La guerra alla plastica è partita anche all’interno delle cause automobilistiche e in prima linea c’è Jaguar Land Rover.
Il costruttore britannico ha annunciato un accordo di collaborazione con BASF per la partecipazione a ChemCycling, un progetto pilota per il riciclaggio di rifiuti plastici domestici trasformandoli in un materiale utilizzabile sia per le plance sia per le superfici esterne della carrozzeria dei veicoli.
Queste plastiche infatti sono oggi indirizzate a inceneritori e discariche poiché miste o contaminate, dunque hanno un impatto sia sull’atmosfera sia sul suolo.
La BASF invece ha inventato un procedimento termochimico che, attraverso lo steam cracking, le scompone prima in etilene e propilene e poi le trasforma in olio di pirolisi. Quest’ultimo, denominato Verbund, è utilizzabile come materiale crudo secondario, al posto di composti di origine fossile, per la produzione di parti in materiale plastico che ha la stessa qualità di quello vergine.
Contro la plastica, un enorme sforzo corale
Per Land Rover, il primo esperimento pilota riguarda il supporto frontale superiore della I-Pace, realizzato in Ultramid B3WG6 Ccycled Black 00564. Ultramid è il nome di questo materiale plastico e la scritta “Ccycled” indica che è realizzata secondo il nuovo processo. Il progetto coinvolge specialisti del packaging come Storopack e Südpack e la Schneider Electric.
Basf è inoltre cofondatore della Alliance to End Plastic Waste, un consorzio che comprende 30 aziende di prima grandezza – Chevron, ExxonMobil, Henkel, Mitsubishi Chemical, Mitsui Chemicals, Procter&Gamble, Shell, Sumitomo Chemical, Total e Versalis del gruppo ENI, per citarne solo alcune – e che ha investito 1 miliardo di euro per l’eliminazione e la riduzione dei rifiuti plastici nell’ambiente.
L’AEPW aumenterà i propri investimenti in questo campo fino a 1,5 miliardi nei prossimi 5 anni. Il consorzio ha l’obiettivo di sviluppare infrastrutture di raccolta, innovazione, educazione e sensibilità e infine pulizia del territorio controllando così sia l’immissione sia il recupero di materiale plastico nell’ambiente.
Tutto il potenziale del riciclaggio chimico
BASF stessa è un vero e proprio gigante della chimica: ha infatti realizzato nel 2018 un fatturato di 63 miliardi di euro, 1,9 solo in Italia dove è presente dal 1946. L’obiettivo è di realizzare una crescita neutra in termini di CO2 dal 2018 al 2030 e di raggiungere entro il 2025 vendite per 22 miliardi all’anno di prodotti “acceleratori”, ovvero in grado di innescare riduzioni di emissioni e impatto con l’ambiente.
Secondo uno studio McKinsey, la plastica prodotta è recuperata e riciclata per il 16%, è possibile raggiungere il 50% entro il 2030. E l’apporto del riciclo chimico (come il ChemCycling) sarebbe determinante: oggi riguarda l’1% della plastica, ma può arrivare al 17% ovvero 74 milioni di tonnellate di rifiuti. Le problematiche da risolvere sono essenzialmente di due tipi.
Le prime sono di carattere tecnico ed economico, le seconde di tipo normativo. Il riciclo chimico cioè deve essere riconosciuto come riciclo e devono essere definite le percentuali di reimmissione dell’olio di pirolisi nel processo produttivo. Basf è anche membro del World Plastics Council e prende parte ad un’altra iniziativa internazionale che mira a prevenire le perdite di pellet plastici nell’ambiente.
L’industria, le normative, ma non solo
Il programma di BASF, al quale ha aderito anche la Jaguar Land Rover, dimostra come anche la grande industria abbia maturato la piena consapevolezza di sviluppare prodotti e processi che riducano la plastica e ne controllino il recupero.
La casa britannica, dal canto suo, ha già raggiunto l’obiettivo “zero rifiuti in discarica” previsto per il 2020. Inoltre, in collaborazione con la Kvadrat, ha realizzato rivestimenti dei sedili per le Range Rover Velar ed Evoque in tessuto tecnico, misto a lana, con materiale proveniente da 53 bottiglie di plastica riciclate.
Italia ed economia circolare
Nella creazione di un’economia circolare, anche l’Italia può giocare un ruolo importante.
È infatti il primo paese dell’UE ad avere recepito la normativa sui cotton fioc , in vista di quella che nel 2020 metterà al bando le microparticelle contenute nei cosmetici come gli scrub. Le iniziative messe in campo dall’Università la Sapienza e di Tor Vergata dimostrano che anche il mondo accademico e pronto a fare la propria parte, direttamente.