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  • Le Volvo saranno elettriche nel cuore e di idrogeno per la pelle con l’acciaio “verde”

    Le Volvo saranno tutte elettriche nel 2030 e saranno fatte di acciaio verde ad impronta nulla di CO2. La casa svedese sta infatti esplorando, come altre, tale possibilità insieme al produttore svedese SSAB, la società energetica Vattenfall e la società mineraria LKAB. Queste ultime 3 sono impegnate dal 2016 in HYBRIT.

    L’acciaio carbon neutral è HYBRIT

    HYBRIT sta (HYdrogen BReakthrough Ironmaking Technology), progetto che mira a realizzare un ciclo di produzione dell’acciaio completamente libero da CO2. L’obiettivo è arrivare nel 2026 al primo impianto di produzione di acciaio a impronta zero e allargare tale tecnologia e tutti gli impianti SSAB entro il 2045.

    Volvo HYBRIT

    Volvo si è prenotata per essere il primo costruttore ad utilizzare tale acciaio che, per essere “verde”, utilizza l’idrogeno, in un duplice modo. Il primo è come agente riducente all’interno degli altoforni al posto di carbon e coke che incidono sul 90% delle emissioni di CO2 per la fabbricazione dell’acciaio.

    Il primo stabilimento pilota entro l’anno

    Con l’idrogeno invece il prodotto di scarico è acqua. Il secondo modo è utilizzare altoforni ad arco elettrico al posto di quelli alimentati a combustibile fossile. L’elettricità utilizzata sarebbe prodotta attraverso l’idrogeno come vettore energetico, a sua volta prodotto per idrolisi attraverso energie rinnovabili.

    La SSAB (7,5 miliardi di euro di fatturato nel 2019) sta allestendo il primo stabilimento pilota a Luleå. Se la tecnologia sarà validata, il primo impianto ad essere convertito sarà quello di Oxelösund. La produzione dell’acciaio è responsabile del 7% dell’impronta globale di CO2 e del 10% in Svezia.

    Acciaio pulito, i vantaggi

    SSAB afferma che l’acciaio “verde” ha la stessa qualità di quello “nero” e che il costo è attualmente del 20-30% superiore. Ci sono però due fattori. La diminuzione del prezzo delle energie rinnovabili e l’aumento del costo delle emissioni di CO2. Entrambi sono legati all’aumento dei crediti di carbonio.

    Volvo HYBRIT

    Per la casa automobilistica il vantaggio fondamentale è ripulire un segmento fondamentale della propria catena del valore. Se si pensa che la scocca di un’auto di medie dimensioni utilizza 250-300 kg di acciaio e nel 2019 sono state prodotte oltre 92 milioni di automobili, si comprendono le conseguenze di tale cambiamento.

    L’effetto sistemico

    Secondo Volvo, l’acciaio pesa per ben il 35% sull’impronta di CO2 di ogni singola vettura dotata di motore a combustione interna. Tale impatto scende al 20% per auto elettriche. Questo accade perché c’è meno metallo e perché entrano in gioco altri materiali, in special modo le terre rare per batterie e motori elettrici.

    Volvo HYBRIT

    Secondo Worldsteel, ogni tonnellata di acciaio implica l’emissione di 2,21 tonnellate di CO2. È utilizzato da molti tipi di industria e agire su di esso vuol dire avere un impatto davvero sistemico e globale. Produrre acciaio sostenibile all’interno dell’Unione Europea rafforza in prospettiva l’intero sistema economico.

    Oltre la metà viene dalla Cina

    È un’occasione per invertire una tendenza che ha portato lontano nell’ultimo ventennio il baricentro dell’acciaio. Su 1,86 miliardi di tonnellate di acciaio prodotto nel 2020, oltre la metà (1,05) proviene dalla Cina. Seguono India, Giappone, Russia, USA e Corea del Sud. Il primo paese europeo è l’Italia con 20,2 milioni.

    Volvo HYBRIT

    Nel 2000 quasi un quarto dell’acciaio mondiale era prodotto in Europa mentre oggi siamo a meno del 10%. La Cina era al 15%… ma anche gli USA e il Giappone hanno visto una diminuzione drastica: rispettivamente dal 15,9% al 5,4% e il Giappone dal 12,5% al 4,4%. L’acciaio è inoltre riciclabile all’infinito.

    Tutte le opportunità

    Già oggi il 33% dell’acciaio prodotto è riciclato. Si calcola che questo faccia risparmiare all’ambiente 950 milioni di tonnellate di anidride carbonica all’anno. Si raggiungerà il 50% nel 2050 quando il fabbisogno mondiale previsto sarà di 2,8 miliardi di tonnellate.

    acciaio

    C’è dunque un potenziale di mercato da sfruttare puntando all’innovazione. Secondo SSAB, la Svezia può puntare dritta all’acciaio completamente verde grazie all’abbondanza di energie rinnovabili e alla qualità del minerale ferroso. La sua purezza è infatti importante per l’efficienza e il metodo di produzione.

    La via dritta e quella di mezzo

    C’è però anche la via di mezzo dell’acciaio “ibrido” attuabile solo con gli altoforni ad arco elettrico. In questo caso almeno parte dell’energia è rinnovabile e l’idrogeno è utilizzato insieme al coke come agenti riducenti per “caricare” il ferro di carbonio e renderlo acciaio. Sta sperimentando questa strada l’austriaca Voelstalpine.

    Volvo HYBRIT

    Leggi l’articolo su idrogeno e acciaio, futuro industriale ed energetico vanno a braccetto in Austria

    La questione dell’acciaio “verde” è dunque fondamentale. Aiuterà la Volvo ad essere carbon neutral nel 2040, obiettivo che l’industria automotive e l’intera Unione Europea vuole raggiungere nel 2050. E dimostra, ancora una volta, che è necessario introdurre l’idrogeno all’interno dei nostri sistemi energetici. E che grazie all’idrogeno è possibile mantenere in Italia e riconvertire un asset strategico come l’acciaio.

    Ex Ilva Taranto
  • Shell condannata da un tribunale ordinario olandese ad accelerare sulla decarbonizzazione

    La Shell è stata condannata ad anticipare i propri obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 dalla corte distrettuale dell’Aia dando così ragione alla Milieudefensie, organizzazione ambientalista olandese, insieme ad altre 6 (Action Aid Netherlands, Both ENDS, Fossil Free Netherlands, Greenpeace Netherlands, Young Friends of The Earth Netherlands e Waddenvereniging) e 17mila cittadini olandesi.

    Milieudefensie
    Procedimento avviato nel 2018

    Il contenzioso era stato formalizzato nel 2018 sulla base di un rapporto di Carbon Major Database. Secondo quest’ultimo, La multinazionale anglo-olandese sarebbe la 9^ azienda al mondo responsabile per le emissioni di CO2 tra il 1988 e il 2015. Ad essa andrebbe ricondotto l’1% di tutta l’anidride carbonica di origine fossile.

    La sentenza di primo grado, emessa dal giudice Larisa Alwin, stabilisce che la politica sul clima della Shell è priva di elementi di concretezza. La società energetica ha annunciato di voler tagliare le emissioni di CO2 rispetto al 2019 del 6% nel 2023, del 20% nel 2030, del 45% nel 2035 e del 100% nel 2050.

    CO2 -45% entro il 2030

    Il tribunale dell’Aia invece ha condannato la Shell a tagliare la CO2 del 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019. La società ha dichiarato di aver raggiunto il picco di emissioni nel 2018. Dunque il nuovo termine sarebbe teoricamente un vantaggio, ma la corte ha anticipato il limite fissato per il 2035 di cinque anni.

    Shell

    Ci sono altri elementi degni di nota. Il primo è che Shell è ritenuta responsabile delle proprie emissioni, ma anche di quelle dei suoi fornitori e dei suoi clienti. Il secondo è che le emissioni rappresentano una sorta di crimine generazionale perché minacciano il diritto alla vita e al rispetto della vita privata e famigliare.

    La portata della sentenza

    A questi ultimi due aspetti fanno riferimento l’articolo 2 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Dunque il tribunale stabilisce una correlazione diretta tra inquinamento, emissioni e i diritti umani fondamentali. Ne consegue che la tutela di questi aspetti non è accessoria per le imprese.

    Shell

    Si tratta dunque di una sentenza storica e che potrebbe avere una portata enorme. Fa riferimento infatti ad una fonte di diritto sovrannazionale. Di contro, non si basa su alcuna legge esistente olandese, ma riguarda una multinazionale che opera in ogni angolo del mondo e nel 2020 ha fatturato oltre 180 miliardi di dollari.

    Limiti di ambito e di azione

    La sentenza è immediatamente esecutiva, ma non stabilisce alcune pena né gli strumenti per ridurre la CO2. Se la Shell decidesse di continuare la propria politica di riduzione delle emissioni che cosa accadrebbe? Dunque è lecito chiedersi quale sia la sua reale efficacia e in quale ambito territoriale si eserciti.

    Shell

    Le società non hanno alcun obbligo formale di riduzione della CO2 e gli obiettivi in merito rispondono a criteri economici, di immagine e di bilancio che influenzano direttamente il patrimonio attraverso le quotazioni azionarie. Dunque, si può obbligare una singola azienda a ridurre la propria CO2?

    Per gli ambientalisti è una svolta

    Le associazioni ambientaliste salutano la sentenza come una svolta epocale. La Shell con una nota risponde che sta investendo miliardi di dollari nella transizione ecologica, fa una lista di tutte le proprie attività e ribadisce che i propri obiettivi sono quelli dell’intera società: l’azzeramento della CO2 entro il 2050.

    Shell

    La Shell afferma che lavorerà per rispettare la sentenza ma, allo stesso, tempo farà appello. Sarà interessante vedere quali argomenti saranno messi in campo, non solo giuridicamente, ma anche per fronteggiare l’opinione pubblica, tutelando i propri diritti, ma senza danneggiare la propria immagine.

    Un nuovo precedente per altri paesi

    Occorrerà vedere se tale sentenza costituirà un precedente giurisprudenziale in altri paesi. Nel mondo sono in corso molti procedimenti simili, uno di questi riguarda la Total accusata dall’associazione Notre Affaire à Tous di non decarbonizzare abbastanza rapidamente mancando di responsabilità sociale ed ambientale.

    Shell

    La sentenza inoltre pone altri tre punti. La condotta ambientale di un’azienda può essere messa sotto accusa? A quale livello legislativo e amministrativo spetta la gestione della salute pubblica? Un tribunale locale può imporre obblighi più stringenti di quelli decisi a livelli nazionali e transnazionali?

    I livelli di competenza

    Tale principio riguarda, ad esempio, i divieti del traffico. I Comuni, per evitare il superamento dei limiti di legge sul particolato presente nell’aria, bloccano veicoli omologati secondo normative nazionali ed europee. E a volte questi blocchi hanno riguardato veicoli nuovi, appena usciti dal concessionario.

    Shell

    Da tempo è stato sollecitato un quadro legislativo organico, per stabilire competenze e prerogative dei vari livelli amministrativi una volta per tutte. L’ambiente e la salute hanno bisogno di regole certe che disciplinino l’attività di imprese e cittadini affinché il futuro sostenibile sia costruito organicamente.

    Gestire il cambiamento

    La sentenza ripropone anche il confronto tra legge, realtà in cambiamento, progresso tecnico e attività d’impresa. Le leggi possono modificare e orientare le tecnologie e il modello di business delle imprese fino a comprometterne l’esistenza? I cittadini sono pronti a sacrificare i livelli occupazionali per la salute?

    Shell

    Domande che fanno parte del nostro tempo ed esigono risposte complesse. L’esperienza tuttavia dimostra che un equilibrio tra rispetto dei diritti, interesse economico, salute, ambiente e bisogni elementari delle persone è possibile. E che abbattere le emissioni di anidride carbonica è nell’interesse di tutti.

    La velocità della transizione

    Di sicuro è già in atto nell’economia una dinamica per la quale la tutela dell’ambiente è diventata un investimento conveniente. Le società dell’energia stanno già cavalcando la transizione tanto che la Shell possiede NewMotion una delle più grandi reti di ricarica (oltre 200mila punti) per auto elettriche e crede nell’idrogeno.

    Leggi il progetto di Toyota sull’Idrogeno a Los Angeles e il ruolo di Shell

    Shell

    Si tratta di fenomeni semplicemente impensabili fino a qualche anno fa. La sentenza dell’Aia sembra riconoscere che tutto questo avviene, ma troppo lentamente arrivando a giudicare anche le politiche aziendali messe in atto. Sarà dunque interessante vedere anche come si evolverà il dialogo tra le istituzioni e le imprese proprio su questo punto.

    Shell
  • Volvo e il comune di Göteborg insieme per la città a impatto zero

    Volvo e il comune di Göteborg collaborano per fare della municipalità svedese – dove la Volvo è nata ed ha sede – una città neutrale dal punto di vista climatico entro il 2030.

    La Volvo sta collaborando in particolare con la città svedese per la creazione di nuove zone urbane da rendere delle vere e proprie aree sperimentali per le nuove tecnologie finalizzate alla sostenibilità.

    Green city zone

    L’iniziativa, denominata Göteborg Green City Zone, mira a realizzare all’interno della grande città portuale un’area completamente priva di emissioni.

    Volvo Göteborg

    La Green City Zone sarà dotata di diverse modalità di trasporto a impatto climatico zero e di un’infrastruttura di connessione molto avanzata.

    Utilizzando un’area della città reale come banco di prova, la Volvo potrà accelerare lo sviluppo di tecnologie e servizi nei campi dell’elettrificazione, della mobilità condivisa, della guida autonoma, della connettività e della sicurezza.

    L’iniziativa Green City Zone prenderà il via nella primavera 2021 e si intensificherà gradualmente in futuro.

    Robotaxi Volvo

    Nell’ambito del progetto rientra il programma di Volvo di inserire all’interno della zona di test dei robotaxi gestiti dal provider di mobilità M, di cui la Volvo è proprietaria al 100%.

    Per saperne di più sui robotaxi clicca qui e leggi l’articolo con VIDEO Robotaxi, il vero business dell’auto a guida autonoma.

    “Di fatto abbiamo avviato un progetto che intende limitare il numero di auto circolanti in città e che è pienamente in linea con gli obiettivi perseguiti dalla Volvo”

    Ha dichiarato Håkan Samuelsson, CEO di Volvo Cars.

    Håkan Samuelsson

    Che ha aggiunto: “Ciò è confermato dal nostro investimento nel servizio di mobilità condivisa M, azienda che ha sviluppato una piattaforma A.I. proprietaria per migliorare l’efficienza e l’utilizzo dei trasporti. Vogliamo partecipare attivamente alla creazione delle città del futuro e far sì che rimangano luoghi vivibili. Questa iniziativa ci offre l’opportunità di farlo e, al contempo, di assumerci questa responsabilità nella nostra città natale”.

    Tecnologie sperimentali

    Tra le tecnologie sperimentali vi sono soluzioni e servizi di geo-abilitazione (che garantiscono che le auto circolanti nell’area sperimentale operino in modalità solo elettrica e rimangano entro i limiti di velocità), nonché infrastrutture di traffico che possono connettersi ai dispositivi di sicurezza attiva delle automobili e consentire la condivisione delle informazioni tra gli utenti della strada.

    Altri esempi di potenziali nuove soluzioni sono rappresentati dagli hub di mobilità completamente elettrica, vale a dire una rete di ricarica completa e facile da usare per le auto elettriche e dai taxi con guida autonoma.

    Per conoscere lo stato dell’arte nel mondo clicca qui e leggi l’articolo Waymo avvia il primo robotaxi veramente senza conducente a bordo.

    L’azienda di mobilità Volvo M

    Nel corso del 2020, grazie alla sua tecnologia di I.A. proprietaria, l’azienda di mobilità della Volvo denominata M ha dimostrato di poter ridurre la congestione stradale e le emissioni in atmosfera a Göteborg.

    In città oggi, in base alle elaborazione dei dati di utilizzo, la Volvo afferma che un veicolo di M sostituisca ben otto auto private.

    Neutralità climatica Volvo

    Allineandosi all’obiettivo del comune di Göteborg, Volvo Cars sta riducendo gradualmente e in modo costante la sua impronta di carbonio, puntando a raggiungere la neutralità climatica entro il 2040.

    Volvo XC 40 ricarica

    Per realizzare questo obiettivo, la Casa automobilistica ha fissato una serie di traguardi da raggiungere entro il 2025.

    Alcuni esempi includono la riduzione del 40% dell’impronta di CO2 per auto, vendite globali costituite per il 50% da auto completamente elettriche e per la restante parte da vetture ibride e una riduzione del 25% delle emissioni di carbonio generate dalle attività operative complessive della Casa, incluse la produzione e la logistica.

    Clicca qui e leggi l’articolo Volvo sarà carbon neutralità nel 2040 ma chi farà questi conti?

  • Superbonus auto, ecco il criterio per incentivi e premio di vetustà

    Il superbonus auto ancora non lo nomina nessuno.

    Le strategie per la ripartenza economica nel post-Coronavirus sono partite dalla casa, con il superbonus del 110 % per le ristrutturazioni mirate alla maggiore compatibilità ambientale e al risparmio energetico.

    Per il rilancio, però, serve una politica industriale coraggiosa, innovativa e urgente.

    Non ci sono posizioni da mantenere, ci sono piuttosto campioni da spodestare per poterne prendere il posto in un mondo che andrà ancora più velocemente di prima e in Europa non aspetterà certo gli ultimi per tendere loro la mano.

    Aggressività fiscale

    Ben venga un’aggressività fiscale nei confronti di tutti quelli che ci portano via aziende e attività commerciali.

    Iniziando ovviamente da Olanda e Lussemburgo, parenti serpenti che fanno i benpensanti a parole in Europa ma non trovano nulla di sbagliato nel mangiare coi nostri soldi, il nostro lavoro e la nostra creatività.

    Aggressività industriale

    Ma non basta. Serve anche un’aggressività industriale che preservi e rilanci l’industria meccanica di eccellenza, settore nel quale nel mondo siamo i più grandi concorrenti dei tedeschi.

    Dire industria oggi significa incrociare la manifattura con la digitalizzazione e le telecomunicazioni. Questo è sotto gli occhi di tutti, non esiste meccanismo moderno che non abbia un sistema di controllo e non vada predisposto per un collegamento remoto.

    superbonus auto robot

    L’auto è strategica

    Il prodotto principe di questa rivoluzione destinata a far incrociare nelle nostre vite fonti energetiche rinnovabili, elementi robotici e una costante e crescente connettività è l’automobile.

    Chi perde di vista l’auto, scambiandola per un prodotto del passato, si taglia fuori dal futuro.

    Come ho avuto modo di scrivere:

    l’auto non va combattuta, va evoluta.

    Dalla sua evoluzione può nascere quasi tutto ciò che serve per il mondo del futuro.

    Superbonus auto

    L’Italia deve avere un mercato dell’auto in salute, basato in maniera rapidamente crescente su modelli ad emissioni sempre più basse nel tempo. Con un occhio di riguardo per la crescita della quota delle zero emissioni.

    Non basta certamente la sola conferma degli incentivi precedenti, seppur con un maggiore finanziamento, stabilita nel Decreto rilancio.

    Clicca qui e leggi Superbonus per il rilancio economico, dopo la casa tocca all’auto.

    Emissioni di CO2

    Serve un superbonus auto di più anni e su più gradini che renda appetibile l’acquisto di una nuova auto già nel 2020 con emissioni inferiori ai 95 g/km di CO2.

    Tra il 2021 e il 2025 si dovrà scendere ancora per accompagnare il mercato all’obiettivo di arrivare al 2025 agli 80 g/km già fissati a livello europeo.

    superbonus auto

    Elettrificazione e combustibili alternativi

    Le tecnologie elettrificate e le alimentazioni alternative, capaci di emettere ancora meno CO2, ma anche meno sostanze inquinanti nocive in ambito urbano (CO, PM e NOx) – oltre ad abbassare i livelli di consumo e quindi di emissioni di CO2 – vanno differenziate ulteriormente, con diversi livelli di attenzione relativi a:

    • ibrido leggero (piccolo motore elettrico, senza spostamento da fermo in zero emissioni);
    • alimentazione a metano (che può diventare biometano);
    • alimentazione Gpl (con sempre minore contenuto di prodotti di raffinazione petrolifera);
    • ibrido pieno (motore elettrico di potenza paragonabile a quella del motore a combustione interna, con spostamento da fermo in zero emissioni e frequente funzionamento ZEV specialmente in città);
    • ibrido con la spina (come l’ibrido pieno ma con batterie ricaricabili dall’esterno e decine di chilometri di marcia continuativa in ZEV);
    • elettrico puro (soltanto ZEV a batterie o idrogeno).

    Premio di vetustà

    Il premio di vetustà riconosce un valore economico ad ogni anno di età dell’auto permutata o rottamata.

    Si tratta di una misura semplice, che può eliminare dalla circolazione dei veri e propri mostri ambientali che costituiscono anche un pericolo evidente sulla strada se si guarda alle statistiche sull’incidentalità e la sicurezza.

  • Servizi ecosistemici e scelta europea di neutralità climatica al 2050

    di Fausto Manes – Professore Ordinario di Biologia ambientale della Sapienza Università di Roma

    Il concetto di servizi ecosistemici ci permette di realizzare le azioni necessarie nel nostro tempo.

    Nella società di oggi è indispensabile diffondere la cultura sullo sviluppo sostenibile e responsabile come dichiarato nei 17 obiettivi (SDGs) dell’Agenda ONU 2030 e dalla Strategia UE per la biodiversità al 2020, ponendo fine alla perdita di biodiversità, preservando e valorizzando gli ecosistemi e i relativi beni e servizi da questi forniti per la salute e il benessere dell’Uomo.

    Nuovi posti di lavoro

    Inoltre, uno sviluppo orientato alla sostenibilità può offrire nuove e concrete opportunità di lavoro, attraverso l’innovazione dei processi e dei prodotti e la creazione di nuove competenze per dare impulso ad un’economia circolare. 

    Fausto Manes servizi ecosistemici
    Il prof. Fausto Manes con un gruppo di studenti

    Questa nuova prospettiva vede l’ambiente e le sue risorse come un importante settore di sviluppo economico connesso ai temi della crescita culturale della Società, della riqualificazione del territorio, della qualità della vita e delle nuove condizioni socio-economiche che caratterizzano la transizione post-industriale.

    Globalizzazione e società dell’informazione

    Questa transizione è stata profondamente segnata dalla globalizzazione e dal sorgere della società dell’informazione, potenziata dal nuovo sistema digitale dei flussi di comunicazione. Inoltre, l’avanzamento delle conoscenze della biologia ha determinato notevoli ricadute nel settore agro-alimentare e in quello dei beni culturali e paesaggistici, legati ad un uso più ampio delle risorse e ad una necessità di gestire un immenso Capitale Naturale, patrimonio di biodiversità costruitosi nel corso dell’evoluzione.

    Nel 2014, l’economista dell’ambiente Robert Costanza ha stimato in circa 125 trilioni di dollari/anno il valore del Capitale Naturale globale e dei Servizi Ecosistemici, pari a più del doppio del PIL globale del pianeta.

    Ruolo dei Servizi Ecosistemici

    In tale contesto un ruolo fondamentale è svolto dai Servizi Ecosistemici (di Approvvigionamento, di Regolazione e Culturali), che costituiscono il contributo relativo al benessere umano del Capitale Naturale, termine, questo, mutuato dal settore economico che indica gli stock di risorse naturali (piante, animali, aria, acqua, suolo, minerali, ecc.) generate dai flussi di materia-energia negli ecosistemi.

    Servizi ecosistemici

    Emerge chiaramente che le ricerche sui Servizi Ecosistemici richiedono analisi condotte mediante un approccio sperimentale di tipo interdisciplinare.

    Inoltre, la nozione di Servizi Ecosistemici può essere funzionale per far comprendere meglio le complesse relazioni tra persone e natura. 

    Il crescente rischio ambientale richiede soluzioni sostenibili per la gestione degli ecosistemi naturali, degli agroecosistemi e degli ecosistemi urbani. Questi ultimi costituiscono la tipologia di insediamento che più caratterizza il presente periodo storico e si inquadrano come centri nevralgici di attività umane e di alterazione degli equilibri ambientali.

    Il sistema socio-ecologico

    Alla luce di quanto premesso, per migliorare o mantenere lo stato di benessere dell’Uomo è necessario integrare i sistemi economici e i sistemi ecologici nel “sistema socio-ecologico”, con l’obiettivo di conseguire un reale sviluppo di tipo sostenibile e responsabile.

    Servizi ecosistemici ed ecosistema urbano

    Tra le sfide che ci attendono, ad esempio, nei prossimi mesi saranno critiche le decisioni assunte dai differenti Paesi sul controllo dei gas serra che hanno recentemente superato il record di emissione.

    Occorre sottolineare che, in base agli accordi di Parigi (COP 21), i Governi hanno stabilito di aggiornare i loro piani sul clima entro il 2020.

    Le emissioni continuano ad aumentare

    Nonostante tali accordi, il recente Report UNEP sul Gap di Emissioni conclude che è necessario tagliare le emissioni globali del 7,6% l’anno nei prossimi 10 anni, per raggiungere l’obiettivo di Parigi (mantenere il riscaldamento entro 1,5 °C).

    Nel Report si denuncia inoltre che nell’ultimo decennio, le emissioni globali stanno continuando ad aumentare ad un tasso di 1,5% l’anno. I Paesi devono agire immediatamente e potenziare il loro impegno climatico di oltre cinque volte per rimanere entro 1.5 °C, accordi purtroppo non raggiunti con la recente COP 25 tenutasi a Madrid.

    I tagli richiesti sono ambiziosi, ma ancora possibili, nel contesto della visione strategica europea al 2050 per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra.

    L’uomo dipende dagli ecosistemi

    In sintesi, il concetto di Servizi Ecosistemici risulta importante per la conservazione della biodiversità, la gestione delle risorse naturali e le scelte di politica ambientale.

    Ecosistema marino biodiversità

    Evidenzia in modo chiaro la dipendenza dell’Uomo dagli ecosistemi e collega in maniera esplicita la scienza con la società.

    Il concetto di Servizio Ecosistemico non esclude necessariamente la considerazione di valori diversi da quelli economici, in quanto non comprende l’intera gamma di valori quali ad esempio quelli etici con cui le persone si relazionano con la natura.

    Ciò che chiaramente non è valutabile con i Servizi Ecosistemici sono i valori intrinseci della natura, indipendenti da qualsiasi benessere e interesse umano.

    Clicca qui e leggi l’articolo con VIDEO-SFIDA Emissioni e cambiamenti climatici, l’incredibile bugia.

    Clicca qui per conoscere le attività del professor Fausto Manes e del Laboratorio di Ecologia funzionale e servizi ecosistemici del Dipartimento di Biologia ambientale alla Sapienza di Roma.

  • Volkswagen e Toyota, è corsa all’energia rinnovabile

    I due più grandi costruttori del mondo di automobili scelgono le fonti rinnovabili di energia per raggiungere l’obiettivo delle zero emissioni.

    L’annuncio della Toyota

    La Toyota ha annunciato che in Europa le sue attività sono alimentate al 100% di energia rinnovabile sin dall’inizio del 2019.

    Il traguardo è stato comunicato in occasione di “Kenshiki” ed è stato raggiunto con un anno di anticipo rispetto al previsto per tutte le attività.

    Sede Toyota Europe
    La sede della Toyota in Europa

    Tra queste ci sono 9 stabilimenti produttivi, 29 distributori nazionali, 4 filiali dirette, il centro di ricerca e sviluppo e 21 centri logistici che hanno una domanda totale di energia pari a 500 GWh annui.

    Clicca qui e leggi Toyota in Europa da un anno va ad energia rinnovabile.

    L’obiettivo della Volkswagen

    La Volkswagen sta facendo progressi verso l’obiettivo di una produzione a zero emissioni di CO2 entro il 2050.

    L’Azienda si è ora posta nuovi ambiziosi traguardi per il 2020, al fine di aumentare la percentuale di energia prodotta all’esterno da fonti rinnovabili utilizzata dai suoi impianti.

    L’impianto della Volkswagen a Emden.

    Molto chiara la dichiarazione di Andreas Tostmann, Membro del Consiglio di Amministrazione della marca Volkswagen per la Produzione e la Logistica.

    Quest’anno, vogliamo aumentare in modo significativo, dal 70 al 90%, la quantità di energia verde acquistata dai nostri impianti.

    La fabbrica nella sede di Wolfsburg dice addio al carbone

    Nello storico sito industriale di Wolfsburg le maestose ciminiere degli impianti energetici a carbone sono parte del paesaggio.

    Le ho viste più volte e mi auguro che rimangano lì, tanto è preziosa la loro immagine dal punto di vista della storia dell’energia e dello sviluppo industriale.

    Le ciminiere dell’impianto di Wolfsburg

    Adesso, però, la Volkswagen sta compiendo un passo epocale, convertendo le sue centrali elettriche di Wolfsburg dal carbone al gas.

    Entro il 2022 saranno attivate le nuove centrali termoelettriche a ciclo combinato e cogenerativo (CCGT) ad alta efficienza.

    Secondo i dati divulgati, le emissioni di CO2 derivanti dalla cogenerazione di elettricità e calore diminuiranno del 60%, valore equivalente a circa 1,5 milioni di tonnellate all’anno pari secondo i calcoli della Volkswagen alle emissioni di circa 870.000 auto.

    La transizione energetica della Volkswagen a Wolfsburg

    Nel progetto dell’impianto di cogenerazione è previsto che le storiche e imponenti ciminiere resistano e, anzi, arrivino proprio nel loro mezzo due nuovi camini alti 64 metri.

    Entro il 2020 il 90% dell’elettricità acquistata sarà da fonti rinnovabili

    La Volkswagen dichiara che la fornitura esterna di energia elettrica nei 16 stabilimenti della marca in tutto il mondo (Cina esclusa) proviene oggi al 70% da fonti rinnovabili.

    L’Azienda ha ora deciso di aumentare questa percentuale al 90% entro quest’anno.

    Inoltre, la Volkswagen sta sistematicamente convertendo al gas i suoi impianti interni di produzione di energia. A Wolfsburg, per esempioCon queste centrali elettriche, la Volkswagen offre un contributo a lungo termine alla stabilità della rete nazionale e del sistema elettrico in Germania.

  • Addio auto piccole in nome di sicurezza ed emissioni. Così anche la Panda è in via di estinzione

    Piccolo è bello, anche perché costa, consuma ed inquina poco. Ma questa equazione, semplice da comprendere anche per il cliente (e le sue tasche), è destinata a scomparire. Molti costruttori infatti si preparano a lasciare il cosiddetto segmento A, quello della Fiat Panda, ovvero del modello più venduto in Italia anche nel 2019.

    Fiat Centoventi Concept

    Il costo di sicurezza ed emissioni

    I costi crescenti per l’adeguamento alle normative sulla sicurezza e sulle emissioni stanno comprimendo i profitti a livelli inaccettabili. E i saluti sono già partiti. La Smart ha deciso di essere non solo elettrica, ma di trasferirsi di fatto in Cina ed è tutto da vedere il destino della Renault Twingo. La Smart Forfour e la francese infatti condividono pianale e stabilimento (Novo Mesto, in Slovenia) dunque Renault si ritrova a produrre la Twingo da sola. Potrebbe chiedere aiuto a Nissan che si è già liberata da tempo della Pixo. Ford ha già interrotto la vendita della Ka+ e la sostituta non sembra sia oggetto di discussione con il nuovo alleato Volkswagen.

    Renault Twingo

    Per l’auto si comincerà dalla B

    A Wolfsburg pensano anzi di lasciare in listino solo le versioni elettriche delle varie up!, Seat Mii e Skoda Citigo. PSA ha già provveduto a cedere alla Toyota lo stabilimento in Repubblica Ceca di Kolin dove vengono prodotte le Citroën C1 e la Peugeot 108 insieme alla Aygo. Vero è che il gruppo francese ha acquisito Opel dal 2017 ed è prossima la fusione con FCA, ma entrambe queste mosse non sembrano poter salvare i modelli di questa fascia. E dire che per tutti i marchi coinvolti ce ne sarebbero almeno 5 da poter fare su una stessa piattaforma.

    PSA ha acquisito Opel dal 2017 ed è prossima la fusione con FCA, ma entrambe queste mosse non sembrano poter salvare i modelli di questa fascia. E dire che per tutti i marchi coinvolti ce ne sarebbero almeno 5 da poter fare su una stessa piattaforma

    L’equazione è ormai impossibile

    Opel si è già liberata di Agila, Karl e Adam e l’attuale ceo di FCA, Mike Manley, ha dichiarato testualmente: «Nel prossimo futuro ci vedrete spostarci verso un segmento a volumi e margini più elevati, e questo implicherà l’abbandono delle minicar». Questo vorrebbe dire: addio a Panda, Lancia Ypsilon e anche 500. Il destino della seconda è segnato da quello del glorioso marchio di Chivasso, ma quello delle altre due è davvero cruciale. Probabilmente non si tratta di addio totale, ma di ripensamento profondo.

    Volkswagen e-up!

    La Centoventi non è una piccola

    Al Salone di Ginevra la Fiat ha presentato la Centoventi, che appariva come l’anticipazione modello che Fiat produce dal 1980, ma anche in quell’occasione Manley precisò: «La centoventi è un’auto di segmento B». La 500 elettrica, che debutterà il 4 luglio, è una sicurezza e avrà una piattaforma dedicata. Niente si sa invece della 500 con motori convenzionali. Non c’è dunque spazio neppure per un’auto dal posizionamento quasi premium. Del resto, una premium come la Mini è un business che BMW deve rivedere completamente, alla luce non solo della struttura dei costi, ma anche della Brexit.

    Toyota Aygo

    Gli ultimi guerrieri hanno gli occhi a mandorla

    Le uniche che sembrano voler rimanere all’interno del segmento A vengono dall’Oriente e sono il gruppo Hyundai, Suzuki e Toyota. La prima ha appena presentato la nuova i10, la Suzuki ha la Celerio e la Ignis mentre la terza prepara per il 2021 una Aygo completamente nuova. Una cosa però è sicura: non parliamo più di un’auto lunga 3 metri e mezzo o anche meno, ma di circa 20 cm in più, come del resto misurano anche la i10 e la Ignis. Se si pensa che la prima Volkswagen Golf del 1974 era lunga proprio 3,7 metri, la prima Fiat Uno del 1982 misurava 3,64 metri e la prima Panda 3,38 metri, ci si accorge dell’escalation delle dimensioni nel tempo.

    Per un’auto di segmento A non parliamo più di 3 metri e mezzo, ma di 20 cm in più. Se si pensa che la prima Volkswagen Golf del 1974 era lunga proprio 3,7 metri, la prima Fiat Uno del 1982 misurava 3,64 metri e la prima Panda 3,38 metri, ci si accorge dell’escalation delle dimensioni nel tempo

    Una sofferenza che parte da lontano

    Che la situazione per le piccole si fosse fatta pesante, non è una questione nuova. La Ford per la sua Ka di seconda generazione sfruttava pianale, motori e stabilimenti Fiat. La Volkswagen e la Toyota erano entrati in questo segmento con piani industriali che prevedevano 3 modelli ciascuno, non per caso. La prima a sentire puzza di bruciato era stata la Daihatsu, marchio ultraspecializzato in auto di piccole dimensioni. Nel primo decennio del secolo aveva dichiarato piani di crescita importanti per l’Europa e stava persino studiando un diesel bicilindrico 2 tempi. All’inizio del 2011 invece arrivò l’annuncio che avrebbe lasciato il mercato europeo entro la fine del 2013.

    Ford Ka+

    Il paradosso dimensioni-emissioni

    Le piccole spariranno perché non è possibile mettere in vendita auto che costino 10mila euro che abbiano emissioni inferiori ai 95 g/km di CO2 e abbiano i contenuti di sicurezza necessari per tutte le auto. Oltre ad acciai più tenaci e costosi, ci vogliono più dispositivi che aumentano costi e peso influenzando negativamente i consumi e le emissioni. Per questa fascia di auto siamo già al limite, se non oltre. La Panda con i motori a benzina non va al di sotto di 106 g/km e questo vorrebbe dire per FCA vendere un’auto già a bassa redditività con una multa da pagare all’Unione Europea. L’arrivo dei motori Firefly 3 cilindri con sistema microibrido rimanda solo il problema.

    Fiat 500 gamma

    Una questione sociale e industriale

    La questione è seria soprattutto per l’Italia, dal punto di vista sia dei clienti sia industriale. Su 8,2 milioni di auto immatricolate in Europa nei prime 6 mesi, 600mila sono di segmento A e di queste 180mila in Italia, ovvero un quinto. La metà di quest’ultime sono Panda e 500. Nell’intero 2019 le auto di segmento A immatricolate sono state 325mila, il 17% dell’intero mercato, l’8% in più dello scorso anno. La Panda ha collezionato 138mila targhe ed è prodotta in Italia. Che ne sarà di lei e degli stabilimenti che la producono? Probabilmente diventerà un’auto di segmento B e sfrutterà il pianale CMP di PSA, ma sarà lunga 4 metri. E non sarà più una Panda. Sarà invece una nuova Punto o un modello parallelo.

    La Panda ha collezionato 138mila targhe ed è prodotta in Italia. Che ne sarà di lei e degli stabilimenti che la producono? Probabilmente diventerà un’auto di segmento B e sfrutterà il pianale CMP di PSA, ma sarà lunga 4 metri. E non sarà più una Panda

    Più costose da comprare, più centimetri da parcheggiare

    Per la 500 la trasformazione è più facile perché esiste già una gamma di veicoli con questo nome. La 500X si fa a Melfi, la 500L a Kragujevac, in Serbia, un’ora mezza di macchina verso Sud da Belgrado. Resta da vedere se i vertici del maxigruppo FCA vorranno mantenere una 500 con il tubo di scarico o riterranno sufficiente la 500e dando ad essa un valore altrettanto simbolico: essere la prima elettrica di Fiat, un nuovo inizio verso una nuova storia e una nuova mobilità a emissioni ridotte, ma con costi e dimensioni sicuramente maggiori. Vuol dire città più piene e tasche più vuote, una mobilità più pulita, ma più difficile.

    Carlos Tavares & Mike Manley

  • La politica degli Happy few

    Di Mario Cianflone – Giornalista del Sole 24 ore

    Onestà intellettuale e senso di responsabilità. Sono questi i due concetti base sui quali vorremmo fossero basate le politiche su automotive, mobilità ed emissioni non solo nel 2020 ma nel prossimo decennio.

    Lucio Battisti in “Una Giornata Uggiosa” desidera incontrare:

    Gente giusta che rifiuti di esser preda di facili entusiasmi e ideologie alla moda.

    E in effetti in queste giornate di veri temporali sull’auto e sulla mobilità privata servono davvero persone giuste che non perseguano fini politici e ideologie “cool” che riformulano in chiave digitale i disastrosi concetti degli stati etici totalitari.

    Il Ruggito di Mario Cianflone Sole 24 Ore

    Diritto alla mobilità

    La mobilità privata è un diritto assodato non è più sostenibile che auto e moto vengano prese come capro espiatorio per risolvere l’emergenza climatica. Ed è bene ricordare che  le criticità relative al riscaldamento globale sono causate solo in modesta parte dalla CO2 emessa dagli autoveicoli.

    Ma l’automobile, si sa, è facile da colpire anche da parte di quegli amministratori locali di grandi città che non si preoccupano realmente dell’ambiente ma perseguono fini diversi.

    La politica degli Happy few

    Disegnano e progettano metropoli elettrociclabili per happy few che abitano in palazzi-giardino.

    Ed ecco che nel calderone anti-auto ci mettono di tutto, dalle polveri sottili agli NOx. E in questo modo giustificano ciclabili larghe come autostrade, arbitrari restringimenti di carreggiate e marciapiedi, ostacoli su misura per il traffic calming,  posti con scientifico disprezzo delle esigenze dei singoli. E poi le domeniche a piedi educative.

    L’ambientalismo come religione

    Già perché l’ambientalismo di facciata e il gretismo mondiale stanno diventando la nuova religione, densa di dogmi e da abbracciare senza dubbio alcuno. E siccome il sonno della ragione genera mostri è necessario che si prenda coscienza che colpire sempre e solo l’automobile e i mezzi a due ruote privati non fa bene all’ambiente – perché non si agisce sulle reali cause del vero inquinamento – e neppure alla collettività.

    L’elettrificazione forzata e immatura dell’auto indotta da politiche ambientalistiche miopi rischia di trasformarsi in una bomba atomica lanciata su migliaia di posti di lavoro in Europa. Distruggere la competitività delle case automobilistiche europee e abbatterne il valore di mercato si traduce in un potenziamento dell’apparato industriale e tecnologico cinese.

    Il prossimo decennio sarà cruciale anche per questo e qui, per tornare al punto di partenza, occorreranno azioni guidate da competenza, onestà intellettuale e non da preconcetti o da malafede.

  • Nel 2020 la paura per le case auto fa 95

    Per le case automobilistiche la paura fa 95. Nel 2020 infatti entra in vigore la prima fase del regolamento europeo 333 del 2014 che fissa in 95 g/km il limite di emissioni di flotta per i costruttori. Il legislatore deve essersi davvero affezionato a questo numero visto che 95 sono anche gli euro di multa fissati per ciascun g/km di CO2 in eccesso per ciascun veicolo immatricolato.

    CO2

    Il sistema di calcolo

    In realtà, il 2020 è ancora un anno ancora di transizione visto che riguarderà il 95% – ancora lui! – delle auto targate e ci sono alcuni fattori che ammorbidiscono gli spigoli di un limite obiettivamente difficile da raggiungere. Il primo è la ponderazione delle emissioni in base alla massa secondo la formula:

    95 + a x (M-M0)

    dove a è un coefficiente pari a 0,0333, M è la massa in kg del veicolo in sede di omologazione ed M0 o massa di riferimento. Quest’ultima grandezza è pari a 1.379,88 kg, ma sarà adeguata con l’evoluzione tecnologica.

    Crediti e supercrediti per addolcire la pillola

    Il secondo sono i crediti che possono essere ottenuti in due modi: si possono acquistare di fatto da un altro costruttore, come ha fatto FCA con Tesla, oppure implementare pacchetti tecnologici specifici che danno un vantaggio fino a 7 g/km. Il principio è premiare la volontarietà e l’impegno del costruttore nel ridurre effettivamente le emissioni di CO2 dei propri veicoli.

    Tesla Model 3

    Deroghe ed esenzioni previste

    Il terzo sono i supercrediti: nel 2020 ogni auto con emissioni inferiori a 50 g/km permetterà di togliere due auto dal computo finale. Nel 2021 si scenderà a 1,67, di 1,33 nel 2022 e di 1 nel 2023. C’è poi il fattore volumi. Un costruttore che immatricola nell’Unione Europea meno di mille autovetture è esentato, chi ne fa tra mille e 10mila e 300mila possono chiedere un obiettivo di riduzione fisso, chi non supera i 22mila può contrattare i limiti.

    I possibili scenari e le multe

    L’impatto di queste norme è stato già forte, ma potrebbe essere ancora maggiore nel 2020 quando potrebbero partire le prime multe. Gli scenari sono diversi: si va da un monte 14 miliardi ipotizzato di IHS Markit dino a 34 miliardi di euro stimato da Jato. Stime meno mostruose, ma sempre preoccupanti dicono che solo Renault Nissan, Toyota e Volvo dovrebbero essere al sicuro.

    FCA PSA

    Il cosiddetto car pooling

    Lo sostiene una ricerca compiuta da PA Consulting che tiene conto dei piani di lancio delle case e prevede 1,36 miliardi di multa per il gruppo Volkswagen, 950 milioni per FCA e 787 milioni per PSA. Questo però prima che FCA facesse “pooling” con Tesla – si parla di 1,8 miliardi di euro – e che si mettessero le basi per la fusione con PSA.

    I costi finanziari, industriali e sociali

    Chi pagherà tutto questo? Il 75% sarà a carico delle case abbattendosi sui margini a causa di spese dovute a ricerca e sviluppo, adeguamento industriale e politiche commerciali per liberare il sistema da stock e i listini da modelli e versioni ad alto contenuto di CO2. A livello sociale, la disoccupazione creatasi nel settore automobilistico stesso e l’aumento dei prezzi rischiano di diminuire l’accessibilità alla mobilità.

    Folla

    Alla ricerca del danno minore

    Senza contare gli accantonamenti fatti in previsione proprio di multe, da molte ritenute inevitabili. La logica appare dunque quella di trovare l’approccio meno dispendioso e rischioso. Le variabili tuttavia sono molto alte, a cominciare dal sistema di valutazione che non appare granitico. Di sicuro, dal primo gennaio si apre un altro mondo e presto i numeri potranno offrire dati tendenziali su chi pagherà e quanto.

  • Attacco ai Suv, ci risiamo – Il ruggito

    Di Mario Cianflone – Giornalista del Sole 24 ore

    A volte ritornano e ora sta scoppiando una nuova guerra ai Suv.

    Avvisaglie a settembre

    Le avvisaglie del nuovo attacco ai Suv le avevamo già sentite a settembre, nei giorni del salone di Francoforte, con attivisti ambientalisti in piazza. Manifestazioni green che da sempre ricordano quelle pilotate nei lontani anni ’80 da mamma Urss nella Germania Ovest e in mezza Europa contro gli euromissili.

    Cosa sta succedendo?

    Semplice: i movimenti culturali e di opinione aderenti al gretismo mondiale ora strillano contro i Suv accusati di essere brutti, sporchi e cattivi. Un copione gia visto tanti anni fa. Peccato che ora i cosiddetti Suv siano la tipologia di auto più venduta, che pesa sui volumi per circa il 40% delle immatricolazioni i molti paesi.

    Lo studio della IEA

    Nei giorni scorsi numerosi media online riportavamo un “magnifico” studio dell’Agenzia internazionale dell’energia secondo il quale

    l’aumento della domanda di SUV sarebbe stato dal 2010 al 2018 il secondo maggior responsabile dell’incremento delle emissioni globali di CO2.

    I numerosi articoli si guardavano bene dallo spiegare cosa siano i Suv (ed è una categoria molto variegata ed eterogenea). Inoltre si tratta di un’anticipazione di uno studio che sarà pubblicato il 13 novembre.

    Attendiamo i dati ma abbiamo il sospetto che si tratti di una mossa per attaccare l’industria dell’auto con numeri ben confezionati per fare i titoloni contro il cattivo Suv di turno.

    Dopo il Diesel, attacco ai Suv

    Dopo le bordate contro diesel (motore efficiente che ha pagato le colpe dei trucchi di alcuni furbastri) è in arrivo una nuova cannonata.

    E nei friday for future già immaginiamo le proteste contro i Suv indipendentemente dal fatto che siano piccoli, grandi o enormi, ibridi o elettrici.

    Il gretismo mondiale ora ha un nuovo nemico facile da colpire: il Suv che nell’immaginario collettivo è macchina dei cattivi. Ma è solo una scusa per colpire tutta l’industria dell’auto. Appuntamento al 13 novembre