Kinto, il marchio Toyota dedicato alle nuove soluzioni di mobilità, introdurrà a breve anche le prime auto a idrogeno nella sua offerta di car sharing Kinto Share.
A seguito della recente apertura al pubblico della stazione ENI a Venezia per il rifornimento di idrogeno con caratteristiche appropriate alle auto Fuel Cell di ultima generazione, tre Toyota Mirai a idrogeno entreranno a far parte della flotta Kinto Share nella città lagunare.
Kinto share a Venezia diventerà così il primo car sharing pubblico in Italia dotato di vetture alimentate ad idrogeno, tecnologia a zero emissioni cruciale per il futuro del settore energetico e della mobilità.
Crescita Kinto Share
Sono oltre 30.000 i noleggi effettuati da oltre 6.200 utenti di KINTO Share, che hanno viaggiato per oltre 1 Milione e 450 mila chilometri, percorsi per circa il 50% del tempo in modalità zero emissioni.risparmiando, rispetto ad una equivalente motorizzazione convenzionale, l’emissione di circa 42 tonnellate di CO2.
Dopo quattro anni di operatività in Italia, sono questi i numeri di KINTO Share, il servizio di car sharing di KINTO, terzo brand globale del gruppo Toyota dedicato ai servizi di mobilità, che sta cambiando concretamente le abitudini di spostamento degli italiani attraverso una soluzione semplice, sostenibile, accessibile a tutti.
Nel giugno 2018 Kinto Share, all’epoca Yuko with Toyota, ha fatto il suo ingresso a Venezia diventando così il primo car sharing pubblico con flotta ibrida elettrificata in Italia e facendosi conoscere non solo per la semplicità e la rapidità di un’esperienza di noleggio 100% digitale ma anche per i vantaggi della tecnologia Full Hybrid Electric delle vetture Toyota e Lexus.
Direttrici di sviluppo
Kinto Share ha continuato a svilupparsi lungo tre direttrici principali:
La città, con l’esperienza della mobilità pubblica di Venezia e i 3 differenti modelli di car sharing implementati: il classico station based round trip, l’opzione one way e l’alternativa free floating, la cui combinazione garantisce a tutti un’opzione efficace di intermodalità. A Venezia anche la flotta di veicoli si è ampliata in questi anni potendo offrire ai clienti l’ampia gamma elettrificata Toyota e Lexus, dalla Toyota Yaris, alla Toyota Yaris Cross sino a Toyota Corolla e Lexus UX in modo da intercettare la vasta domanda di mobilità presente in quell’area.
Il territorio, dove la rete dei concessionari Toyota e Lexus è sempre più protagonista: difatti grazie al loro impegno, un numero più ampio di utenti può oggi beneficiare del servizio Kinto Share in Italia che è operativo con una formula station based in 7 Regioni: Lombardia, Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Abruzzo e Sardegna, 19 province tra cui le città di Milano, Venezia, Verona, Bologna, Varese, Vicenza, Como e Cagliari e 3 aeroporti con un totale di 41 punti di consegna.
Le aziende che grazie a Kinto Share sono in grado di introdurre la mobilità condivisa tra i loro dipendenti. Difatti l’offerta Kinto Share Corporate rappresenta la naturale evoluzione di una flotta aziendale che, con l’aggiunta di una piattaforma di gestione digitale dei veicoli, può diventare realmente condivisa generando efficienza ed aprendo la strada ad opzioni interessanti in ottica di welfare.
Nuova App
Da qualche mese il servizio si basa su una nuova app più veloce, intuitiva che permette una connessione con il veicolo più rapida in grado di garantire un’esperienza cliente migliore rispetto al passato anche perché consente ai clienti registrati di accedere al servizio Kinto Share in tutte le località dove è già disponibile.
Kinto Share è il servizio che ci fa sentire orgogliosi di aver intrapreso questo percorso verso la mobilità semplice, sostenibile ed accessibile a tutti.
A parlare è VincentVan Acker, Service Design & User Experience Director di Kinto Italia.
Inoltre è proprio grazie all’evoluzione di KINTO Share che riusciamo ad aumentare il nostro livello di conoscenza della mobilità degli italiani e di conseguenza rendiamo i concessionari della rete Toyota e Lexus dei Mobility provider capaci di soddisfare tutte le esigenze di mobilità sul territorio.
Chi ha bisogno di un’auto per un’esigenza temporanea, da pochi minuti fino ad un mese, può prenotare tramite l’app l’autovettura più adatta ogni volta che ne hanno bisogno e per tutto il tempo che serve con la libertà di scegliere la tariffa migliore.
Cento punti di consegna entro il 2022
Il percorso di evoluzione del servizio Kinto Share, oltre all’arrivo delle prime auto a idrogeno della storia in Italia in un servizio di car sharing, ha altri due obiettivi già fissati:
Sul territorio continuerà l’attivazione del servizio presso la rete dei concessionari con l’obiettivo di raggiungere gli oltre 100 punti di consegna a fine 2022.
Infine, la versatilità di Kinto Share, porta a sviluppare esperienze pilota non solo presso le aziende ma anche in altri contesti come, ad esempio, quello degli operatori turistici, che appaiono fortemente interessati a questa soluzione di mobilità che è già in grado oggi di accogliere tutte le novità di prodotto, comprese quelle ad emissioni zero, che arriveranno prossimamente nella gamma di veicoli Toyota e Lexus.
Siamo pronti ad acquistare automobili online? A quanto pare, non ancora. Lo dice una ricerca di Arethé Methodos, società di consulenza del settore automotive. Lo studio è stato effettuato seguendo la metodologia C.A.W.I. (Computer Assisted Web Interviewing) con 530 rispondenti, equamente ripartiti tra uomini e donne.
Uno su venti la vuole acquistare online
Ebbene, solo il 5% desidera concludere l’acquisto della propria vettura in forma puramente e totalmente (dal preventivo alla consegna) digitale. Un risultato forse sorprendente, ma che dimostra come il comportamento d’acquisto di un bene così importante ha ancora bisogno del contatto fisico con il personale di vendita ed il prodotto per essere finalizzato.
I più conservatori? A sorpresa sono i giovani
Il 62% preferisce ancora andare in concessionaria e il 33% vuole la consulenza in forma digitale e concludere in concessionaria. Un tipo di esperienza che gli specialisti definiscono phigital, crasi tra phisical e digital. Sorprende che i più conservatori sono nella fascia 30-45 anni e quelli più sensibili alla smaterializzazione del processo d’acquisto sono nella fascia 46-55 e 56-65 anni, non in quella 18-29 anni.
Non è come il resto dell’e-commerce
Chi preferisce andare in concessionaria apprezza il miglior servizio e consulenza (22%), la sicurezza (22%) e non si fida dell’acquisto online (19%). Il 6% pensa anche che in concessionaria trovi il prezzo più basso, l’8% che i tempi siano più rapidi, l’11% che vi sia più scelta e il 15% per comodità. Dunque il contrario di chi invece si affida all’e-commerce convinto (il più delle volte a ragione) che acquistare online, comodamente seduti in poltrona e in qualsiasi orario, sia più rapido, conveniente e offra più assortimento.
La specificità dell’automobile
Tali dati confermano la specificità del processo di acquisto dell’automobile. Per il fattore prezzo c’è probabilmente il convincimento che la trattativa diretta permetta di ottenere uno sconto maggiore. Sarebbe ovviamente vedere le differenze in base al paese, alla tipologia di vettura ricercata, al marchio e al tipo di alimentazione desiderato.
Il phigital, tra fisico e digitale
Il 33% che preferisce il processo “phigital” predilige più di tutto proprio la comodità (19%), ritiene di ricevere una consulenza migliore (14%) e – di nuovo – di trovare maggiore assortimento, anche per l’usato. Anche in questo caso, il dato appare in controtendenza rispetto ad un altro fenomeno: gli acquisti di auto usate effettuati al dettaglio o in stock su siti di concessionari o commercianti, società di noleggio o specializzate in remarketing.
Se vai online, lo fai per prezzo e comodità
Il 5% che è pronto ad acquistare completamente online assomiglia invece all’utente tipico dell’e-commerce: il 30% pensa di trovare un listino più basso e il 25% per comodità. Il fatto che solo 7% pensi di ricevere il miglior servizio di consulenza indica che questa fascia pensa che la parte fisica dell’informazione sia praticamente irrilevante come oramai accade per molti generi merceologici venduti online come elettronica di consumo e abbigliamento.
La concessionaria? Posso anche non vederla
Questa clientela non cerca la rapidità (12%) con insistenza e neppure la consegna a casa, anche se la percentuale del 12% è la più alta tra i tre gruppi. Insomma ci sono persone che la concessionaria non vogliono neppure vederla. La parità di percentuale (14%) ce riguarda l’usato rispetto a “phigital” indica probabilmente che, chi è pronto ad acquistare il nuovo online, lo ha già fatto con l’usato.
Le ragioni e le barriere mentali
Chi non è convinto dall’acquisto online lo è per il 32% perché non può provare la vettura, il 20% lo ritiene meno sicuro, il 18% pensa che in questo modo non vi siano tutte le informazioni necessarie. A parte un 3% che ritiene di non avere gli strumenti per fare acquisti online, ci sono anche fattori mentali non razionali che rappresentano una barriera non supportata da dati come “troppo impersonale”, “troppo complicato” e “non capisco e non mi piace questo metodo”.
I figli vogliono provare più dei loro padri
Secondo il 73% del totale del campione la prova del prodotto è indispensabile. Anche qui non mancano le sorprese: quelli più inclini a subordinare l’acquisto al test di guida non sono i più anziani, ma i giovani nella fascia 18-29 anni con il 92% e sono invece quelli nella fascia di età più importante 30-35 anni (69%) ad essere meno interessati a mettersi al volante e guidare prima di comprare.
Più spendi, più vai online
Interessanti anche i dati che emergono riguardo al budget destinato all’acquisto. Tre quarti degli interpellati arrivano a 30mila euro, 4 su 10 a 20mila. Ciò che invece stupisce è che chi intende allocare un budget maggiore ai 30mila euro ha in proporzione una maggiore propensione ad utilizzare il canale online per l’acquisto. Non c’è dunque rapporto diretto tra cifra da spendere e contatto diretto e personale.
Video chiamata? Roba da adulti
Anche sulla “fisicità” della trattativa ci sono sorprese. Solo il 13% sceglie di farlo attraverso canali telefonici o telematici, ma a preferirli non sono i giovani bensì quelli nella fascia 30-55. I più giovani risalgono, ma senza superarli solo relativamente all’utilizzo del telefono. Lo strumento della video chiamata che apparterrebbe alle ultime generazioni è invece quello preferito dalle fasce intermedie e di mezza età.
Il consulente digitale, questo (quasi) sconosciuti
Sulla digitalità della consulenza si assiste ad una sorta di “divide” poiché il 35% non ne ha mai sentito parlare e solo il 18% di chi lo conosce perfezionerebbe con lui l’acquisto in digitale, praticamente quanti affermano (17%) di non essere interessati. Un terzo (33%) lo utilizzerebbe, ma sempre in forma “phigital” e il 31% invece è saldamente ancorato alla consuetudine di andare in concessionaria e fare tutto lì con un consulente in carne ed ossa.
Il potere delle immagini. E delle emozioni
Nessun dubbio invece su quale sia lo strumento di vendita principe del consulente digitale: il video (70%) che esponga le caratteristiche del prodotto, dentro e fuori. Pari e patta tra la configurazione della vettura e il video con test drive della vettura. Il primo caso è un invito a considerare se serva davvero un sistema di configurazione online per il cliente. Il secondo rimanda al potere emozionale e informativo che può avere un video e ad una considerazione: molto spesso il cliente non si sente in grado di giudicare ciò che compra a tal punto da demandare l’esperienza più importante (la guida) al venditore/consulente, persino in remoto.
La pandemia? Ha spostato poco o nulla
Considerazioni. I concessionari durante la pandemia hanno sviluppato sistemi di vendita che hanno funzionato e hanno elevato il tasso di “virtualità” e digitalità”. Ma non certo al punto da sostituire l’esperienza fisica. E il fatto che siano paradossalmente i più giovani gli acquirenti più “fisici” deve spingere i manager e gli specialisti a chiedersi che cosa manchi per avvicinare l’automobile ai giovani secondo modalità che altri beni hanno già trovato in modo naturale e automatico.
Cambia lo status del concessionario, ma come?
Questa domanda è fondamentale nel momento in cui lo status del concessionario cambia: da mandatario e intermediario. I costruttori vedono in questo la possibilità di fare valere di più il brand verso il cliente restringendo il campo d’azione del concessionario I concessionari invece puntano a far pesare il loro ruolo sul territorio, la loro capacità di far toccare e provare il prodotto facendo valere e/o costruendo rapporti personali diretti.
Fisco e digitale di fronte alla novità
Rispetto al passato – e non da poco tempo – la differenza sostanziale è che il cliente ha a disposizione una mole imponente di informazioni attraverso Internet che accorcia i tempi della trattiva, Il cliente arriva con le idee chiare. Ora resta da capire se, proprio quando arrivano le nuove tecnologie, chi compra l’automobile si accontenti di acquistare sulla carta o invece voglia andare in un luogo dove vedere, toccare e provare un prodotto del quale parlare guardando negli occhi chi ce lo vuole vendere.
Honda Civic ibrida modello 2022. C’è ancora chi si chiede perchè l’auto diventi sempre più elettrica.
La risposta è nelle caratteristiche e nella mia prova su strada a Madrid della nuova Honda Civic, il cui sistema ibrido con motore Atkinson 2 litri di cilindrata a benzina iniezione diretta consuma meno del precedente 1.000 benzina, ha più coppia del 1.600 Diesel ed è più potente del precedente 1.500 benzina turbo.
Numeri che dicono più delle parole, come spesso accade. Il tutto con nuove celle per le batterie al litio e a una nuova capacità di gestire la carica degli accumulatori. L’ibrido, insomma, come rampa di lancio dell’elettrico.
L’essenza ibrida della nuova generazione di Honda Civic, disponibile esclusivamente con motorizzazione full hybrid a benzina più elettrico, trova una chiara spiegazione nei numeri che ne descrivono le prestazioni.
Il consumo medio dichiarato è di 4,7 litri di benzina per cento chilometri di percorrenza (108 grammi al chilometro di emissioni di CO2), la potenza massima è di 135 kW e la coppia arriva a 315 Nm. Questo significa che il sistema ibrido della nuova Honda Civic e:Hev consuma meno dell’attuale versione benzina da un litro di cilindrata, è più potente del benzina turbo da 1,5 litri e ha coppia massima superiore rispetto all’attuale diesel 1,6 litri oggi a listino.
Ibrido batte benzina, diesel e turbo
Il nuovo ibrido 2,0 litri di cilindrata ciclo Atkinson a iniezione diretta ad alta pressione, unito al motore elettrico di trazione, al generatore e alle altre componenti elettriche, batte cioè ognuno dei tre motori precedenti nella sua caratteristica migliore.
Prova su strada
Mettendosi alla guida dell’undicesima generazione della Honda Civic, che arriva a cinquant’anni dal lancio della prima versione, risulta subito evidente la grande dinamicità del nuovo sistema ibrido. In accelerazione la trasmissione e-Cvt, che non prevede un vero e proprio cambio ma una sorta di staffetta alle varie velocità tra trazione elettrica e motore a benzina basata su rapporti fissi, simula nell’andamento del numero dei giri del motore termico un cambio sequenziale a rapporti molto corti, dando la netta sensazione di trovarsi al volante di un modello sportivo.
La curva di incremento della velocità è molto soddisfacente (il valore dichiarato da zero a 100 km/h è di 7,8 secondi) e soprattutto, grazie alla nuova capacità dei progettisti Honda di sfruttare in modo decisamente maggiore la parte elettrica, non fa mai salire di giri il motore a benzina in modo asincrono rispetto alle aspettative del conducente.
Grandi performance
La modalità “Engine” del sistema ibrido, che prevede l’invio diretto alle ruote di potenza dal motore termico, viene mantenuta anche in situazioni nelle quali precedentemente la medesima architettura ibrida Honda prevedeva l’attivazione della modalità “Hybrid” con necessità di aumento del regime di rotazione del motore a benzina per azionare anche il generatore elettrico destinato a inviare elettricità supplementare alle batterie. Il principale motivo di questo grande salto in avanti dal punto di vista della godibilità di guida è nelle nuove batterie al litio, di soli 1.05 kWh di capacità, che hanno una nuova tecnologia per le celle e nelle quali più di due decenni di esperienza nell’ibrido hanno consentito di ampliare nettamente l’intervallo di utilizzo della carica.
Su strada anche il cofano anteriore in alluminio, più basso di 2,5 centimetri e il passo allungato di 3,5 centimetri rispetto alla versione precedente, con il portellone posteriore realizzato per la prima volta in resina, più leggero del 20% rispetto al componente tradizionale, danno un contributo percepibile all’ottima guidabilità.
Alleggerimenti mirati, nuova geometria per passo e carreggiata posteriore e grande attenzione alla rigidità del telaio si traducono in un ottimo controllo in curva.
Con l’elettronica che arriva a dare un’ulteriore mano, grazie al sistema di rilevamento dei tornanti e alla gestione predittiva della carica della batteria realizzata grazie ai dati del sistema di navigazione.
Nuovi interni
Gli interni fanno un salto in avanti con il nuovo display conducente da 10,2” e un display centrale da 9”, oltre al nuovo diffusore a nido d’ape che integra le bocchette d’uscita del climatizzatore dotate di maggiore escursione – che si traduce in migliore confort di bordo – rispetto alle precedenti.
Prezzi e versioni
L’arrivo sul nostro mercato è previsto per il prossimo mese di ottobre, con prezzi di 34.200 euro per la già ben accessoriata versione Elegance, 35.300 per la versione sport, 38.700 euro per la Advance al vertice della gamma Honda Civic e:Hev.
American Airlines sta per decollare in verticale. La compagnia aerea americana ha infatti confermato che acquisterà 50 velivoli elettrici a decollo verticale (eVTOLo electrical Vertical Take Off and Landing) dalla Vertical Aerospace. L’annuncio arriva ad un anno circa dall’annuncio di aver prenotato 250 mezzi con l’opzione per altri 100.
In questo modo la società di Fort Worth conferma l’investimento fatto direttamente sulla start-up di Bristol, nel Regno Unito. La Vertical Aerospace è stata fondata nel 2016 da Stephen Fitzpatrick, ingegnere ed imprenditore che ha fatto anche un passaggio in Formula 1 con il team Manor. In questo mondo l’inglese ha evidentemente ancora amici visto che l’ultimo ingresso nel consiglio di amministrazione è Mike Flewitt, ex amministratore delegato di McLaren Automotive.
Dalla Formula 1 all’aviazione
Inoltre uno dei suoi investitori-clienti è la Virgin, la cui storia si intreccia con la Manor, è parte di una galassia industriale da poco uscita dalla Formula E che fa capo al vulcanico sir Richard Branson. Partendo dal mondo dell’intrattenimento, la Virgin ora è sempre più concentrata sul trasporto aereo, i servizi aerospaziali con la Virgin Galactic e persino il turismo spaziale con la Virgin Orbit.
Investitori del settore e non
Gli altri investitori, oltre ad American Airlines e a Virgin, sono la Rolls-Royce Holdings e la Broadstone Acquisition. Quest’ultima era un’azienda operativa nella stesso settore che si è fusa con la Vertical Aerospace nel dicembre 2021, poco prima della quotazione alla Borsa di New York con la sigla EVTL. Il valore stimato era di 2,2 miliardi di dollari con un prezzo di aperura di 12,84 dollari per azione.
Il controllo del valore
Dopo una discesa lenta e il minimo di 2,90 dollari raggiunto il 14 luglio scorso, l’annuncio di American Airlines ha riportato il titolo ad oscillare tra 6 e 8,5 dollari. C’è dunque il legittimo dubbio che la compagnia americana abbia voluto tutelare il proprio investimento e spingere il proprio bilancio trimestrale e il proprio valore in borsa. L’11 luglio ha inoltre presentato il suo Environmental, Social and Governance Report per il 2021.
La prima volta per una grande
A parte queste speculazioni, è la prima volta che una compagnia aerea così grande (29,9 miliardi di fatturato e 165,7 milioni di passeggeri nel 2021 con 913 velivoli) si espone nel campo degli eVTOL che rientrano nei piani di decarbonizzazione. La Iata (International Air Transport Association) ha fissato nel 2050 l’obiettivo di dimezzare le emissioni nette dei CO2 e del 70% l’impronta per tutto il ciclo di vita dell’aviazione.
Gli obiettivi IATA e il potenziale effettivo
Un piano ambizioso, ma non irraggiungibile. Secondo lo studio Decarbonizing Aerospace realizzato dalla Deloitte, c’è anzi il potenziale di tagliare le emissioni di CO2 dell’85% entro quella data. Anche in questo caso, non esiste la pallottola d’argento, ma una gamma di soluzioni che agiscono sull’intero sistema: materiali, gestione a terra, gestione ottimizzata del traffico, compensazioni con o senza ETS (Emission Trading Scheme) e infine i carburanti e i sistemi di propulsione (elettrico, ibrido, idrogeno).
Cresce il traffico, calano le emissioni
Al momento l’aviazione civile è responsabile del 2-3% delle emissioni di CO2 mondiali. Tuttavia sono salite del 32% dal 2013 al 2018 e se, il traffico aumentasse a 10 miliardi di passeggeri all’anno nel 2050 rispetto ai 4,6 miliardi del 2019, la CO2 emessa salirebbe dei 2,6 volte mantenendo le tecnologie attuali. A quel punto i 2,35 miliardi di tonnellate di CO2 varrebbero il 22% del totale.
Una questione di accettabilità
Il rischio è che il volo diventi inaccettabile economicamente e socialmente con un serio contraccolpo: -40 miliardi di dollari di giro d’affari e 110mila persone occupate in meno. Nell’ultimo decennio l’aviazione civile ha diminuito la propria impronta di CO2 dell’1,5% all’anno. Attualmente ogni passeggero di linea produce in media 108 kg di CO2. Il cammino verso la sostenibilità dunque è già avviato e va accelerato.
Il SAF, l’elettrico e l’idrogeno
Un volo tra New York e Londra produce una tonnellata di CO2 per passeggero, quanto un cittadino di una nazione civilizzata in un anno. Sono già in uso i cosiddetti SAF (Sustainable Aviation Fuel) di origine bio (da scarti biologici) o sintetici (cattura di CO2 con l’idrogeno) che hanno il potenziale di tagliare del 75% la CO2 sui voli a lungo raggio. Ma costano da 4 a 10 volte di più. L’idrogeno è, secondo la Deloitte, la soluzione cardine per a transizione.
Batterie per il corto ed il medio
Per l’elettrico il problema è il solito: le batterie. La loro densità di energia, secondo Deloitte, è 14 volte inferiore ai carburanti liquidi. Il loro terreno di elezione sono il corto e il medio raggio. Nel primo caso, con l’elettrico l’impronta di CO2 sarebbe abbattuta del 60%, nel secondo del 40-45%. Il potenziale combinato di Saf ed elettrico è di tagliare la CO2 emessa di 1,49 miliardi di tonnellate di CO2.
Quattro più pilota
Il VX4 di Vertical Aeoropace rientra a pieno titolo in questa strategia. Trattasi di un velivolo elettrico quadrimotore lungo 13 metri e con un apertura di 15, capace di trasportare 4 persone più pilota. La potenza massima dei motori, sviluppati da Rolls-Royce, è di circa 1 MW per una velocità di 202 miglia orarie (324 km/h) e un’autonomia di 100-120 miglia con una silenziosità straordinaria: solo 45 dB a velocità di crociera.
Più di un taxi
A conti fatti, il V4X sarebbe capace di compiere voli di mezz’ora. Sarebbe una via di mezzo tra taxi ed un volo a corto – anzi cortissimo – raggio. Potrebbe essere ideale per andare da Roma a Perugia o ad Ancona, da Bologna a Firenze o a Venezia, da Milano a Genova. Ma anche Palermo-Catania, Cagliari-Alghero Sarebbe dunque un segmento delle mobilità in grado di integrare quella aerea e sostituire alcune forme inefficienti su strada e rotaia, soprattutto in Italia che è una nazione lunga, stretta e divisa da forti rilievi.
In competizione con l’elicottero
Per le megalopoli sarebbe il mezzo ideale per collegare i tanti piccoli aeroporti esistenti e crearne di nuovi in base alle necessità. All’aeroporto di Nizza, ad esempio, proliferano da anni servizi di elicottero taxi che collegano l’aeroporto internazionale a Monte Carlo. Il prezzo è superiore solo del 30% rispetto al taxi e con tempi ridotti ad almeno un quarto. Ma con emissioni di CO2 sicuramente assai superiori.
Batterie da Taiwan
Il V4X lo potrebbe fare in modo ancora più veloce e a zero emissioni, ma con l’handicap di doversi ricaricare. Non sono ancora note la capacità della batteria e la potenza di ricarica. Si sa che la tecnologia di integrazione e di raffreddamento è della stessa Vertical Aerospace e le celle sono fornite dalla taiwanese E-One moli Energy Corp. abbreviata in Molicel. Sono celle cilindriche modello P45B tipo 21700 (base 21 mm di diametro per 70 mm di altezza) con catodo al cobalto-nickel-manganese-alluminio ed elettrolita all’esafluorofosfato di Litio che pesano ognuna 69 g.
I numeri sull’accumulatore
Possono erogare 184 W con uno stato di carica del 90% e di 168 W al 50%. Con 3,6 Volt, la capacità espressa in 4,5Ah corrisponde a 16,2 Wh. La densità in volume è di 643 Wh/litro e in peso di 242 Wh/kg. L’amperaggio massimo di ricarica è di 13,5 Ampere. A conti fatti, escludendo cablaggi interni, raffreddamento, elettronica e contenitore, se la potenza massima del V4X è di 1 MW, ci vogliono circa 600 kg di celle per una capacità di oltre 145 kWh.
Batteria da Formula E e Le Mans
Visti però gli standard di sicurezza necessari per i velivoli, è ipotizzabile che questa capacità sarà di molto superiore e utilizzata in un campo di ricarica che permette di avere il massimo della sicurezza. Tra i clienti di Molicel ci sono la Nasa e la Williams Advanced Engineering (fornitore delle batterie delle monoposto Gen3 di Formula E). Dunque standard chimici, vibrazionali e termici dovrebbero essere elevatissimi.
Si può anche fare un ragionamento sul prezzo del V4X. Quando American Airlines annunciò la prelazione per 250 unità si parlò di 1 miliardo di dollari. L’azienda britannica dice di avere ordini in totale per 1.400 pezzi per un valore complessivo di 5,4 miliardi di dollari. Parliamo dunque di un mezzo che costa intorno ai 4 milioni di dollari, anche se promette costi di gestione molto bassi.
I clienti? Compagnie aeree e non solo
Nell’elenco dei clienti, di Vertical Aerospace, oltre ad American Airlines, ci sono altre compagnie aeree come Virgin Atlantic, Japan Airlines, Air Greenland, AirAsia, Iberojet, Gol, Flyinggroup, Gözen e ci sono anche un grosso trading giapponese come Marubeni (fatturato pari a 455 miliardi di euro) e la Avolon, società irlandese di leasing specializzata in velivoli: ha 851 aeroplani con 146 compagnie in 62 paesi.
Appuntamento per il 2025
E i numeri di Vertical Aerospace non sembrano velleitari poiché ognuno di questi riportano con esattezza la firma dell’accordo, il numero dei velivoli prenotati e la data di consegna. Per questa si parla del 2025. L’iter di omologazione sarebbe stato già avviato così come l’assemblaggio del prototipo presso la GKN, altro partner che ha un piede nell’aerospazio ed un altro nell’automotive.
L’Italia? Sarebbe pronta a tutto
Ma tutto questo accade solo in altre parti del mondo mentre l’Italia è fuori da tutto questo? Niente affatto. Della fusoliera del V4X si occupa infatti la Leonardo, ma soprattutto c’è una consapevolezza istituzionale di fronte alla nuova mobilità aerea. L’Enac (Ente Nazionale Aviazione Civile) si è già riorganizzata al proprio interno con la costituzione di una nuova direzione dedicata alle nuove tecnologie e all’aerospazio.
L’Enac inoltre ha elaborato il Piano Strategico Nazionale Advanced Air Mobility che sarà preso come modello dalla Commissione Europea per la strategia Drone 2.0 destinata a pianificare e regolamentare la cosiddetta mobilità della terza dimensione. Strategico è anche lo spazioporto di Grottaglie, dove sono già partiti i test sui droni a guida autonoma e, al proposito, c’è già un progetto per renderli operativi nel 2026 tra Milano e Cortina d’Ampezzo in occasione dei Giochi Olimpici Invernali.
Abbiamo tutto per essere protagonisti
Non dimentichiamoci inoltre che il nostro paese è una delle potenze mondiali nel campo aerospaziale: è il terzo contributore dell’Agenzia Spaziale Europea, il quinto investitore al mondo ed è uno dei pochi ad avere una filiera completa che va dalle micro-imprese e le start-up fino alle grandi aziende. Inoltre il Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza prevede ulteriori 4 miliardi destinati a potenziare questa eccellenza semi-nascosta del nostro Paese che deve essere mantenuta e sviluppata anche attraverso la muova mobilità aerea. Possiamo e dobbiamo avere anche noi la nostra Vertical Aerospace.
Polestar sta arrivando anche in Italia e a condurla nel nostro paese è Alexander Lutz di anni 36. È raro se non impossibile vedere un manager così giovane al vertice di un marchio, anche per una national sales company non certo semplice come lo Stivale per l’auto elettrica. Lutz però ha già dimostrato di che pasta è fatto. Dal 2019 ha ricoperto lo stesso ruolo in Germania e conosce bene l’Italia e l’italiano. Ha infatti lavorato in Maserati ed è convinto che Polestar possa fare bene anche al di sotto delle Alpi. Lo avvisiamo subito: la nostra prima domanda è di quelle scomode. O almeno non è di quelle semplici. Ma serve a rompere il ghiaccio “polare”. Intanto i numeri si stanno scaldando: nei primi sei mesi Polar ha venduto 21.200 unità, il 125% in più dello stesso periodo del 2021.
Perché di fronte alla transizione i costruttori preferiscono andare per i fatti propri invece di conservare la propria unità? Parlo del fatto che, per motivi opposti, Stellantis e Volvo hanno abbandonato l’Acea…
«Questa è una domanda davvero scomoda! Perché il BEV e il nuovo mondo dell’auto elettrica è molto diverso dal mondo tradizionale. Per questo tutti separano industrialmente il vecchio dal nuovo. Questo dà un grosso vantaggio se si vuole permettere al cliente di concentrarsi su nuovi valori quali design, performance, sostenibilità, innovazione. Ovviamente ci sono anche svantaggi: noi siamo un marchio sconosciuto, poche persone conoscono Polestar e bisogna iniziare da zero. Per noi questo svantaggio non è così forte perché siamo già collegati un po’ con il mercato: la nostra mamma è Volvo, che ci aiuta per l’industrializzazione e lo sviluppo, e il nostro papà è Geely che ci dà investimenti, tecnologie e le giuste pressioni».
Leggi l’articolo sulla separazione tra Volvo e Geely con Aurobay
Parliamo dunque dei nuovi attori delle mobilità, come voi. Polestar ha alle spalle dei costruttori e di fronte il rischio di essere nuova e c’è anche un altro rischio: la concorrenza dei nuovi attori della mobilità che hanno un’immagine tecnologica, un’enorme capacità di raccogliere capitali anche in borsa riuscendo ad essere attraenti nei confronti degli investitori e anche verso i costruttori tradizionali che cercano di prenderne le idee e le tecnologie. Come vedete questo doppio fronte sul mercato e a livello di immagine?
«Per noi il gruppo è importante perché possiamo sfruttarne tutte le risorse e gli investimenti. I nostri partner sono i migliori del mondo. Uno tra questi è Google: noi siamo i primi che abbiamo sviluppato con loro un sistema operativo per l’infotainment delle autovetture. Il fatto di avere poi Volvo e Geely alle nostre spalle non è il nostro solo vantaggio. Secondo me, in più abbiamo l’umiltà: quando abbiamo chiesto a Google di realizzare il nuovo infotainment lo abbiamo fatto perché non sapevamo come farlo. Ci avremmo messo 10 anni per un elemento che non è un nostro core business. La stessa cosa per le batterie e i motori elettrici. Anche per questo abbiamo rapporti di collaborazione con i partner migliori del mondo che con Polestar hanno la possibilità anche di provare qualcosa di nuovo. Ad esempio, Project Zero è l’unico progetto nel settore automotive nel quale l’automobile sarà completamente priva di emissioni, dall’inizio fino alla fine della vita entro il 2030. Partner come ZF e Northvolt hanno capito dunque che, se vogliono davvero spingere sull’innovazione, possono provare qualcosa di nuovo per raggiungere un obiettivo così alto che noi non sappiamo ancora completamente come raggiungere. Penso che nessuno come noi sta lavorando in modo così intenso con i nostri fornitori che per noi sono partner».
Parliamo del rapporto con i clienti. Come volete vendere e assistere le vostre automobili?
«Noi venderemo tutto su Internet. Se vuoi comprare una Polestar devi configurare e comprare la vettura tramite web. Non c’è altro modo. Questo vale ovviamente per il cliente privato. Se una grossa azienda chiama e ci chiede 100 vetture, abbiamo persone specializzate che gestiscono le flotte. Comprare sul web vuol dire velocità, comodità, trasparenza e un prezzo certo. Per la distribuzione, utilizziamo un ibrido con la rete di vendita con i nostri punti che chiamiamo Space e sono insieme con i concessionari Volvo. In questo modo, abbiamo l’esperienza di un investitore capace di aiutare il brand ed il cliente che trova un partner conosce bene il territorio. Per la rete post-vendita ci serviamo invece di quella Volvo».
Che livello di brand identity chiedete ai vostri investitori?
«Noi chiediamo un investimento importante perché per noi l’esperienza presso i nostri Space deve essere indimenticabile. La qualità deve essere molto alta con un investimento elevato in rapporto alla superficie, comunque inferiore a quello necessario per una grande concessionaria. Per noi è importante che la persona che si reca presso lo Space ne percepisca la qualità: è concepito come una galleria d’arte nella quale le uniche cose che contano sono le persone e il prodotto. Nient’altro. Non ci sono reception o uffici di vendita. Normalmente, hanno una superficie pari a 300 metri quadri con una identità di marchio al 100% Polestar. Non discutiamo con gli investitori su dove mettere una porta o altro: è quella e basta».
Chi sono questi investitori e dove saranno questi Space?
«Noi avremo uno Space a Milano, e lo avremo in centro città, e uno a Roma, ma non nel centro perché è praticamente impossibile. Non posso fare nomi per gli investitori, ma Volvo ha tre investitori a Roma e altrettanti a Milano, dunque saranno rispettivamente uno di questi per città. La cosa importante è che vengono dal mondo premium e hanno un’esperienza che per noi è fondamentale».
[Ci mostra poi le foto di uno Space]
«Questo è lo Space di Oslo nel Fashion District perché la nostra strategia è che il cliente non deve perdere tempo nel vedere Polestar. Se lui è in zona per qualsiasi motivo, può andare senza problemi per vedere una vettura e ricevere consulenza. Noi non abbiamo venditori, ma consulenti senza commissione. Dunque non c’è ossessione per la vendita. Pensiamo che l’e-mobility, per quanto sia già iniziata, sia ancora all’inizio e il cliente ha ancora bisogno di capire».
Ecco, parliamo allora dei prodotti. Siete partiti da Polestar 1 che è una Volvo “evoluta”, abbiamo visto la Polestar 2, la Polestar 3 e sappiamo che ci saranno Polestar 4 e Polestar 5. Ci può dire un po’ sul piano prodotti che vedremo da qui a qualche anno?
[A questo punto Lutz prende una tavoletta grafica ed inizia a disegnare una grande V, sul segmento di destra fissa dei punti che corrispondono ai modelli Polestar, su quello di sinistra i modelli Volvo]
«Io faccio sempre una V per spiegare che cosa vogliamo fare. All’inizio [è indica il vertice basso] c’è la Polestar 1, la Polestar 2 è ancora legata alle Volvo C40 e XC40, anche nel design, ma è più distante. La Polestar 3 è ancora più distante rispetto ad una Volvo XC90 di terza generazione. E così i due marchi si differenzieranno in modo progressivo. La Polestar 5, ad esempio, sarà una berlina e sarà sviluppata al 100% da Polestar: piattaforma, sistemi… tutto! I valori del brand li ho già detti è sono: performance, design, innovazione e sostenibilità. In più Polestar è un marchio individualista, esclusivo, cool, progressivo. Invece Volvo è più caldo, famigliare e che vuol dire sicurezza. Già una Polestar 3 non sarà in grado di assicurare tutte queste caratteristiche che oggi le Polestar 1 e Polestar 2 hanno in comune con le Volvo».
Ci può dire quali saranno le caratteristiche di Polestar 4 e Polestar 5?
«La Polestar 4 sarà un crossover più grande della Polestar 2. Per ora non posso mostrare nulla. La Polestar 5 invece l’abbiamo già vista a Goodwood: è una GT 4 porte con quasi 900 cv, batteria con più di 100 kWh e autonomia di oltre 600 km. Quest’ultimo obiettivo lo raggiungeremo già con la Polestar 3: per noi i 600 km rappresentano il livello giusto».
Il vostro gruppo con Volvo e Lynk&Co. ha introdotto forme innovative di utilizzo e possesso. Voi che cosa volete proporre?
«Qualsiasi cosa: abbonamento, noleggio, leasing… per noi decide il cliente. In Italia iniziamo con leasing, noleggio e acquisto. Non posso ancora dire quale sarà il nostro partner finanziario, ma posso dire che vogliamo gestire insieme il cliente, soprattutto qui in Italia dove la qualità del trattamento del cliente deve essere altissima».
Obiettivi di vendita?
«Per l’Italia non faccio numeri. Posso solo dire che ho già chiesto più macchine di quanto previsto inizialmente e a livello globale vogliamo raggiungere le 50mila unità. Nel 2025 l’obiettivo è di 290mila macchine con quattro prodotti, dalla Polestar 2 alla Polestar 5 che lanceremo alla fine del 2024. Il nostro posizionamento sarà alto e con obiettivi che non saranno né quelli dei costruttori tedeschi né di Tesla. Io credo che il cliente in Italia è capace di apprezzare i valori di Polestar più di qualsiasi altro paese d’Europa. I tedeschi sono molto razionali, ma Polestar non è solo razionale. Ha anche un cuore, che per un’auto elettrica non è così facile da creare, ma Polestar viene dal mondo delle gare e abbiamo persone che sanno come creare vetture dotate di un certo feeling».
[Nei primi 6 mesi Polestar ha venduto 21.200 unità (+125%) e gli ordini sono 50.000 (+350%) con un circolante pari ormai a oltre 55mila auto. Nello stesso periodo i mercati nei quali è presente è passata da 19 a 25 e gli Space da 103 a 125, 30 in più rispetto alle previsioni. A giugno è stato firmato un accordo con Hertz per consegnare 65.000 unità in 5 anni]
Parlando di gare, ci troviamo a Roma dove si tiene un Gran Premio di Formula E e il vostro nome è stato spesso accostato alle monoposto elettriche. Ci state pensando o ad altre forme di competizione elettriche?
«In generale sì. Al nostro interno abbiamo persone che hanno vissuto nelle corse e sono dunque appassionati. Sulle competizioni non c’è una posizione ufficiale. Personalmente, la Formula E non mi sembra molto interessante, lo sono di più altre categorie. Posso però dire che il motorsport non è una priorità: ora le cose più importanti sono mettere insieme l’azienda e sviluppare i prodotti. Che con 2.800 persone non è una cosa facile. Siamo ancora una piccola azienda e dobbiamo imparare a gestire il mercato, in ogni differente realtà».
Uno dei problemi principali della transizione ecologica è la disparità delle condizioni di partenza. Nel caso della mobilità elettrica, esse sono: legislazione; presenza di incentivi; reddito; diffusione, densità e potenza della rete di ricarica; prezzo dell’energia. Quale paese dunque, in base a tali condizioni, rende la transizione più facile verso l’auto elettrica?
I dati su 34 paesi
È la domanda alla quale ha cercato di dare risposta Uswitch, un comparatore di tariffe britannico che ha analizzato le suddette condizioni in 34 paesi europei fornendo un indice di compatibilità che va da 0 a 10. La ricerca fornisce una classifica su elementi quantitativi fornendo, a supporto, un giudizio specifico per ogni paese.
La classifica elaborata da Uswitch ha fornito non poche sorprese. Non stupisce il primo posto dell’Olanda (8,23/10): i dati statisticamente più favorevoli sono la densità di presenza di stazioni rispetto alla superficie e il costo annuale della ricarica di 184,59 euro, secondo per economicità solo a quello della Turchia. A stupire invece è che nelle altre prime 10 posizioni non c’è nessun grande paese europeo. E che all’11° c’è l’Italia.
Chi lo avrebbe mai detto?
Il nostro paese, secondo questa ricerca, sarebbe dunque più pronto di Lussemburgo, Svizzera, Regno Unito, Belgio, Spagna, Svezia, Francia, Germania e persino la Norvegia, ovvero il “paradiso” riconosciuto dell’auto elettrica. Ma in base a quali fattori USwitch ha elaborato questa classifica?
Quattro sono i fattori: il numero di stazioni di ricarica ogni 10 km2, il rapporto tra gli utenti di auto elettrica per punto di ricarica, la percentuali di stazioni di ricarica ad alta potenza e i costi annuali di ricarica. L’Olanda vince a mani basse per il primo fattore: 24,15 stazioni di ricarica ogni 10 km2 mentre il Lussemburgo al secondo arriva solo 6,87.
La Norvegia, paradiso non in tutto
La Norvegia vince di misura per il rapporto tra utenti e punti di ricarica: 24,03 contro 22,24 di Malta, distaccate l’Irlanda (13,96) e la Francia (13,77). Per il rapporto tra stazioni si ricarica veloci e normali, gli stati baltici monopolizzano il podio: Lettonia (0,70), Lituania (0,62) ed Estonia (0,17). Il primo grande paese è la Spagna (6° a 0,10) e l’Italia è 8° (0,06).
Per il costo annuale della ricarica, il paese più favorevole è la Turchia (164,49 euro), davanti alla Romania (170,25 euro) e all’Olanda (184,25 euro). Per questo fattore l’Italia è al 28° posto (444,72 euro) e il fanalino di cosa e la Danimarca (640,83 euro) dietro alla Germania (573,19 euro).
Le fonti dei numeri
Ma quali sono le fonti utilizzate? La prima è l’Alternative Fuel Observatory della Commissione Europea per i primi tre fattori. Per l’ultimo, la fonte sono l’Eurostat ponderando i prezzi per ogni kWh, per il chilometraggio medio in Europa, l’autonomia dichiarata e la capacità della batteria. Tutti e 4 i fattori hanno lo stesso peso.
Il giudizio sull’Italia: «In termini di estensione, l’Italia è un paese abbastanza piccolo, ma ha tante infrastrutture per supportare i veicoli elettrici. L’Italia ha la quarta rete di ricarica più numerosa sul Continente e un tasso di adozione relativamente alto. È alla costante ricerca di modi per accrescere la propria strutture per supportare il futuro dell’adozione domestica dei veicoli elettrici, come fornire punti di ricarica alla propria rete di stazioni di pedaggio e, cosa ancora più impressionante, la prima autostrada di ricarica. Avete sentito bene. Una strada che ricarica la vostra vettura mentre la guidate. Non vediamo l’Italia nel rinunciare a promuovere se stessa come quello che molto presto sarà uno dei luoghi migliori per i veicoli elettrici».
Quadro veritiero o analisi superficiale?
Ci si può riconoscere in questo giudizio? A livello di percezione, no. A livello di numeri però ci sono elementi che ci fanno capire che, contrariamente a quanto si pensa comunemente, l’Italia non è certo il peggior paese per le auto dalla spina. Nel giudizio qualitativo ci sono contenuti lontani dalla realtà, come l’autostrada ad induzione e non si considera invece che siamo ancora in attesa di una rete di ricarica in autostrada che è in netto ritardo sul previsto.
Non dobbiamo però dimenticare che questa ricerca non fotografa uno stato, bensì un potenziale, una latenza e non considera altri elementi come l’omogeneità della rete, del mercato delle auto elettriche e della sua progressione verso le auto alla spina, con o senza incentivi. Del tutto non considerate le wallbox per la ricarica domestica.
Mala percezione o mal comune?
La ricerca Uswitch non ci fa poi vedere quante colonnine troviamo guaste, quante occupate abusivamente e ci danno solo un dato statistico senza valutare la loro distribuzione in base alla densità di traffico e circolante. Rimane il dubbio: l’Italia è davvero un paese favorevole all’auto alla spina e non ce ne eravamo accorti oppure gli altri paesi sono in ritardo come e più di noi rispetto allo sviluppo dell’infrastruttura?
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