi per l’autotrazione.

    Il 70% dei modelli sarebbe escluso

    Tale scelta ha però ricevuto due critiche fondamentali. La prima viene dall’esterno, la seconda dall’interno. Quest’ultima è firmata da John Bozzella. Dei 72 modelli PHEV, EV e FCEV attualmente in vendita negli USA – afferma il presidente della Alliance for Automotive Innovation (AII) – il 70% sarebbe immediatamente escluso.

    Il rischio dell’inefficacia

    Questo fa sì che il provvedimento rischia di essere inefficace mettendo in pericolo l’obiettivo di Washington del 40-50% delle auto vendute elettriche entro il 2030. Il numero uno dell’associazione che riunisce i costruttori condivide la ratio del provvedimento, ma chiede più tempo affinché l’industria nazionale possa organizzarsi.

    Leggi l’articolo sulle misure e gli obiettivi degli Usa per l’auto elettriche

    I costruttori chiedono ponderazione e tempo

    Bozzella sostiene che, per permettere al sistema di differenziare le fonti di approvvigionamento e consolidarsi, dare modo ai clienti di comprare auto alla spina e tutelare la sicurezza nazionale si debbano operare alcune correzioni tenendo anche conto delle alleanze strategiche e difensive che gli USA hanno.

    Tutelare le alleanze

    Per questo il presidente e ceo della AII propone di esentare dalle limitazioni i paesi che fanno parte della Nato, il Giappone e altri ancora che vantano con gli USA solide relazioni diplomatiche. «Allargare la lista dei paesi ammissibili fornirebbe opzioni più numerose per ridurre velocemente la dipendenza dalla Cina».

    Anche l’Unione Europea protesta

    L’altra critica arriva proprio dall’Unione Europea che, per bocca del portavoce della Commissione, Miriam García Ferrer, ha definito la misura statunitense «discriminatoria» e si è detta «preoccupata da questa nuova potenziale barriera commerciale transatlantica» che violerebbe le regole del WTO.

    Azione e reazione

    Il rischio è che le battaglie di trumpiana memoria sui dazi si prolunghino o prendano un’altra forma. Sta di fatto che l’Europa rappresenta per gli USA sempre un pericoloso concorrente ed è più lanciata dello Zio Sam nel costruire un mercato ed una base industriale per l’auto elettrica.

    L’esempio di Obama e oltre

    Va detto che il provvedimento riprende quanto fatto dall’amministrazione di Barack Obama negli anni 2008 e 2009, ma in quel caso era previsto un tetto di 200mila veicoli per ogni marchio. Dopo questo limite, l’incentivo diminuiva in modo progressivo. Il nuovo invece non è sottoposto ad alcun vincolo di volume.

    Sconto in… dichiarazione dei redditi

    Altro aspetto interessante del provvedimento è che non si tratta di uno sconto: è un credito d’imposta che il cliente può scaricare autonomamente oppure – e questa è una novità – cedere al concessionario. Come da noi succede per le ristrutturazioni edilizie o il loro efficientamento energetico.

    Il credito è del cliente

    Questo permette, prima di tutto, di possedere effettivamente il credito da parte del cliente e anzi gli dà maggiore potere negoziale. Il concessionario o le reti commerciali saranno infatti costrette ad acquistarlo alle migliori condizioni possibili aggiungendovi sconti in forma di denaro o di ulteriori incentivi.

    L’incentivo all’italiana

    L’incentivo in Italia invece è nelle mani dei concessionari e delle reti commerciali. Questo dà vita a situazioni non sempre chiare, ad aumenti di prezzo e permette operazioni commerciali dietro le quinte fatte nell’interesse non certo del mercato, del cliente e della effettiva transizione ecologica.

    Incentivi per l’elettrico a corrente alternata

    L’incentivo italiano ha inoltre un’altra caratteristica scomoda: ha avuto storicamente fondi limitati e deve essere frequentemente rifinanziato creando pause e distorsioni notevoli nel mercato. La cessione del credito fornita direttamente dal cliente può risolversi invece in una partita di giro tra il contribuente e l’esattore.

    L’esempio e l’insegnamento dell’edilizia

    Diciamo “può” perché occorre vedere chi garantisce la somma oggetto della eventuale cessione. L’esperienza recente italiana dimostra che, se la mediazione è affidata alle banche, il sistema crea spese ulteriori ed è soggetto ad incagliarsi. Vista però l’entità del credito, è più facile che lo gestisca direttamente.

    Per rendere utili gli incentivi

    Perché allora non fare incentivi all’americana anche in Italia attraverso il credito d’imposta? L’Unrae lo aveva proposto anni fa prendendo ad esempio proprio gli incentivi riservati all’edilizia. Non se n’è fatto nulla. Alla luce del sostanziale fallimento degli incentivi attuali che ha costretto ad una loro profonda revisione, val bene riflettere sulla creazione di meccanismi nuovi che siano convincenti, trasparenti ed efficaci. L’esperienza insegna che non è solo la quantità di denaro a fare la differenza, ma la scelta dei canali e delle modalità giusti attraverso i quali elargire benefici che siano davvero apprezzabili dal mercato innescando il ricambio e l’effettivo miglioramento dell’efficienza del circolante.

  • La scelta di Ulrich, vivere in modo naturale sulle Dolomiti – Video del mio incontro

    Ulrich, l’eremita delle Dolomiti. Questo è il nome che è stato dato alla persona incredibilmente interessante che incontro proprio sotto il Sassopiatto, una delle montagne più famose e affascinanti che ci siano in Italia.

    Ulli, questo è il nomignolo con cui si fa normalmente chiamare, è intento a girare il suo fieno quando arrivo alla piccola malga. Fieno rigorosamente tagliato e raccolto a mano, come si faceva una volta.

    Ulrich falci fienile

    Non è un eremita

    Penso addirittura che non voglia parlarmi o vedermi in giro tra il suo fienile e il suo orto, quando lo vedo da lontano. Un eremita è così, si isola in un luogo remoto e non vuole incontrare nessuno.

    Invece Ulli arriva verso di me, mi saluta e si ferma a parlare anche con altre persone, che si sono avvicinate seguendo le mie orme e quelle di mia moglie Laura, che mi ha avuto l’intuizione di questo incontro e mi spinge a cercare di parlare con lui e a chiedergli di realizzare un video insieme, prestandosi anche a fare da operatrice.

    Ulrich non è affatto un eremita qui sulle Dolomiti, vuole parlare con gli altri e – anzi – sta realizzando questo suo progetto sperimentale di vita completamente naturale, in equilibrio con un luogo montano che d’inverno ha temperature molto al di sotto dello zero per lunghi periodi, senza l’ausilio di macchinari e cercando di lasciare un’impronta ambientale nulla, con precisi fini di condivisione.

    Ulrich Dolomiti Malga

    L’esperimento

    Secondo me, sentendo quello che mi dice Ulrich, vedendo il suo luogo di vita e dopo aver conosciuto il suo passato (che potrebbe diventare di nuovo il suo futuro, chissà…), il suo è un vero e proprio progetto sperimentale.

    Un esperimento, che vuole provare come si possa ancora vivere e lavorare in armonia con un luogo naturalmente meraviglioso, come le Dolomiti, senza bisogno di risorse che arrivino da chissà dove, utilizzando soltanto materiali locali e completamente a Zero Emissioni, oltre che a zero consumo di materiali non rinnovabili.

    Rastrelli in legno

    Ulli è arrivato sulle Dolomiti sotto il Sassopiatto, dove vivevano i suoi nonni e bisnonni, per vivere nel presente recuperando alcuni elementi tutt’ora applicabili del passato, come il lavoro manuale, l’utilizzo di risorse locali e l’adozione di soluzioni naturali per convivere con il tempo atmosferico che si sussegue nelle diverse stagioni.

    Il suo passato (e futuro?) da architetto

    Nel passato di Ulrich c’è una vita da architetto vissuta tra Vienna, Berlino e Amburgo. Prima del 2019, quando è tornato sulle Dolomiti da dove era partito ragazzo, tra l’Austria e la Germania ha esercitato con successo la sua professione. Ha una moglie, dalla quale è attualmente separato, e due figli piccoli che vivono in Germania e quando possibile vengono a trovarlo e trascorrono con lui giornate entusiasmanti alla scoperta della natura, sia d’inverno che d’estate.

    FO con Ulrich

    Una vita piena, quindi, che si arricchisce oggi di un ulteriore, incredibile contenuto grazie alla scelta di vivere qui e in questo modo.

    Questo fatto, dal mio punto di vista, rende ancora più interessante l’esperimento di Ulli. Ha una vita piena e non la rinnega affatto, anzi. La spinge verso nuovi obiettivi con il suo progetto, che ha dentro elementi già visti in sue creazioni da architetto, portati però all’essenziale, per capire se e come le sue teorie urbanistiche e sociali possano essere applicabili.

    Fabio Orecchini con Ulrich

    Il progetto del comprensorio a impatto zero

    Mentre parliamo, quando capisco che Ulrich è un architetto, gli chiedo se abbia ancora qualche suo progetto da mostrarmi.

    Mi dice di sì e mi fa vedere un progetto che – in base al suo racconto – è stato a un passo dal poter essere realizzato in Germania, a metà strada tra Berlino e il Mar Baltico.

    Progetto comprensorio impatto zero

    Si tratta di un comprensorio fatto di case con grandi vetrate e muri realizzati con materiali naturali, dove la luce e il calore vengono sapientemente distribuiti e accumulati. Un progetto che Ulrich non ha affatto abbandonato e che probabilmente rappresenta il passo successivo rispetto alla sua attuale esperienza sulle Dolomiti.

    Sperimentare per condividere

    Ecco perché quello che è stato giornalisticamente e frettolosamente chiamato l’Eremita delle Dolomiti è tutt’altro che un eremita.

    Ulrich sta cercando delle soluzioni capaci di confermare la sua tesi, che qualcuno chiamerebbe ambientalista, sulla possibilità di avere una vita piena, attiva e soddisfacente attingendo a risorse locali e senza impatti ingiustificati sull’ambiente.

    Ulrich rastrelli legno

    Il suo esperimento non è certamente destinato a rimanere racchiuso nell’esperienza di un solo uomo, ma ha un futuro davanti. Fatto di condivisione, nella sua malga – per chi vuole già adesso, senza pagare ma rendendosi utili nei lavori necessari e magarti con qualche baratto – come nei futuri comprensori che nasceranno grazie al suo genio architettonico.

    Non buttare la plastica già presente

    Una delle sfide più difficili per Ulli è quella di trovare alternative alla plastica per alcuni utilizzi.

    Mentre sperimenta vecchie e nuove soluzioni, ha deciso di non buttare la plastica già presente nella sua malga.

    Ciò che è già stato prodotto, e lui ha trovato nella malga al suo arrivo nel 2019, va utilizzato e poi correttamente smaltito, non buttato subito. Perché l’impatto causato dalla produzione e dalla distribuzione fin lì in montagna c’è già stato, quindi anche quel materiale – che Ulrich certo non ama – va utilizzato fino a quando sarà in grado di rendersi utile.

    Malga Sassopiatto

    Natura e ragione, quindi. Non idee astratte e integralismi ingiustificati.

    Questo è Ulrich sulle Dolomiti, detto Ulli. Tornerò a trovarlo con grande piacere. Magari portando dell’avena e delle noci per la colazione, come mi ha chiesto prima di salutarmi.

    Arrivederci, Ulli. Buona vita nella natura.

  • Toyota bz4X, sulle strade e sui monti di Copenaghen. La prova dell’elettrica delle Tre Ellissi

    A Copenaghen c’è un colle sul quale si scia e da dove si può vedere il ponte di Øresund che collega la capitale della Danimarca alla città svedese di Malmö. Quasi 16 chilometri, alcuni dei quali in realtà corrono sotto il mare per poi riemergere e correre leggeri sullo stretto che divide Mar Baltico e Mare del Nord. Un capolavoro di ingegneria con stralli lunghi fino a 490 metri e piloni alti fino a 206 metri.

    Copehagen
    Copenhill, per bruciare e sciare

    È tutto vero, compreso il fatto che a Copenhagen ci sia un colle dove si scia. Si chiama Copenhill, è in realtà un enorme termovalorizzatore altro circa 100 metri. Alla base vi è un negozio dove di affitta materiale da sci, le sue piste artificiali sono rivestite di un materiale speciale. Vi si sale con uno skilift e c’è anche lo spazio per erbe, alberi e fiori. Come se fosse davvero la cima di una montagna.

    Copenhagen
    Ricarica ad idrogeno

    Siamo venuti qui a provare la versione definitiva della Toyota BZ4X. E alla base di Copenhill ci sono i punti di ricarica. Per alimentarli c’è un impianto fuel-cell mobile alimentato con idrogeno verde. Un cerchio che si chiude in modo simbolico: l’energia diventata idrogeno che si tramuta di nuovo in energia per muoversi. E poi ci sono l’acqua, il vento che fa girare le pale eoliche sul mare e il fuoco che crea energia dai rifiuti.

    Copenhagen
    Il poker di Nagoya

    Sembra il contesto perfetto per l’auto elettrica, per la nuova mobilità della quale Toyota fa già parte da tempo. Solo che, a differenza degli altri, vi è entrata per gradi e vuole restarvi con un poker di tecnologie di elettrificazione: ibrido full, ibrido plug-in, fuel cell ad idrogeno ed elettrico. Messi in ordine di tempo, non di priorità. Secondo Nagoya infatti il vertice è rappresentato dall’idrogeno.

    Idrogeno
    Credere prima nell’elettrificazione

    L’elettrico è una novità abbastanza recente. Si è anche detto: Toyota non crede nell’elettrico. Chi lo fa non conosce evidentemente Toyota che, da sempre contempla le auto che si muovono a batteria tra le tecnologie necessarie. Sicuramente, non l’unica come molti insistono nel dire. La cosa certa è che Toyota l’elettrificazione l’ha avviata quando nessuno vi credeva e nella BZ4X c’è tutta la sua esperienza in merito.

    Toyota bz4X
    Un’esperienza da oltre 20 milioni

    Dagli inizi degli anni ’90 a Nagoya si studiano motori elettrici, batterie e batterie. Dal 1997, quando la Prius fu presentata, sono stati messi su strada oltre 20 milioni di automobili che – con o senza motore a scoppio e con o senza celle a combustibile – si muovono grazie a queste tecnologie. I 25 anni di esperienza vera oggi permettono a Toyota di mettere su strada la BZ4X e di manifestare qualche legittimo dubbio sulle capacità taumaturgiche dell’elettrico.

    Copenhagen
    Un ponte, un termovalorizzatore e un’elettrica

    Avevamo per questo grande curiosità per provare la versione definitiva della BZ4X, dopo la prova in anteprima del prototipo, e vedere Copenhill. Il colle artificiale, spazzato dal vento – non di montagna ma del Mare del Nord – regala temperature che in giugno oscillano tra 12 e 14 °C. Il ponte di Øresund è all’orizzonte e, mentre il termovalorizzatore è in moto, non si avvertono rumori o odori, anche a pochi metri dalla ciminiera mentre sono prodotti calore ed energia per 150mila edifici.

    Woven City Monte Fuji
    Il filo tra Danimarca, Giappone e Italia

    Anche il grigio del cielo inghiotte senza sforzo il sottile sbuffo della ciminiera. Per noi mediterranei è un atmosfera, rotta soltanto dal verde del prato, dai fiori e dalla pizzeria che si trova su questa struttura che ha un altro legame con la sostenibilità e Toyota. Ad averla progettata infatti è lo studio danese BIG-Bjarke Ingels Group, lo stesso che si sta occupando di Woven City ai piedi del monte Fuji e il cui progetto esecutivo è stato presentato ai giapponesi dall’italiana Giulia Frittoli.

    Non si maschera più

    In questa tessitura di destini e verbale (woven in inglese vuol dire intrecciato, tessuto) c’è anche la BZ4X. L’ultima volta ci eravamo visti al Sud della Spagna, tra i guadi e il fango della tenuta di Nasser Al-Attiyah e le strade dell’entroterra catalano. Stavolta non ci sono camuffature e quello che c’è è definitivo. La posizione di guida è sportiva, la visibilità ottima, la sensazione è di essere su un’auto che guarda avanti.

    Leggi la prova in anteprima della Toyota BZ4X

    Toyota bz4X
    Morbida e progressiva

    La versione provata è quella con ruote su cerchi da 20” e a trazione integrale. Due motori da 80 kW l’uno per una coppia di 336 Nm, espressi con armonia e dolcezza. La BZ4X non cerca l’effetto “wow” di molte elettriche, al contrario è morbida ed estremamente graduale all’acceleratore. Lo 0-100 km/h avviene in 6,9 s. Anche la modulabilità del pedale del freno è di ottimo livello, piacerebbe avere più di due livelli di decelerazione e recupero, magari le levette al volante e anche la possibilità di guidare con un solo pedale. La decelerazione massima è di 0,15 G e c’è una sola modalità di guida.

    Toyota bz4X
    Assetto indovinato

    Le due cifre della BZ4X sono il comfort e la facilità di guida. Rispetto al prototipo, lo sterzo sembra un più lento nella risposta, ma rimane l’assetto piatto e composto eppure a proprio agio sulle sconnessioni. Sulle strade ve ne sono ben poche, ma sono assorbite in modo morbido e preciso. Giudizio estremamente positivo anche per la silenziosità del corpo vettura (cx di 0,28), del sistema elettrico e la progressività dei sistemi di assistenza alla guida.

    Toyota bz4X
    Consumi esatti!

    I consumi. I tecnici Toyota ci hanno dato prima dell’inizio della prova dati seconda degli allestimenti e delle versioni. Ebbene dopo 104 km di prova partendo dal 97% di batteria, il computer di bordo indica un’autonomia di 283 km. Ma il dato sorprendente è la media di consumo: 18,1 kWh/100 km. Era il dato esatto che ci era stato pronosticato. Segno che il guidatore normale può contare su 400 km sicuri. I dati di omologazione indicano una forbice tra 411 km e i 516 km della versione 2WD da 150 kW con ruote da 18”.

    Toyota bz4X
    Il serbatoio di energia ed esperienza

    La batteria ha una capacità netta di 71,4 kWh (netti o lordi?), è la prima di Toyota raffreddata a liquido attraverso un sistema integrato con la pompa di calore dedicata alla climatizzazione. Secondo i tecnici giapponesi assicura la temperatura ideale ad abitacolo e accumulatore in un intervallo tra -30 °C e +60 °C. I motori invece sono raffreddati a olio. La batteria si ricarica in corrente continua fino a 150 kW e in alternata fino a 11 kW.

    Toyota bz4X
    Fino ad un milione di chilometri

    Anche sulla struttura interna i tecnici dicono poco. Apparentemente è molto sottile, molto ben integrata nella scocca e ha solo 96 celle fornite dalla Prime Earth Energy, joint-venture tra Toyota e Panasonic. Questo fa supporre un design senza moduli con lunghe celle a lama controllate singolarmente. Toyota dunque si tiene i suoi segreti e sa bene quello che fa. Promette infatti di poter garantire la batteria della BZ4X per 10 anni o un milione di km mantenendo il 70% dell’efficienza, se i tagliandi si fanno presso la propria rete.

    Leggi l’articolo sulla joint-venture tra Panasonic e Toyota

    Autonomia dal sole e sterzo by-wire

    La BZ4X ha in serbo altre due chicche. La prima è il pannello fotovoltaico che, in situazioni di soleggiamento normale, potrà assicurare 1.800 km di autonomia assolutamente puliti. La seconda è il sistema sterzante by-wire, ovvero senza collegamento meccanico tra volante e ruote: basteranno 150 gradi di angolo per una svolta completa mentre in marcia demoltiplicazione e grado di assistenza saranno regolate continuamente. La BZ4X arriva per la fine dell’anno con un listino che parte da 50mila euro.

    Toyota bz4X
  • Kinto, auto a idrogeno in car sharing prima volta nella storia a Venezia

    Kinto, il marchio Toyota dedicato alle nuove soluzioni di mobilità, introdurrà a breve anche le prime auto a idrogeno nella sua offerta di car sharing Kinto Share.

    A seguito della recente apertura al pubblico della stazione ENI a Venezia per il rifornimento di idrogeno con caratteristiche appropriate alle auto Fuel Cell di ultima generazione, tre Toyota Mirai a idrogeno entreranno a far parte della flotta Kinto Share nella città lagunare.

    Kinto share a Venezia diventerà così il primo car sharing pubblico in Italia dotato di vetture alimentate ad idrogeno, tecnologia a zero emissioni cruciale per  il futuro del settore energetico e della mobilità

    Crescita Kinto Share

    Sono oltre 30.000 i noleggi effettuati da oltre 6.200 utenti di KINTO Share, che hanno viaggiato per oltre 1 Milione e 450 mila chilometri, percorsi per circa il 50% del tempo in modalità zero emissioni.risparmiando, rispetto ad una equivalente motorizzazione convenzionale, l’emissione di circa 42 tonnellate di CO2.

    Car-sharing Yaris Cross Kinto Share aeroporto di Venezia parcheggio

    Dopo quattro anni di operatività in Italia, sono questi i numeri di KINTO Share, il servizio di car sharing di KINTO, terzo brand globale del gruppo Toyota dedicato ai servizi di mobilità, che sta cambiando concretamente le abitudini di spostamento degli italiani attraverso una soluzione semplice, sostenibile, accessibile a tutti.

    Nel giugno 2018 Kinto Share, all’epoca Yuko with Toyota, ha fatto il suo ingresso a Venezia diventando così il primo car sharing pubblico con flotta ibrida elettrificata in Italia e facendosi conoscere non solo per la semplicità e la rapidità di un’esperienza di noleggio 100% digitale ma anche per i vantaggi della tecnologia Full Hybrid Electric delle vetture Toyota e Lexus.

    Direttrici di sviluppo

    Kinto Share ha continuato a svilupparsi lungo tre direttrici principali:

    1. La città, con l’esperienza della mobilità pubblica di Venezia e i 3 differenti modelli di car sharing implementati: il classico station based round trip, l’opzione one way e l’alternativa free floating, la cui combinazione garantisce a tutti un’opzione efficace di intermodalità. A Venezia anche la flotta di veicoli si è ampliata in questi anni potendo offrire ai clienti l’ampia gamma elettrificata Toyota e Lexus, dalla Toyota Yaris, alla Toyota Yaris Cross sino a Toyota Corolla e Lexus UX in modo da intercettare la vasta domanda di mobilità presente in quell’area.
    2. Il territorio, dove la rete dei concessionari Toyota e Lexus è sempre più protagonista: difatti grazie al loro impegno, un numero più ampio di utenti può oggi beneficiare del servizio Kinto Share in Italia che è operativo con una formula station based in 7 Regioni: Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Abruzzo e Sardegna, 19 province tra cui le città di Milano, Venezia, Verona, Bologna, Varese, Vicenza, Como e Cagliari e 3 aeroporti con un totale di 41 punti di consegna.
    3. Le aziende che grazie a Kinto Share sono in grado di introdurre la mobilità condivisa tra i loro dipendenti. Difatti l’offerta Kinto Share Corporate rappresenta la naturale evoluzione di una flotta aziendale che, con l’aggiunta di una piattaforma di gestione digitale dei veicoli, può diventare realmente condivisa generando efficienza ed aprendo la strada ad opzioni interessanti in ottica di welfare.
    App Kinto share

    Nuova App

    Da qualche mese il servizio si basa su una nuova app più veloce, intuitiva che permette una connessione con il veicolo più rapida in grado di garantire un’esperienza cliente migliore rispetto al passato anche perché consente ai clienti registrati di accedere al servizio Kinto Share in tutte le località dove è già disponibile.

    Kinto Share è il servizio che ci fa sentire orgogliosi di aver intrapreso questo percorso verso la mobilità semplice, sostenibile ed accessibile a tutti.

    A parlare è Vincent Van Acker, Service Design & User Experience Director di Kinto Italia.

    Inoltre è proprio grazie all’evoluzione di KINTO Share che riusciamo ad aumentare il nostro livello di conoscenza della mobilità degli italiani e di conseguenza rendiamo i concessionari della rete Toyota e Lexus dei Mobility provider capaci di soddisfare tutte le esigenze di mobilità sul territorio.

    Chi ha bisogno di un’auto per un’esigenza temporanea, da pochi minuti fino ad un mese, può prenotare tramite l’app l’autovettura più adatta ogni volta che ne hanno bisogno e per tutto il tempo che serve con la libertà di scegliere la tariffa migliore.

    Kinto Share parcheggio

    Cento punti di consegna entro il 2022

    Il percorso di evoluzione del servizio Kinto Share, oltre all’arrivo delle prime auto a idrogeno della storia in Italia in un servizio di car sharing, ha altri due obiettivi già fissati:

    1. Sul territorio continuerà l’attivazione del servizio presso la rete dei concessionari con l’obiettivo di raggiungere gli oltre 100 punti di consegna a fine 2022. 
    2. Infine, la versatilità di Kinto Share, porta a sviluppare esperienze pilota non solo presso le aziende ma anche in altri contesti come, ad esempio, quello degli operatori turistici, che appaiono fortemente interessati a questa soluzione di mobilità che è già in grado oggi di accogliere tutte le novità di prodotto, comprese quelle ad emissioni zero, che arriveranno prossimamente nella gamma di veicoli Toyota e Lexus.