Kinto, il marchio Toyota dedicato alle nuove soluzioni di mobilità, introdurrà a breve anche le prime auto a idrogeno nella sua offerta di car sharing Kinto Share.
A seguito della recente apertura al pubblico della stazione ENI a Venezia per il rifornimento di idrogeno con caratteristiche appropriate alle auto Fuel Cell di ultima generazione, tre Toyota Mirai a idrogeno entreranno a far parte della flotta Kinto Share nella città lagunare.
Kinto share a Venezia diventerà così il primo car sharing pubblico in Italia dotato di vetture alimentate ad idrogeno, tecnologia a zero emissioni cruciale per il futuro del settore energetico e della mobilità.
Crescita Kinto Share
Sono oltre 30.000 i noleggi effettuati da oltre 6.200 utenti di KINTO Share, che hanno viaggiato per oltre 1 Milione e 450 mila chilometri, percorsi per circa il 50% del tempo in modalità zero emissioni.risparmiando, rispetto ad una equivalente motorizzazione convenzionale, l’emissione di circa 42 tonnellate di CO2.
Dopo quattro anni di operatività in Italia, sono questi i numeri di KINTO Share, il servizio di car sharing di KINTO, terzo brand globale del gruppo Toyota dedicato ai servizi di mobilità, che sta cambiando concretamente le abitudini di spostamento degli italiani attraverso una soluzione semplice, sostenibile, accessibile a tutti.
Nel giugno 2018 Kinto Share, all’epoca Yuko with Toyota, ha fatto il suo ingresso a Venezia diventando così il primo car sharing pubblico con flotta ibrida elettrificata in Italia e facendosi conoscere non solo per la semplicità e la rapidità di un’esperienza di noleggio 100% digitale ma anche per i vantaggi della tecnologia Full Hybrid Electric delle vetture Toyota e Lexus.
Direttrici di sviluppo
Kinto Share ha continuato a svilupparsi lungo tre direttrici principali:
La città, con l’esperienza della mobilità pubblica di Venezia e i 3 differenti modelli di car sharing implementati: il classico station based round trip, l’opzione one way e l’alternativa free floating, la cui combinazione garantisce a tutti un’opzione efficace di intermodalità. A Venezia anche la flotta di veicoli si è ampliata in questi anni potendo offrire ai clienti l’ampia gamma elettrificata Toyota e Lexus, dalla Toyota Yaris, alla Toyota Yaris Cross sino a Toyota Corolla e Lexus UX in modo da intercettare la vasta domanda di mobilità presente in quell’area.
Il territorio, dove la rete dei concessionari Toyota e Lexus è sempre più protagonista: difatti grazie al loro impegno, un numero più ampio di utenti può oggi beneficiare del servizio Kinto Share in Italia che è operativo con una formula station based in 7 Regioni: Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Abruzzo e Sardegna, 19 province tra cui le città di Milano, Venezia, Verona, Bologna, Varese, Vicenza, Como e Cagliari e 3 aeroporti con un totale di 41 punti di consegna.
Le aziende che grazie a Kinto Share sono in grado di introdurre la mobilità condivisa tra i loro dipendenti. Difatti l’offerta Kinto Share Corporate rappresenta la naturale evoluzione di una flotta aziendale che, con l’aggiunta di una piattaforma di gestione digitale dei veicoli, può diventare realmente condivisa generando efficienza ed aprendo la strada ad opzioni interessanti in ottica di welfare.
Nuova App
Da qualche mese il servizio si basa su una nuova app più veloce, intuitiva che permette una connessione con il veicolo più rapida in grado di garantire un’esperienza cliente migliore rispetto al passato anche perché consente ai clienti registrati di accedere al servizio Kinto Share in tutte le località dove è già disponibile.
Kinto Share è il servizio che ci fa sentire orgogliosi di aver intrapreso questo percorso verso la mobilità semplice, sostenibile ed accessibile a tutti.
A parlare è VincentVan Acker, Service Design & User Experience Director di Kinto Italia.
Inoltre è proprio grazie all’evoluzione di KINTO Share che riusciamo ad aumentare il nostro livello di conoscenza della mobilità degli italiani e di conseguenza rendiamo i concessionari della rete Toyota e Lexus dei Mobility provider capaci di soddisfare tutte le esigenze di mobilità sul territorio.
Chi ha bisogno di un’auto per un’esigenza temporanea, da pochi minuti fino ad un mese, può prenotare tramite l’app l’autovettura più adatta ogni volta che ne hanno bisogno e per tutto il tempo che serve con la libertà di scegliere la tariffa migliore.
Cento punti di consegna entro il 2022
Il percorso di evoluzione del servizio Kinto Share, oltre all’arrivo delle prime auto a idrogeno della storia in Italia in un servizio di car sharing, ha altri due obiettivi già fissati:
Sul territorio continuerà l’attivazione del servizio presso la rete dei concessionari con l’obiettivo di raggiungere gli oltre 100 punti di consegna a fine 2022.
Infine, la versatilità di Kinto Share, porta a sviluppare esperienze pilota non solo presso le aziende ma anche in altri contesti come, ad esempio, quello degli operatori turistici, che appaiono fortemente interessati a questa soluzione di mobilità che è già in grado oggi di accogliere tutte le novità di prodotto, comprese quelle ad emissioni zero, che arriveranno prossimamente nella gamma di veicoli Toyota e Lexus.
Honda Civic ibrida modello 2022. C’è ancora chi si chiede perchè l’auto diventi sempre più elettrica.
La risposta è nelle caratteristiche e nella mia prova su strada a Madrid della nuova Honda Civic, il cui sistema ibrido con motore Atkinson 2 litri di cilindrata a benzina iniezione diretta consuma meno del precedente 1.000 benzina, ha più coppia del 1.600 Diesel ed è più potente del precedente 1.500 benzina turbo.
Numeri che dicono più delle parole, come spesso accade. Il tutto con nuove celle per le batterie al litio e a una nuova capacità di gestire la carica degli accumulatori. L’ibrido, insomma, come rampa di lancio dell’elettrico.
L’essenza ibrida della nuova generazione di Honda Civic, disponibile esclusivamente con motorizzazione full hybrid a benzina più elettrico, trova una chiara spiegazione nei numeri che ne descrivono le prestazioni.
Il consumo medio dichiarato è di 4,7 litri di benzina per cento chilometri di percorrenza (108 grammi al chilometro di emissioni di CO2), la potenza massima è di 135 kW e la coppia arriva a 315 Nm. Questo significa che il sistema ibrido della nuova Honda Civic e:Hev consuma meno dell’attuale versione benzina da un litro di cilindrata, è più potente del benzina turbo da 1,5 litri e ha coppia massima superiore rispetto all’attuale diesel 1,6 litri oggi a listino.
Ibrido batte benzina, diesel e turbo
Il nuovo ibrido 2,0 litri di cilindrata ciclo Atkinson a iniezione diretta ad alta pressione, unito al motore elettrico di trazione, al generatore e alle altre componenti elettriche, batte cioè ognuno dei tre motori precedenti nella sua caratteristica migliore.
Prova su strada
Mettendosi alla guida dell’undicesima generazione della Honda Civic, che arriva a cinquant’anni dal lancio della prima versione, risulta subito evidente la grande dinamicità del nuovo sistema ibrido. In accelerazione la trasmissione e-Cvt, che non prevede un vero e proprio cambio ma una sorta di staffetta alle varie velocità tra trazione elettrica e motore a benzina basata su rapporti fissi, simula nell’andamento del numero dei giri del motore termico un cambio sequenziale a rapporti molto corti, dando la netta sensazione di trovarsi al volante di un modello sportivo.
La curva di incremento della velocità è molto soddisfacente (il valore dichiarato da zero a 100 km/h è di 7,8 secondi) e soprattutto, grazie alla nuova capacità dei progettisti Honda di sfruttare in modo decisamente maggiore la parte elettrica, non fa mai salire di giri il motore a benzina in modo asincrono rispetto alle aspettative del conducente.
Grandi performance
La modalità “Engine” del sistema ibrido, che prevede l’invio diretto alle ruote di potenza dal motore termico, viene mantenuta anche in situazioni nelle quali precedentemente la medesima architettura ibrida Honda prevedeva l’attivazione della modalità “Hybrid” con necessità di aumento del regime di rotazione del motore a benzina per azionare anche il generatore elettrico destinato a inviare elettricità supplementare alle batterie. Il principale motivo di questo grande salto in avanti dal punto di vista della godibilità di guida è nelle nuove batterie al litio, di soli 1.05 kWh di capacità, che hanno una nuova tecnologia per le celle e nelle quali più di due decenni di esperienza nell’ibrido hanno consentito di ampliare nettamente l’intervallo di utilizzo della carica.
Su strada anche il cofano anteriore in alluminio, più basso di 2,5 centimetri e il passo allungato di 3,5 centimetri rispetto alla versione precedente, con il portellone posteriore realizzato per la prima volta in resina, più leggero del 20% rispetto al componente tradizionale, danno un contributo percepibile all’ottima guidabilità.
Alleggerimenti mirati, nuova geometria per passo e carreggiata posteriore e grande attenzione alla rigidità del telaio si traducono in un ottimo controllo in curva.
Con l’elettronica che arriva a dare un’ulteriore mano, grazie al sistema di rilevamento dei tornanti e alla gestione predittiva della carica della batteria realizzata grazie ai dati del sistema di navigazione.
Nuovi interni
Gli interni fanno un salto in avanti con il nuovo display conducente da 10,2” e un display centrale da 9”, oltre al nuovo diffusore a nido d’ape che integra le bocchette d’uscita del climatizzatore dotate di maggiore escursione – che si traduce in migliore confort di bordo – rispetto alle precedenti.
Prezzi e versioni
L’arrivo sul nostro mercato è previsto per il prossimo mese di ottobre, con prezzi di 34.200 euro per la già ben accessoriata versione Elegance, 35.300 per la versione sport, 38.700 euro per la Advance al vertice della gamma Honda Civic e:Hev.
American Airlines sta per decollare in verticale. La compagnia aerea americana ha infatti confermato che acquisterà 50 velivoli elettrici a decollo verticale (eVTOLo electrical Vertical Take Off and Landing) dalla Vertical Aerospace. L’annuncio arriva ad un anno circa dall’annuncio di aver prenotato 250 mezzi con l’opzione per altri 100.
In questo modo la società di Fort Worth conferma l’investimento fatto direttamente sulla start-up di Bristol, nel Regno Unito. La Vertical Aerospace è stata fondata nel 2016 da Stephen Fitzpatrick, ingegnere ed imprenditore che ha fatto anche un passaggio in Formula 1 con il team Manor. In questo mondo l’inglese ha evidentemente ancora amici visto che l’ultimo ingresso nel consiglio di amministrazione è Mike Flewitt, ex amministratore delegato di McLaren Automotive.
Dalla Formula 1 all’aviazione
Inoltre uno dei suoi investitori-clienti è la Virgin, la cui storia si intreccia con la Manor, è parte di una galassia industriale da poco uscita dalla Formula E che fa capo al vulcanico sir Richard Branson. Partendo dal mondo dell’intrattenimento, la Virgin ora è sempre più concentrata sul trasporto aereo, i servizi aerospaziali con la Virgin Galactic e persino il turismo spaziale con la Virgin Orbit.
Investitori del settore e non
Gli altri investitori, oltre ad American Airlines e a Virgin, sono la Rolls-Royce Holdings e la Broadstone Acquisition. Quest’ultima era un’azienda operativa nella stesso settore che si è fusa con la Vertical Aerospace nel dicembre 2021, poco prima della quotazione alla Borsa di New York con la sigla EVTL. Il valore stimato era di 2,2 miliardi di dollari con un prezzo di aperura di 12,84 dollari per azione.
Il controllo del valore
Dopo una discesa lenta e il minimo di 2,90 dollari raggiunto il 14 luglio scorso, l’annuncio di American Airlines ha riportato il titolo ad oscillare tra 6 e 8,5 dollari. C’è dunque il legittimo dubbio che la compagnia americana abbia voluto tutelare il proprio investimento e spingere il proprio bilancio trimestrale e il proprio valore in borsa. L’11 luglio ha inoltre presentato il suo Environmental, Social and Governance Report per il 2021.
La prima volta per una grande
A parte queste speculazioni, è la prima volta che una compagnia aerea così grande (29,9 miliardi di fatturato e 165,7 milioni di passeggeri nel 2021 con 913 velivoli) si espone nel campo degli eVTOL che rientrano nei piani di decarbonizzazione. La Iata (International Air Transport Association) ha fissato nel 2050 l’obiettivo di dimezzare le emissioni nette dei CO2 e del 70% l’impronta per tutto il ciclo di vita dell’aviazione.
Gli obiettivi IATA e il potenziale effettivo
Un piano ambizioso, ma non irraggiungibile. Secondo lo studio Decarbonizing Aerospace realizzato dalla Deloitte, c’è anzi il potenziale di tagliare le emissioni di CO2 dell’85% entro quella data. Anche in questo caso, non esiste la pallottola d’argento, ma una gamma di soluzioni che agiscono sull’intero sistema: materiali, gestione a terra, gestione ottimizzata del traffico, compensazioni con o senza ETS (Emission Trading Scheme) e infine i carburanti e i sistemi di propulsione (elettrico, ibrido, idrogeno).
Cresce il traffico, calano le emissioni
Al momento l’aviazione civile è responsabile del 2-3% delle emissioni di CO2 mondiali. Tuttavia sono salite del 32% dal 2013 al 2018 e se, il traffico aumentasse a 10 miliardi di passeggeri all’anno nel 2050 rispetto ai 4,6 miliardi del 2019, la CO2 emessa salirebbe dei 2,6 volte mantenendo le tecnologie attuali. A quel punto i 2,35 miliardi di tonnellate di CO2 varrebbero il 22% del totale.
Una questione di accettabilità
Il rischio è che il volo diventi inaccettabile economicamente e socialmente con un serio contraccolpo: -40 miliardi di dollari di giro d’affari e 110mila persone occupate in meno. Nell’ultimo decennio l’aviazione civile ha diminuito la propria impronta di CO2 dell’1,5% all’anno. Attualmente ogni passeggero di linea produce in media 108 kg di CO2. Il cammino verso la sostenibilità dunque è già avviato e va accelerato.
Il SAF, l’elettrico e l’idrogeno
Un volo tra New York e Londra produce una tonnellata di CO2 per passeggero, quanto un cittadino di una nazione civilizzata in un anno. Sono già in uso i cosiddetti SAF (Sustainable Aviation Fuel) di origine bio (da scarti biologici) o sintetici (cattura di CO2 con l’idrogeno) che hanno il potenziale di tagliare del 75% la CO2 sui voli a lungo raggio. Ma costano da 4 a 10 volte di più. L’idrogeno è, secondo la Deloitte, la soluzione cardine per a transizione.
Batterie per il corto ed il medio
Per l’elettrico il problema è il solito: le batterie. La loro densità di energia, secondo Deloitte, è 14 volte inferiore ai carburanti liquidi. Il loro terreno di elezione sono il corto e il medio raggio. Nel primo caso, con l’elettrico l’impronta di CO2 sarebbe abbattuta del 60%, nel secondo del 40-45%. Il potenziale combinato di Saf ed elettrico è di tagliare la CO2 emessa di 1,49 miliardi di tonnellate di CO2.
Quattro più pilota
Il VX4 di Vertical Aeoropace rientra a pieno titolo in questa strategia. Trattasi di un velivolo elettrico quadrimotore lungo 13 metri e con un apertura di 15, capace di trasportare 4 persone più pilota. La potenza massima dei motori, sviluppati da Rolls-Royce, è di circa 1 MW per una velocità di 202 miglia orarie (324 km/h) e un’autonomia di 100-120 miglia con una silenziosità straordinaria: solo 45 dB a velocità di crociera.
Più di un taxi
A conti fatti, il V4X sarebbe capace di compiere voli di mezz’ora. Sarebbe una via di mezzo tra taxi ed un volo a corto – anzi cortissimo – raggio. Potrebbe essere ideale per andare da Roma a Perugia o ad Ancona, da Bologna a Firenze o a Venezia, da Milano a Genova. Ma anche Palermo-Catania, Cagliari-Alghero Sarebbe dunque un segmento delle mobilità in grado di integrare quella aerea e sostituire alcune forme inefficienti su strada e rotaia, soprattutto in Italia che è una nazione lunga, stretta e divisa da forti rilievi.
In competizione con l’elicottero
Per le megalopoli sarebbe il mezzo ideale per collegare i tanti piccoli aeroporti esistenti e crearne di nuovi in base alle necessità. All’aeroporto di Nizza, ad esempio, proliferano da anni servizi di elicottero taxi che collegano l’aeroporto internazionale a Monte Carlo. Il prezzo è superiore solo del 30% rispetto al taxi e con tempi ridotti ad almeno un quarto. Ma con emissioni di CO2 sicuramente assai superiori.
Batterie da Taiwan
Il V4X lo potrebbe fare in modo ancora più veloce e a zero emissioni, ma con l’handicap di doversi ricaricare. Non sono ancora note la capacità della batteria e la potenza di ricarica. Si sa che la tecnologia di integrazione e di raffreddamento è della stessa Vertical Aerospace e le celle sono fornite dalla taiwanese E-One moli Energy Corp. abbreviata in Molicel. Sono celle cilindriche modello P45B tipo 21700 (base 21 mm di diametro per 70 mm di altezza) con catodo al cobalto-nickel-manganese-alluminio ed elettrolita all’esafluorofosfato di Litio che pesano ognuna 69 g.
I numeri sull’accumulatore
Possono erogare 184 W con uno stato di carica del 90% e di 168 W al 50%. Con 3,6 Volt, la capacità espressa in 4,5Ah corrisponde a 16,2 Wh. La densità in volume è di 643 Wh/litro e in peso di 242 Wh/kg. L’amperaggio massimo di ricarica è di 13,5 Ampere. A conti fatti, escludendo cablaggi interni, raffreddamento, elettronica e contenitore, se la potenza massima del V4X è di 1 MW, ci vogliono circa 600 kg di celle per una capacità di oltre 145 kWh.
Batteria da Formula E e Le Mans
Visti però gli standard di sicurezza necessari per i velivoli, è ipotizzabile che questa capacità sarà di molto superiore e utilizzata in un campo di ricarica che permette di avere il massimo della sicurezza. Tra i clienti di Molicel ci sono la Nasa e la Williams Advanced Engineering (fornitore delle batterie delle monoposto Gen3 di Formula E). Dunque standard chimici, vibrazionali e termici dovrebbero essere elevatissimi.
Si può anche fare un ragionamento sul prezzo del V4X. Quando American Airlines annunciò la prelazione per 250 unità si parlò di 1 miliardo di dollari. L’azienda britannica dice di avere ordini in totale per 1.400 pezzi per un valore complessivo di 5,4 miliardi di dollari. Parliamo dunque di un mezzo che costa intorno ai 4 milioni di dollari, anche se promette costi di gestione molto bassi.
I clienti? Compagnie aeree e non solo
Nell’elenco dei clienti, di Vertical Aerospace, oltre ad American Airlines, ci sono altre compagnie aeree come Virgin Atlantic, Japan Airlines, Air Greenland, AirAsia, Iberojet, Gol, Flyinggroup, Gözen e ci sono anche un grosso trading giapponese come Marubeni (fatturato pari a 455 miliardi di euro) e la Avolon, società irlandese di leasing specializzata in velivoli: ha 851 aeroplani con 146 compagnie in 62 paesi.
Appuntamento per il 2025
E i numeri di Vertical Aerospace non sembrano velleitari poiché ognuno di questi riportano con esattezza la firma dell’accordo, il numero dei velivoli prenotati e la data di consegna. Per questa si parla del 2025. L’iter di omologazione sarebbe stato già avviato così come l’assemblaggio del prototipo presso la GKN, altro partner che ha un piede nell’aerospazio ed un altro nell’automotive.
L’Italia? Sarebbe pronta a tutto
Ma tutto questo accade solo in altre parti del mondo mentre l’Italia è fuori da tutto questo? Niente affatto. Della fusoliera del V4X si occupa infatti la Leonardo, ma soprattutto c’è una consapevolezza istituzionale di fronte alla nuova mobilità aerea. L’Enac (Ente Nazionale Aviazione Civile) si è già riorganizzata al proprio interno con la costituzione di una nuova direzione dedicata alle nuove tecnologie e all’aerospazio.
L’Enac inoltre ha elaborato il Piano Strategico Nazionale Advanced Air Mobility che sarà preso come modello dalla Commissione Europea per la strategia Drone 2.0 destinata a pianificare e regolamentare la cosiddetta mobilità della terza dimensione. Strategico è anche lo spazioporto di Grottaglie, dove sono già partiti i test sui droni a guida autonoma e, al proposito, c’è già un progetto per renderli operativi nel 2026 tra Milano e Cortina d’Ampezzo in occasione dei Giochi Olimpici Invernali.
Abbiamo tutto per essere protagonisti
Non dimentichiamoci inoltre che il nostro paese è una delle potenze mondiali nel campo aerospaziale: è il terzo contributore dell’Agenzia Spaziale Europea, il quinto investitore al mondo ed è uno dei pochi ad avere una filiera completa che va dalle micro-imprese e le start-up fino alle grandi aziende. Inoltre il Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza prevede ulteriori 4 miliardi destinati a potenziare questa eccellenza semi-nascosta del nostro Paese che deve essere mantenuta e sviluppata anche attraverso la muova mobilità aerea. Possiamo e dobbiamo avere anche noi la nostra Vertical Aerospace.
Uno dei problemi principali della transizione ecologica è la disparità delle condizioni di partenza. Nel caso della mobilità elettrica, esse sono: legislazione; presenza di incentivi; reddito; diffusione, densità e potenza della rete di ricarica; prezzo dell’energia. Quale paese dunque, in base a tali condizioni, rende la transizione più facile verso l’auto elettrica?
I dati su 34 paesi
È la domanda alla quale ha cercato di dare risposta Uswitch, un comparatore di tariffe britannico che ha analizzato le suddette condizioni in 34 paesi europei fornendo un indice di compatibilità che va da 0 a 10. La ricerca fornisce una classifica su elementi quantitativi fornendo, a supporto, un giudizio specifico per ogni paese.
La classifica elaborata da Uswitch ha fornito non poche sorprese. Non stupisce il primo posto dell’Olanda (8,23/10): i dati statisticamente più favorevoli sono la densità di presenza di stazioni rispetto alla superficie e il costo annuale della ricarica di 184,59 euro, secondo per economicità solo a quello della Turchia. A stupire invece è che nelle altre prime 10 posizioni non c’è nessun grande paese europeo. E che all’11° c’è l’Italia.
Chi lo avrebbe mai detto?
Il nostro paese, secondo questa ricerca, sarebbe dunque più pronto di Lussemburgo, Svizzera, Regno Unito, Belgio, Spagna, Svezia, Francia, Germania e persino la Norvegia, ovvero il “paradiso” riconosciuto dell’auto elettrica. Ma in base a quali fattori USwitch ha elaborato questa classifica?
Quattro sono i fattori: il numero di stazioni di ricarica ogni 10 km2, il rapporto tra gli utenti di auto elettrica per punto di ricarica, la percentuali di stazioni di ricarica ad alta potenza e i costi annuali di ricarica. L’Olanda vince a mani basse per il primo fattore: 24,15 stazioni di ricarica ogni 10 km2 mentre il Lussemburgo al secondo arriva solo 6,87.
La Norvegia, paradiso non in tutto
La Norvegia vince di misura per il rapporto tra utenti e punti di ricarica: 24,03 contro 22,24 di Malta, distaccate l’Irlanda (13,96) e la Francia (13,77). Per il rapporto tra stazioni si ricarica veloci e normali, gli stati baltici monopolizzano il podio: Lettonia (0,70), Lituania (0,62) ed Estonia (0,17). Il primo grande paese è la Spagna (6° a 0,10) e l’Italia è 8° (0,06).
Per il costo annuale della ricarica, il paese più favorevole è la Turchia (164,49 euro), davanti alla Romania (170,25 euro) e all’Olanda (184,25 euro). Per questo fattore l’Italia è al 28° posto (444,72 euro) e il fanalino di cosa e la Danimarca (640,83 euro) dietro alla Germania (573,19 euro).
Le fonti dei numeri
Ma quali sono le fonti utilizzate? La prima è l’Alternative Fuel Observatory della Commissione Europea per i primi tre fattori. Per l’ultimo, la fonte sono l’Eurostat ponderando i prezzi per ogni kWh, per il chilometraggio medio in Europa, l’autonomia dichiarata e la capacità della batteria. Tutti e 4 i fattori hanno lo stesso peso.
Il giudizio sull’Italia: «In termini di estensione, l’Italia è un paese abbastanza piccolo, ma ha tante infrastrutture per supportare i veicoli elettrici. L’Italia ha la quarta rete di ricarica più numerosa sul Continente e un tasso di adozione relativamente alto. È alla costante ricerca di modi per accrescere la propria strutture per supportare il futuro dell’adozione domestica dei veicoli elettrici, come fornire punti di ricarica alla propria rete di stazioni di pedaggio e, cosa ancora più impressionante, la prima autostrada di ricarica. Avete sentito bene. Una strada che ricarica la vostra vettura mentre la guidate. Non vediamo l’Italia nel rinunciare a promuovere se stessa come quello che molto presto sarà uno dei luoghi migliori per i veicoli elettrici».
Quadro veritiero o analisi superficiale?
Ci si può riconoscere in questo giudizio? A livello di percezione, no. A livello di numeri però ci sono elementi che ci fanno capire che, contrariamente a quanto si pensa comunemente, l’Italia non è certo il peggior paese per le auto dalla spina. Nel giudizio qualitativo ci sono contenuti lontani dalla realtà, come l’autostrada ad induzione e non si considera invece che siamo ancora in attesa di una rete di ricarica in autostrada che è in netto ritardo sul previsto.
Non dobbiamo però dimenticare che questa ricerca non fotografa uno stato, bensì un potenziale, una latenza e non considera altri elementi come l’omogeneità della rete, del mercato delle auto elettriche e della sua progressione verso le auto alla spina, con o senza incentivi. Del tutto non considerate le wallbox per la ricarica domestica.
Mala percezione o mal comune?
La ricerca Uswitch non ci fa poi vedere quante colonnine troviamo guaste, quante occupate abusivamente e ci danno solo un dato statistico senza valutare la loro distribuzione in base alla densità di traffico e circolante. Rimane il dubbio: l’Italia è davvero un paese favorevole all’auto alla spina e non ce ne eravamo accorti oppure gli altri paesi sono in ritardo come e più di noi rispetto allo sviluppo dell’infrastruttura?
Che tempo farà? A Bologna oggi e domani oltre 100 scienziati ed esperti, più di 70 presentazioni scientifiche per fare il punto su uno dei temi crescenti nel dibattito pubblico che coinvolge scienza e istituzioni.
Conoscenze e strumenti, innovazione e tecnologia, il contributo della scienza alla pianificazione e ai processi decisionali in ambito pubblico e privato, nei diversi settori dell’economia e della società.
Le nuove sfide del Meteo: rischio, adattamento, incertezza e previsioni
Dopo la nascita dell’Agenzia ItaliaMeteo e il data center del Centro europeo per le previsioni, Bologna ospita un evento di grande rilievo scientifico (21-22 giugno 2022, presso Regione Emilia-Romagna Terza Torre) e si conferma una delle capitali europee delle scienze del clima e del meteo.
Temi della conferenza sono:
Previsioni e sistemi di allerta per la gestione e la mitigazione del rischio;
Previsioni per la pianificazione e l’adattamento;
Comunicare le previsioni e la loro incertezza;
Il valore delle previsioni: diversi punti di vista e metodi di valutazione.
La Seconda Conferenza Nazionale sulle Previsioni Meteo Climatiche è l’unico evento nazionale di questo genere nel settore delle previsioni.
La manifestazione consiste di due giorni di incontri in cui scienziati ed esperti faranno il punto sullo stato delle conoscenze attuali, e sulle prospettive future della ricerca sulle previsioni meteorologiche e climatiche e, soprattutto, delle loro applicazioni pratiche.
Programma dei lavori
Durante la prima giornata, si svolgono due sessioni che focalizzate sull’uso delle previsioni sia a breve termine, per la definizione e l’attuazione di sistemi di allerta, sia a più lungo termine, per la pianificazione di strategie di adattamento.
Nella seconda giornata, si affrontano i problemi della comunicazione delle previsioni – sia quella indirizzata al grande pubblico, che quella rivolta agli esperti in specifici settori – e le metodologie per quantificare il valore economico e sociale che i diversi soggetti coinvolti nel loro utilizzo possono assegnare ai dati e alle informazioni prodotte e ricevute.
Dibattiti e tavole rotonde
Oltre agli interventi di prestigiosi relatori, la conferenza propone dibattiti e tavole rotonde che favoriscono una vasta e attiva partecipazione dei convenuti.
La comunità italiana si confronterà con più di cento partecipanti, oltre settanta ricerche presentate, divise in quattro sessioni con due keynote speakers di rilievo.
Carlo Cacciamani (Direttore dell’Agenzia ItaliaMeteo) che parla dello “Stato dell’arte delle risorse meteo presenti in Italia e il ruolo della nuova Agenzia ItaliaMeteo nella gestione del rischio”.
Ruben Sacerdoti (Regione Emilia‐Romagna) propone un intervento dal titolo “Le politiche per la ricerca sul cambiamento climatico della Regione Emilia-Romagna”.
Considerando la grande rilevanza e risonanza che il tema dei cambiamenti climatici sta avendo nella vita quotidiana, la conferenza vuole offrire, sia a un pubblico di specialisti che a una più vasta platea di partecipanti, ulteriori elementi che aiutino a meglio valutare, in modo scientificamente robusto, i cambiamenti che stanno avvenendo nell’ambiente che ci circonda.
Che tempo farà?
Le previsioni meteorologiche e climatiche sono sempre più al centro di interesse da molteplici settori della società.
Da una parte, è la cronaca stessa dei nostri giorni che, portando alla pubblica attenzione le conseguenze di fenomeni siccitosi e di temperature più elevate di quanto non siamo mai stati abituati a rilevare, ci dice come la capacità di conoscere in anticipo questi fenomeni possa portare beneficio alla realizzazione di sistemi di allerta e a strategie di adattamento dei nostri sistemi socioeconomici a condizioni meteoclimatiche che sono già cambiate, e continueranno a cambiare in futuro, con impatti rilevanti sulle vita delle persone, delle aziende e delle istituzioni.
Dall’altra parte, intorno a questi temi cresce un’attenzione che parte dalla comunità internazionale e, nel nostro paese, vede un polo di attrazione nella città di Bologna, protagonista di una serie di iniziative di primissimo livello nell’ambito della ricerca scientifica e di come questa fornisca conoscenza a supporto di processi decisionali, settori economici, società.
Due grandi associazioni
Su queste premesse nasce la seconda edizione della Conferenza Nazionale sulle Previsioni Meteorologiche Climatiche (Bologna, 21-22 giugno 2022) organizzata in maniera congiunta dalla Società Italiana per le Scienze del Clima (SISC) e dall’Associazione Italiana di Scienze dell’Atmosfera e Meteorologia (AISAM) con il patrocinio della Regione Emilia Romagna e del Comune di Bologna ed il supporto di Codifesa Bologna e Ferrara.
Prima edizione nel 2019
La conferenza, che segue la prima edizione realizzata nel 2019, mira a mettere in evidenza come la ricerca scientifica sui temi delle previsioni si leghi strettamente e molto concretamente a settori reali della società.
Gestione del rischio e sistemi di allerta per la gestione e la riduzione del rischio, i piani di adattamento ai cambiamenti climatici e la pianificazione di strategie e soluzioni, la comunicazione dei dati e la valorizzazione delle previsioni sono i quattro temi che chiamano a un dialogo intenso e produttivo rappresentanti del mondo della ricerca insieme a decisori pubblici, esponenti del mondo delle aziende e della società civile oltre che dei media e della comunicazione.
Produttori e utilizzatori delle previsioni, quindi, si incontrano per individuare barriere e lacune nella realizzazione e nell’utilizzo di previsioni per ridurre gli impatti della variabilità meteorologica e dei cambiamenti climatici, in molteplici settori socioeconomici.
L’Italia ha finalmente un’altra stazione di rifornimento ad idrogeno. Si trova a Mestre, in località San Giuliano, è stata realizzata da Eni e servirà la città metropolitana di Venezia con l’apporto di Toyota. La casa giapponese infatti sarà la prima a sfruttare a dovere la nuova stazione grazie anche ad un accordo siglato nel 2019 e che punta a fornire la città dei dogi di una nuova mobilità.
Per questo arriveranno su Venezia ben 10 Mirai, sia di prima sia di seconda generazione. Tre di queste andranno al Comune di Venezia e tre saranno inserite da settembre nella locale flotta di Kinto Share, il servizio di car sharing aggiungendosi alle Yaris, Yaris Cross e alle Lexus UX Hybrid già presenti. Le altre saranno affidate ai concessionari locali per altre iniziative. A questo proposito, era presente all’inaugurazione della stazione anche Mauro Caruccio, amministratore delegato di Kinto Italia che nel 2019 aveva firmato l’accordo.
«Sarà sicuramente il primo car sharing a idrogeno in Italia – afferma il presidente e amministratore delegato di Toyota Motor Italia, Luigi Ksawery – e questo ci permetterà di parlare direttamente all’utente e all’utilizzatore finale di idrogeno. Le persone finalmente guiderà un’auto a idrogeno e capirà quanto sia facile e piacevole da utilizzare. In questo modo l’idrogeno comincerà a fare parte del nostro linguaggio quotidiano».
Un segno dei tempi
«Mettere una stazione di idrogeno in Italia – continua il numero uno di TMI – è per Toyota un risultato straordinario perché vuol dire che qualcosa finalmente si muove. Per anni abbiamo avuto solo i “capitani coraggiosi” di Bolzano e ce n’è voluto un altro come il sindaco Brugnaro per averne una seconda. Questo però vuol dire che sta partendo un movimento importante e che Eni lo supporta sostenendo un percorso che vedrà altre stazioni. Nel PNRR sono previste 40 stazioni e questa di Mestre rappresenta un momento di svolta. Toyota crede nell’idrogeno da sempre ed è già realtà in altri paesi. Vorremmo che lo fosse anche in Italia e siamo pronti a fare la nostra parte».
Non sta nella pelle il sindaco Luigi Brugnaro che ha voluto fortemente l’idrogeno e questa stazione a Venezia per farne la capitale mondiale della sostenibilità «La più antica città del futuro diventa così un esempio per tantissime altre amministrazioni che potranno guardare a quanto stiamo facendo. Questa stazione di rifornimento ci consentirà di procedere speditamente in quel piano di ammodernamento del trasporto pubblico locale alimentato ad idrogeno che stiamo portando avanti» ha dichiarato il primo cittadino.
Una tecnologia, tante soluzioni
Anche i concessionari potranno finalmente lavorare con l’idrogeno vendendolo sul proprio territorio. «Con questa novità metteremo sicuramente ed effettivamente sul mercato una tecnologia diversa – è sicuro l’amministratore delegato di Toyota Motor Italia – e dimostreremo ulteriormente tutte le nostre capacità tecnologiche e di innovazione. Già l’acquisto di un ibrido Toyota rappresenta per il cliente un passo importante, anche perché sa che facciamo anche l’ibrido plug-in, l’elettrico e l’idrogeno e che dietro c’è un’unica grande tecnologia».
Una stazione per tutti i livelli di elettrificazione
La stazione di Mestre inoltre è la perfetta rappresentazione di questo credo. Oltre alle pompe per benzina e gasolio, ci sono infatti due colonnine di ricarica, delle quali una rapida. «La mobilità dell’idrogeno non è solo automobile, anzi sarà soprattutto altro arrivando anche sull’acqua, un capitolo che interessa una città come Venezia e che ha già dimostrato di poter funzionare in mare. «Al centro della nostra idea ci sono il sistema di propulsione e le celle a combustibile – continua Lucà – che proponiamo a vari partner e possono essere utilizzate per vari scopi. Con la navigazione abbiamo già iniziato 6 anni fa con l’Energy Observer. Se noi riusciamo a mettere le fuel cell su navi e traghetti e tutta la mobilità nautica, allarghiamo il nostro ecosistema. Le stiamo applicando anche ai treni, ai camion e ai bus».
La visione di Venezia
A questo proposito, Venezia ha già emesso un bando per 90 bus a idrogeno e 33 elettrici entro il 2026. E della partita sarà sicuramente Caetano Bus, che ha già portato in Italia uno dei suoi bus a Terni. E chissà che non vi sia anche Mercedes, da poco diventata acquirente delle fuel cell Toyota per i propri bus. «Abbiamo già individuato l’area per rifornirli, ma non lo dico altrimenti quei terreni ci costano di più» scherza, ma non troppo, il sindaco Bugnaro che vede evidentemente almeno un’altra stazione di idrogeno sul territorio.
Stessi ha obiettivi ha del resto Toyota. «Dopo questa iniziativa dobbiamo continuare a costruire questo ecosistema. Abbiamo Toyota Handling che produce carrelli elevatori alimentati ad idrogeno e andremo a proporci come fornitori di soluzioni. Accanto a questo, dobbiamo continuare a costruire l’infrastruttura insieme ad altri partner come Eni e presso le autorità locali per facilitare e accelerare questo sviluppo». È la cosiddetta “società dell’idrogeno”, un lavoro lungo e paziente che Toyota ha già iniziato da tempo e che ha dimostrato di saper fare con l’ibrido.
Il paradosso di San Donato
L’Eni ha in programma anche un’altra stazione di servizio a San Donato Milanese la cui costruzione è iniziata addirittura prima di quella di Mestre. Paradossale, se si pensa che l’Eni ha proprio nel comune della cintura milanese la propria sede come ha sottolineato Giuseppe Ricci, direttore generale Energy Evolution in occasione dell’inaugurazione dell’impianto di Mestre.
Il clima è cambiato
Si spera che il cambio del contesto sblocchi anche questa situazione. «Il clima è sicuramente cambiato – afferma ancora Lucà – e c’è stata un’accelerazione fondamentale. È cambiato il paradigma e finalmente si riesce ad avere una conversazione sull’idrogeno. Il recovery fund, il PNRR e ora anche il REPowerEU stanno dando un impulso finalmente decisivo a livello istituzionale».
Un quintale di idrogeno al giorno
La stazione ad idrogeno ha una capacità di 100 kg di idrogeno al giorno e sarà trasportato dalla località di produzione che è, al momento, Terni. Si tratta di idrogeno grigio prodotto da metano che presto diventerà blu con il sistema di cattura della CO2. Urge dunque un elettrolizzatore più vicino per accorciare la catena di questo idrogeno e renderlo verde. Va detto che attualmente il 98% dell’idrogeno prodotto in Italia proviene ancora da fonti fossili. Il lavoro sulla infrastruttura va dunque proseguito guadando anche alla logistica e la produzione.
Urge anche un lavoro sul prezzo. Quello esposto all’inaugurazione è di 10 euro al kg, ma si parla di 15 euro al kg come prezzo definitivo. Vuol dire che per fare il pieno ad una Mirai occorrono 90 euro per percorrere 650 km. Vuol dire poco più di 7 euro ogni 100 km che, con il gasolio a 2 euro al litro, rende già l’idrogeno conveniente. E lo rende tale anche se immaginiamo che la percorrenza effettiva di una Mirai si attesti intorno ai 500 km. Con la possibilità di fare il pieno in self-service in 5 minuti, potrebbe essere un’idea anche per i taxi, come già accade in diverse capitali europee come Copenaghen. I taxi sono stati la testa di ponte per l’ibrido per Toyota e potrebbero rappresentare un veicolo di esperienza e promozione preziosissimo anche per l’idrogeno.
Abbiamo bisogno dell’auto elettrica, ma non solo di quella, per questo le daremo meno soldi. Così sembra pensarla la Norvegia che si avvia a rivedere la politica che l’ha portata ad essere il vero paradiso dell’auto alimentata esclusivamente a batteria. Come? Diminuendo progressivamente gli incentivi che mirano a bandire le auto a motore a scoppio nel 2025 e hanno già portato ad avere un mercato nel quale l’80,8% delle immatricolazioni del primo quadrimestre è elettrico.
Alla base di questa scelta ci sono tre fattori. Il primo è che il meccanismo di bonus-malus ha portato ad uno squilibrio del programma per 19,2 miliardi di corone, pari 1,92 miliardi di euro. Il secondo è che i privilegi di chi acquista l’auto elettrica penalizza la multimodalità. Il terzo è che, dopo la fase acuta della pandemia, il traffico veicolare è aumentato oltre i livelli del 2019 mentre è calato il tasso di utilizzo dei mezzi pubblici. La pandemia ci avrebbe reso migliori? Forse. Sicuramente ha reso i norvegesi più pigri.
Uso l’auto elettrica. E sono a posto
E questo nonostante l’aumento al ricorso del telelavoro da casa. In pratica, gli abitanti della Norvegia utilizzano l’auto elettrica a tal punto da snobbare i bus, i tram, gli altri mezzi di mobilità individuale e le gambe. «Le auto elettriche ci danno trasporti più verdi, ma hanno una chiara competizione intermodale con il trasporto pubblico nelle aree urbane. Dobbiamo rendere più attraente viaggiare sui mezzi pubblici, in bici e a piedi» ha detto il ministro dei trasporti norvegese, Jon-Ivar Nygård.
L’equità degli incentivi
C’è anche da aggiungere che l’ammanco in cassa per finanziare il trasporto privato va a detrimento degli investimenti per quello pubblico. Inoltre il programma di incentivi è flat, dunque è pari per una Dacia Spring da 20mila euro o una Porsche Taycan che costa 10 volte tanto. Iniquità che è finita anche sotto la lente del Fondo Monetario Internazionale il quale ha consigliato la Norvegia, e tutti i paesi intenzionati a incentivare l’auto elettrica, a introdurre contestualmente un tetto e, allo stesso tempo, tassare quelle più costose.
I conti e la collettività
L’FMI, affermando questo principio, punta il dito su due fattori molto spesso taciuti quando si parla di incentivi verso l’auto elettrica: l’equilibrio dei conti statali a medio-lungo termine e l’equità di aiuti ed imposizione. Gli aiuti all’auto elettrica infatti, non solo sono un costo per la collettività, ma non pagando imposte anche sui carburanti, provocano un restringimento delle entrate fiscali.
La mobilità e la questione sociale
Se poi si considera che le auto elettriche sono meno accessibili, si pone un problema sociale. Chi può comprare auto più costose non può avere più privilegi di chi invece, per necessità, deve fare i conti e si ritrova, suo malgrado, ad essere inquinatore, a subire limitazioni e a finanziare la mobilità (strade, segnaletica, forze dell’ordine, etc) anche per chi ne usufruisce e, pur potendo farlo, non è tenuto a pagarne la sua parte.
La praticabilità dell’auto elettrica
La tutela dell’ambiente rischia di diventare un questione di classe sociale e dunque di divisione e rivalsa prima che l’auto elettrica diventi davvero per tutti. Non solo in rapporto al suo prezzo d’acquisto, ma anche alla sua effettiva utilizzabilità. Chi vive in una casa unifamiliare o ha un garage può infatti ricaricare a domicilio, per gli altri è decisamente più complicato. In Italia il principio del tetto di prezzo per gli incentivi è stato recepito, occorre capire come e quando agire sulle imposte per chi oggi acquista e/o utilizza l’auto elettrica.
L’occasione per rivedere la fiscalità
Potrebbe essere una buona occasione per rivedere l’intera fiscalità per l’automobile in Italia, caratterizzata da una politica molto meno favorevole ai mezzi aziendali e alle flotte – che invece rappresentano in fattore velocizzante del parco circolante – rispetto agli altri paesi dell’Unione Europea, sia per detraibilità sia per deducibilità, tanto che il regime attuale è dal 2006 in deroga alle direttive europee pur essendoci stata una sentenza della Corte di Giustizia Europea.
La sostenibilità vera
La scelta dell’auto elettrica, ove praticabile, apporta sicuramente benefici alla collettività e per questo resa più praticabile. Sia con una politica di prezzi ed incentivi, sia con un ampliamento significativo della rete. Ma tale scelta deve essere libera e consapevole per risultare davvero motivante e non oggetto di scontri ideologici tra chi vuole l’auto elettrica – e solo l’auto elettrica – a tutti i costi e chi invece vuole mantenere il diritto alla mobilità, che è diventato un patrimonio acquisito per tutti.
Errori necessari, ma non troppi
In una parola: sostenibile, non solo per l’ambiente, ma anche per i conti, l’economia, la società, persino la psicologia collettiva e, in generale, i sistemi che regolano la nostra convivenza. L’esempio della Norvegia rappresenta un’esperienza quanto mai preziosa per capire come muoversi verso le zero emissioni e farlo, se non senza errori, commettendone il meno possibile.
Toyota Europa, Air Liquide e CaetanoBus hanno firmato un protocollo d’intesa con per sviluppare soluzioni a idrogeno integrate in Europa.
L’accordo include lo sviluppo di infrastrutture e la diffusione di flotte di veicoli per accelerare l’espansione della mobilità a idrogeno sia per i veicoli leggeri che per quelli pesanti.
Autobus, veicoli commerciali e automobili
Inizialmente il focus sarà su autobus, veicoli commerciali leggeri e automobili, con l’ulteriore obiettivo di accelerare nel segmento dei veicoli industriali.
Ecosistemi a idrogeno
Le tre aziende utilizzeranno le loro competenze complementari per la gestione dell’intera filiera della mobilità a idrogeno, che va dalla produzione di idrogeno rinnovabile o a basse emissioni di carbonio, alle infrastrutture di distribuzione e rifornimento, all’impiego in veicoli di diversi segmenti.
Esplorando opportunità comuni, i tre principali attori della mobilità a idrogeno in Europa contribuiranno all’emergere di nuovi ecosistemi di idrogeno in diversi paesi dell’Unione.
Produzione, rifornimento e veicoli
Questo include le infrastrutture e le stazioni di rifornimento, nonché le offerte di veicoli integrati (leasing e assistenza) a clienti come compagnie di taxi, operatori nel settore delle flotte, autorità locali e altri.
L’integrazione di diverse applicazioni e progetti all’interno di un ecosistema dell’idrogeno, dove domanda e offerta si incontrano, ha lo scopo di creare un circolo virtuoso che consenta all’infrastruttura complessiva dell’idrogeno di maturare ulteriormente.
Decarbonizzazione
Questa iniziativa rappresenta un altro passo nel percorso verso la decarbonizzazione, coerentemente con la maggiore attenzione da parte dei governi europei e la disponibilità delle tecnologie dell’idrogeno.
Mobilize costituirà il 20% del fatturato del Gruppo Renault nel 2030 sfruttando il principio del VaaS (Vehicle as a Service) e integrando tutto il business attraverso il software installato sui veicoli. Di seguito i passaggi decisivi del discorso introduttivo fatto da Luca De Meo, amministratore delegato, all’evento digitale di presentazione del piano.
Le dichiarazione di De Meo
«Mobilize è uno dei pilastri del piano Renaulution ed è una nuova generazione di compagnia automobilistica. Nuova perché andiamo dal prodotto al servizio, dall’hardware al software, il contrario di quello ce si è sempre fatto. È la rivoluzione copernicana di Renaulution. Abbiamo puntato su tre opportunità perché ci sono tre bug che noi vediamo nel sistema: il gap tra utilizzo e costo, il rapido deprezzamento dell’investimento del bene auto e l’impatto sull’ambiente.
Ora sappiamo come cambiare tutto questo cambiando completamente il modello di business. Tutto questo non va bene per i nostri clienti, per l’ambiente e la qualità del nostro business. L’auto elettrica favorisce e accelera la trasformazione della catena del valore. La mia stima è che il mercato dei servizi per la mobilità e l’energia in Europa crescerà da 250 miliardi del 2020 a 400 miliardi nel 2030, ovvero il 60% in più.
Per questo abbiamo bisogno di creare una nuova compagnia e un nuovo marchio oltre Renault, Dacia e Alpine. Ed è la prima volta in 120 anni che creiamo un nuovo brand dal nulla. La nostra ambizione è creare una nuova mentalità, un nuovo modo di lavorare, cogliere nuove opportunità, agire in un nuovo ecosistema nel quale agiscono anche le start-up, i veicoli sono concepiti appositamente per i servizi: per questo abbiamo bisogno di una nuova strategia e di un nuovo modo di mettere insieme tutte le parti del Gruppo.
Sappiamo come fare i veicoli e questa è la nostra competenza fondamentale, sappiamo come venderli e finanziarli, abbiamo risorse tecnologiche forti, abbiamo le persone sul campo, con oltre 6mila concessionari in Europa e infine abbiamo il nostro ecosistema software.
Ma quello che distingue Mobilize non è solo il fatto che copriamo tutti i segmenti della catena del valore, ma che ad essi dedichiamo team di lavoro ed ingegneri che svilupperanno veicoli dedicati ai servizi. E questo cambierà completamente il gioco. Il messaggio è molto chiaro: Mobilize è chiamata ad essere il fulcro di Renault verso la nuova mobilità creando nuovi business e creando valore».
Una rivoluzione dunque nella rivoluzione, che fa leva sull’elettrificazione, ma va più a fondo cambiando il punto di vista sullo sviluppo dei prodotti. Mobilize infatti avrà una gamma composta da 4 modelli disponibili solo con il brand Mobilize e solo in forma di servizio. In pratica, non si potranno acquistare e la loro architettura sarà definita a partire dal software.
Paghi solo l’utilizzo
Sarà questo che il cliente pagherà: l’aspetto immateriale del veicolo ovvero l’utilizzo. L’hardware invece sarà una risorsa che la società automobilistica (o di servizi automobilistici) creerà e gestirà durante tutto il suo ciclo di vita detenendone il possesso, con tutto quello che c’è al suo interno. Il tesoro maggiore è sicuramente la batteria che può avere più vite e può essere recuperata e riciclata.
La descrizione “software defined” è molto interessante. Non perché sia tecnicamente nuova per un’automobile, ma perché diventa fondante per lo sviluppo di un’intera gamma di veicoli e un intero ecosistema le cui fonti di sostenibilità e profitto non si basano più sul metallo, ma sui dati.
Il braccio finanziario è il cuore
In questa rivoluzione, la società finanziaria RCI Bank and Services diventa Mobilize Financial Services pronta a intercettare la crescita dell’80% del mercato della locazione operativa e a sostenere una flotta che nel 2030 raggiungerà un milione di mezzi a noleggio e 200.000 in abbonamento.
L’usato non è più da buttare
Altro aspetto interessante è che tutto questo riguarderà sempre di più i veicoli usati. Questo vuol dire che l’usato e il remarketing sono destinati a diventare un business sempre più profittevole, molto più della vendita del nuovo che assottiglierà la propria fetta. Questo vuol dire che il valore residuo non esisterà più o, almeno, non sarà più un problema del cliente. Mobilize parla di servizi assicurativi basati sull’utilizzo e di eco-fidelizzazione, dunque su una incentivazione basata sui comportamenti dell’utilizzatore.
Ciò che è umano è anche soft
Anche questo aspetto non è nuovo, ma è interessante che chi utilizza l’automobile diventa una parte del software, un elemento fondante di un ecosistema che deve creare valore per tutti. Sia come singoli sia come collettività. I veicoli di Mobilize promettono un TCO inferiore del 35%, saranno costruiti con il 50% di materiali riciclati e saranno riciclabili al 95%.
Mobilize come mezzi e come brand
E naturalmente saranno elettrici, dunque a zero emissioni utilizzando energia che passerà anch’essa attraverso Mobilize e i suoi oltre 260mila punti di ricarica interoperabili. Ora Renault ne controlla direttamente 22mila, saranno 165mila nel 2030. Questo vuol dire ridurre anche l’impronta di CO2. Va detto che Mobilize coprirà anche gli altri marchi per quanto riguarda i servizi dunque una parte dell’intera flotta gestita (20-30%) avrà ancora un motore a combustione interna.
Dunque ambizione e consapevolezza in un momento che per Renault è fondamentale, ma anche inaspettatamente complicato. Dopo infatti aver riportato il gruppo in attivo e il sereno nei rapporti con Nissan, De Meo adesso si trova ad avere a che fare con la questione russa. Renault è infatti il costruttore nettamente più esposto con la Russia, sia in termini industriali (45mila dipendenti) sia di mercato (quasi 500mila unità vendute nel 2021 con una quota del 28,8%).
L’accordo e la speranza
L’accordo, arrivato in queste ore con il governo di Mosca, prevede la cessione del 100% di Renault Russia alla municipalità di Mosca il 67,69% di AVTVAZ al NAMI. Si parla di cespiti che valgono 2,2 miliardi di euro, ma non si conosce il valore al quale sono stati ceduti. L’accordo però prevede il diritto del loro riacquisto entro 6 anni. La speranza è che, per allora, la situazione possa essere più favorevole, a tal punto da riallacciare quei legami che erano stati costruiti con 30 anni dopo la fine della Guerra Fredda e in 2 mesi di insensatezza si sono volatilizzati.
Elettrico contro idrogeno, la contrapposizione tra le due soluzioni a zero emissioni è ritenuta da molti tifosi dell’elettrico una necessità per arrivare prima possibile alla diffusione dell’auto a batterie.
Sfida sbagliata, secondo me. Lo dico da sempre ed è evidente in ogni analisi di sistema fatta da chi di sistemi energetici se ne intenda veramente.
Se si vuole raggiungere in modo efficace l’obiettivo delle zero emissioni, si deve fare tesoro dell’enorme possibilità a nostra disposizione di poter ricorrere a ben due vettori energetici producibili da fonti rinnovabili e utilizzabili senza produzione di inquinanti e senza emissioni di CO2.
Bus Mercedes eCitaro
La nuova variante del bus elettrico Mercedes eCitaro, in grado di percorrere 400 km senza necessità di fare soste intermedie per la ricarica, dimostra la complementarità delle due tecnologie.
Infatti, nonostante la nuova batteria al litio con tecnologia NMC (Nichel-Manganese-Cobalto) da 588 kWh di capacità energetica, il Mercedes eCitaro di nuova generazione si ferma a 280 km di autonomia con la sola batteria a bordo. Dopo di che si deve fermare a lungo per ripristinare la carica degli accumulatori.
La versione articolata (quella lunga) del Mercedes eCitaro, nonostante la batteria ancora più capiente da 686 kWh, ha un’autonomia ancora più limitata, dichiarata dal costruttore pari a 220 chilometri con una ricarica completa.
400 km di autonomia grazie all’idrogeno
La variante appena presentata, arriva a 400 km di autonomia grazie all’integrazione nel sistema di trazione della tecnologia delle celle a combustibile e all’arrivo a bordo dell’idrogeno.
Serbatoi di idrogeno, sistemati sul tetto, e celle a combustibile con 60 kW di potenza permettono di portare l’autonomia di marcia con un pieno di idrogeno e la ricarica delle batterie a 400 chilometri per la versione da con vano passeggeri singolo da 12 metri e a ben 350 chilometri per la versione snodata con doppia cabina passeggeri (con un incremento di quasi il 65% di autonomia, in questo caso, rispetto alla soluzione solo elettrica a batterie).
Mercedes sceglie Toyota
Toyota Motor Europe, che già fornisce in Europa il sistema a idrogeno per il CaetanoBus H2.City Gold, fornirà la tecnologia a idrogeno con celle a combustibile per il Mercedes-Benz eCitaro a lunga percorrenza.
Il modulo Toyota TFCM2-F-60 è il sistema di seconda generazione capace di erogare 60kW di potenza che può essere facilmente integrato sul tetto dell’autobus.
Gli ingegneri della Toyota Motor Europe supporteranno la progettazione del sistema e l’integrazione del modulo nel Mercedes eCitaro per garantire efficienza, potenza e durata del sistema.
Il Toyota Fuel Cell Module ha un convertitore di tensione che opera in una gamma di tensione da 450 a 700 Volt e – in base a quanto comunicato dalla Toyota – raggiunge la massima efficienza a circa 30kW.
Toyota espande l’attività idrogeno in Europa
Matt Harrison, Presidente di Toyota Motor Europe, evidenzia l’espansione delle attività idrogeno della Toyota in Europa.
Siamo lieti di lavorare con Daimler Buses e siamo lieti di vedere che le nostre attività di vendita di propulsori a idrogeno in Europa continuano ad espandersi.
Toyota è impegnata a raggiungere la neutralità in termini di emissioni di carbonio in atmosferae crediamo che l’idrogeno sia uno degli elementi chiave di una futura società decarbonizzata.
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