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  • MG4, la Cina è più che vicina ed è pronta ad accelerare forte

    Da 0 a 20mila unità in 3 anni. E raddoppiare l’anno successivo. La Cina dell’automobile non solo è vicina, ma è arrivata e lo dimostra la MG, marchio del gruppo SAIC arrivato in Italia nel 2021 totalizzando poco meno di mille vendite nel 2021, passerà a 7mila nel 2022 e punta all’1,5% del mercato nel 2023, anno del suo centenario. E per il 2024 si raddoppia. Una progressione quasi balistica visto che parliamo di moltiplicazione dei volumi per 7 nel primo anno, per 3 nel secondo e per 2 nel terzo.

    MG
    Elettrificazione a passo di flotta

    Numeri incredibili che hanno anche qualità. Sulle 4.300 unità già circolanti, il 30% è elettrificato e il 25% è andato alle flotte dove la quota dell’elettrificazione è del 42,2%. E si parla principalmente di auto dimostrative e noleggio a breve termine. Dal prossimo anno ci si concentrerà sul noleggio a lungo termine, soprattutto nella fascia dei clienti privati attraverso la rete dei concessionari e MG Rent. L’obiettivo è una quota dell’1%.

    MG
    Esserci quando gli altri non possono

    Da dove vengono questi numeri e queste previsioni? Da due elementi fondamentali. Il primo è la mancanza di prodotto da parte dei concorrenti, su tutti i canali di vendita: dal privato che deve cambiare vettura fino alla società di noleggio che, dopo aver deflottato disperatamente per togliersi di mezzo i costi operativi durante la pandemia, deve fronteggiare la ripresa impetuosa dei flussi turistici.

    MG4
    Il fattore prezzo

    Il secondo è il prezzo. Le auto costano di più per varie ragioni: tasso di elettrificazione, incremento dotazioni di sicurezza obbligatorie, aumento materie prime e componenti legato a carenze e a dinamiche inflattive per finire alla stessa carenza di vetture sul mercato. Nuove o usate che siano. Il risultato è che il cliente è alla ricerca di auto che ci siano, siano consegnate presto e abbiano un prezzo che sia ragionevole.

    MG4
    Farsi trovare pronti

    I costruttori cinesi lo hanno capito e stanno affondando il colpo, ma si sono fatti trovare pronti al momento giusto. Accanto infatti alle motivazioni negative, ve ne sono altre positive. La prima è la maturità tecnologica e industriale, ancora maggiore per l’elettrico. La seconda è uno stile piacevole e infine una gamma di prodotti sempre più ampia che va incontro alle esigenze e ai gusti del cliente europeo.

    MG4
    Alle voci “accessibilità” e “futuro”

    Queste sono le caratteristiche di MG che ha iniziato con due modelli e ora ne ha cinque. Tra questi la nuova MG4, auto elettrica a 5 porte lunga 4,29 metri dallo stile aggressivo, tecnicamente evoluta e infine dotata di un prezzo ragionevole. Il listino parla infatti di 29.900 euro che, tra sconti ed incentivi, può arrivare a 22.900 euro. Insomma, il prezzo che il cliente poteva aspettarsi di spendere per un’auto di pari livello e dimensioni come Volkswagen Golf, Ford Focus o Peugeot 308.

    MG4
    Il messaggio al cliente

    Nel momento in cui anche le auto dotate di motore a combustione interna hanno aumentato il loro prezzo effettivo in modo quasi insopportabile, ne arriva una che ti fa entrare nel mondo dell’elettrico senza obbligarti ad un mutuo. Il messaggio è dunque allettante e positivo. Molti costruttori infatti parlano di elettrico, perché vi hanno investito tanto, vogliono – e debbono venderlo – ma spesso sanno che non si può comprare.

    MG4
    Nata elettrica e con famiglia

    Tecnicamente la MG4 non ha nulla di invidiare alle vetture concorrenti, anzi. È basata infatti su una nuova piattaforma denominata MSP (Modular Scalable Platform) nativa per auto elettriche. La sua flessibilità è dimostrata dal fatto che può ospitare auto con passi da 2.650 a 3.100 mm, diverse tipologie di veicolo, architettura elettrica a 400 e 800 volt, e batterie da 40 a 150 kWh. Quella della MG4 è del tipo “cell-to-pack”, ovvero senza moduli, con celle disposte orizzontalmente e alta solo 110 mm.

    MG4
    Batteria LFP e NMC con V2L

    Due le capacità cui corrispondono chimiche diverse. Quella da 51 kWh è al litio-ferro fosfato (LFP), una composizione che si sta affermando poiché, anche se ha prestazioni inferiori, è più stabile, affidabile e anche meno costosa. La seconda da 64 kWh è invece Nickel Cobalto Manganese (NMC). Entrambe sono composte da 104 celle. La prima si ricarica a 6,6 kW in corrente alternata e 117 kW in continua, la seconda rispettivamente a 11 kW e 135 kW. Il caricatore ha anche la funzione V2L, per alimentare dispositivi esterni o anche caricare un’altra vettura fino a 2,2 kW di potenza.

    MG4
    Due potenze e due batterie

    Alle rispettive batterie si associano due potenze per il motore posteriore: 125 kW per la prima e 150 kW per la seconda. Quattro curiosità. La prima è che è segnalato il regime di massima erogazione dei valori, 6.500 e 7.000 giri/min. La seconda riguarda la coppia massima che è di 250 Nm in entrambi i casi e non è erogata allo spunto, ma da 1.000 a 3.500 giri/min. Le ultime due sono che la versione più potente è però quella che ha tempi di accelerazione superiori e consumi inferiori. La differenza di peso è minima (1.685 kg contro 1.655 kg). Dunque si tratta di tarature dell’elettronica di controllo.

    MG4
    Nulla di meno

    Altri preziosismi tecnici della MG4 sono lo sterzo a doppio pignone e le sospensioni posteriori multi-link. A questo, si aggiunge una lunga lista di dispositivi di assistenza alla guida. Ulteriore prova di una progettazione attenta è l’aerodinamica. Il cx varia da 0,27 a 0,287, in più ci sono prese d’aria che si aprono solo quando servono. La casa afferma che l’efficienza migliora del 30% e influisce sull’autonomia per il 10%.

    MG4
    Da 350 a 450 km di autonomia

    A questo proposito: la versione da 51 kWh dichiara 350 km, quella da 64 kWh arriva a 450 km che diventano 435 km per l’allestimento Luxury che ha anche la pompa di calore. Corrispondono rispettivamente a 17 kWh/100 km, 16 kWh/100 km e 16,6 kWh/100 km. La velocità massima è limitata a 160 km/h. Ultima caratteristica interessante per l’utente riguarda il bagagliaio: si va da 360-363 a 1.165-1.177 litri. Ora non rimane che vedere come va.

    MG4
    Avviamento a freno

    Il nostro contatto con la MG4 è stato fugace, ma significativo. Si apre la portiera e la vettura si avvia automaticamente quando si mette il piede sul pedale del freno, senza dover premere o girare altro. Bisogna solo azionare il selettore rotante sulla plancia su D e partire. La risposta all’acceleratore è estremamente dolce, progressiva e anche l’isolamento acustico dal fondo è molto efficace. Come su altre MG, l’assetto è morbido e questo agevola l’assorbimento delle asperità, inoltre lo sterzo leggero e il diametro di svolta ridotto (10,6 metri) agevolano le manovre.

    MG4
    Assetto per guida agile e facile

    Questo non vuol dire che la MG4 tradisca il suo aspetto affilato con un comportamento mollaccioso. La cinese è anzi molto gradevole da guidare per il suo sterzo preciso che permette di dialogare liberamente con le ruote anteriori senza le interferenze del motore. L’assetto poi è sempre prevedibile rendendo l’auto piacevolmente agile e, se poi si esagera con l’acceleratore, il controllo di trazione interviene con tempismo e misura. Baricentro basso e perfetto bilanciamento delle masse fanno il resto.

    MG4
    Volante a forma di marchio

    Bello il volante la cui corona quasi pantografa l’ottagono del marchio MG e anche apprezzabili lo spazio e la sensazione di qualità. I sedili, hanno una morbidezza superiore a quella delle vetture europee. Gli schermi della strumentazione danno molte informazioni, ma troppo piccole. Sul display centrale si possono selezionare anche 5 modalità di guida (Neve, Eco, Normal, Sport e Personalizzata), e 4 livelli di rigenerazione (bassa, media, forte e adattiva). Sarebbero preferibili due pulsanti.

    MG4
    La guida “software based”

    Sulla MG4 si possono regolare anche il carico dello sterzo (Light, Standard, Sport) e persino la risposta del pedale del freno (Comfort, Normal e Sport). È il bello delle automobile “software based” che trova due scuole di pensiero. La prima accoglie con favore tutte le possibilità offerte dall’elettrificazione della catena cinematica e della parte telaistica. La seconda invece sostiene che la vettura non dovrebbe offrire tutte queste scelte e che la sublimazione di questa nuova idea è fare in modo che faccia tutto da sé comprendendo per il guidatore ciò che è giusto in quel momento.

    MG4
    Suscita naturale curiosità

    Abbiamo guidato l’allestimento Luxury e, alla fine della nostra breve guidata, il display indica che la batteria è ancora al 68% e l’autonomia residua è di 261 km, dunque meno di quanto dichiarato. Il computer di bordo indica invece 15,5 kWh/100 km, meglio dei dati ufficiali. Si spiega con il fatto che il nostro giro è stato uno dei tanti. E non è stato compiuto al risparmio. Questo è un’ulteriore elemento che aumenta la curiosità su quella che la MG4 saprebbe dimostrare in una prova più lunga ed approfondita, magari anche sulle strade di Roma che ha percorso camuffata durante la messa a punto .  

    MG4
    Una rata invitante

    Un’ultima considerazione sul prezzo. L’allestimento Luxury costerebbe 35.990 euro, ma può arrivare a 28.990 euro. La Standard con il finanziamento costa 119 euro per 36 mesi o fino a 30.000 km con un anticipo di 6.280 euro e una rata finale di 15.895 euro. A conti fatti, vuol dire un TAN del 5,97% e un TAEG del 7,55% e che, se si immagina di guidare l’auto per 3 anni e poi restituirla, si spendono 10.564 euro, ovvero 293 euro al mese.

    MG4
    Ricarica domestica fai da te

    Se, la si vuole tenere, alla fine si pagheranno in tutto 26.459 euro. È lecito aspettarsi vantaggi ancora maggiori con gli allestimenti superiori. Per la ricarica pubblica, MG Italia ha un accordo con Enel X e sta lavorando con altri partner, ma per quella a casa ritiene che il cliente voglia fare da sé e non essere invece guidato.

    Il centenario con la Cyberster

    Il futuro? Per MG ci sono due passaggi fondamentali. Il primo nel 2023, con un modello capace di celebrarne il centenario e la sua prima vita da cittadina britannica che sarà una roadster derivata dal concept Cyberster. Il secondo è nel 2024 dove per fare il 3% del mercato ci vorranno nuovi modelli. Saranno fondamentalmente ibridi plug-in ed elettrici.

    Leggi l’articolo su Cyberster il ritorno di MG nel segno dell’elettrico

    Accelerazioni varie

    Ma il più importante sarà quello derivato dal concept Maze. Dalle prime immagini, le dimensioni sono da cittadina e lo stile ricalca quello della MG4 che ha tuttavia ancora altro da dire: avrà infatti versioni con batteria da 77 kWh, a trazione integrale con doppio motore e sportive, in grado di bruciare lo 0-100 km/h in meno di 4 secondi. Sarà davvero questa l’accelerazione della MG nelle vendite? Intano la MG4 ha raccolto consensi anche dalla critica ed è stata compresa nella rosa delle 45 vetture da considerare per il premio “Auto dell’Anno 2023”. Da segnalare che c’è anche la MG5, le auto cinesi in lista sono ben 13 e la MG4 è stata messa sull’immagine di copertina del comunicato ufficiale.

  • Toyota, tavola rotonda con Valore D per celebrare diversità e inclusione

    Tavola rotonda di grande interesse e spessore organizzata Toyota in collaborazione con Valore D, associazione che dal 2009 si impegna per l’equilibrio di genere e per una cultura inclusiva nelle organizzazioni e nel Paese.

    La giornata Toyota Diversity Talks si è svolta nell’auditorium della sede di Toyota Italia ed ha sottolineato in modo efficace l’importanza di promuovere la diversità come sinonimo di unicità.

    Toyota Tavola rotonda Dibìversity

    Valore D, Procter&Gamble, Ministra Bonetti

    Tra gli ospiti della tavola rotonda, Cristiana Scelza, Presidente di Valore D e Paolo Grue, Presidente e Amministratore Delegato di Procter&Gamble Italia, che hanno portato la loro visione di Diversity & Inclusion e di come questa si concretizzi quotidianamente all’interno delle loro aziende.

    Durante la mattinata è inoltre intervenuta la Ministra per le pari opportunità e la famiglia, Elena Bonetti, che ha trattato tematiche quali le linee guida per la parità di genere per la Pubblica Amministrazione, la Certificazione per la parità di genere e il Family Act.

    Elena Bonetti Toyota Tavola rotonda

    Beyond zero, la visione Toyota

    Il motivo dell’incontro e la sua importanza nella strategia della Toyota si ritrova nella visione Beyond Zero.

    Toyota Beyond Zero non riguarda, infatti, soltanto le auto da rendere sempre più compatibili con l’ambiente e la vita umana, ma l’obiettivo di una società inclusiva, nella quale ognuno possa esprimere appieno le proprie potenzialità, al di là di possibili pregiudizi, stereotipi, limitazioni o barriere, fisiche e culturali.

    Toyota Diversity Talks

    Beyond Zero mira ad un vero e proprio modello sociale, che anche nel modello di mobilità ponga l’uomo al centro, con le zero emissioni viste come una tappa necessaria del percorso verso una società migliore, in cui nessuno venga lasciato indietro e ognuno sia libero di muoversi.

    Dichiarazioni dei protagonisti

    Sono davvero grata a Toyota per questa importante occasione di confronto – ha spiegato la ministra Elena Bonetti – oggi è il tempo di una nuova alleanza tra istituzioni e mondo dell’impresa per promuovere le diversità e valorizzare pienamente i talenti femminili.

    Parlare ed affrontare nel concreto i temi di D&I non è solo una questione di giustizia sociale, ma di business. –  ha affermato Cristiana Scelza, Presidente di Valore D – Le aziende che “utilizzano” al meglio le diversità in azienda hanno performance migliori: lo dimostrano anni di studi e ricerche che evidenziano una correlazione stretta tra punteggi alti sul tema dell’inclusione e della diversità e i risultati finanziari dell’azienda.

    Luigi Luca Toyota

    In Toyota da sempre crediamo nell’importanza delle persone, convinti che sia i nostri clienti che i nostri dipendenti rappresentino il capitale più rilevante da tutelare, ha commentato Luigi Luca’, Amministratore Delegato di Toyota Motor Italia – rispettare le diversità, così come garantire pari opportunità e inclusione per tutti, sono valori fondamentali che fanno parte del DNA di Toyota.

  • Corea, viaggio all’interno della potenza elettronica che diventa sempre più elettrica

    Per l’Italia ci sono due Coree e anche per il resto del mondo. La differenza è che noi parliamo di calcio e tutti gli altri invece del 38° parallelo che dal 1953 divide una nazione dopo una guerra fratricida. Quando infatti il 18 giugno 2002 l’Italia fu buttata fuori dai mondiali con un golden gol al 117’, fu troppo facile ricordare quello che era successo il 19 luglio 1966 a Middlesborough.

    Italia Corea
    Dalla nostra Corea a Squid Game

    Era la conferma che “la nostra Corea”, dopo ben 36 anni, significava ancora una sconfitta inaspettata e cocente, la metafora di una bestia nera che negli anni è diventata una tigre. E qui non parliamo più di calcio, ma di economia e soprattutto di tecnologia e industria. E forse anche di cultura. Mai prima d’ora infatti la Corea del Sud riesce ad esportare personaggi e fenomeni.

    PSY Gangnam Style

    Alzi la mano chi, prima del 2012 e della famosa canzone di PSY sapesse che Gangnam fosse il quartiere più cool di Seoul senza contare motivetti come Baby Shark e, più recentemente, la valanga del cosiddetto K-pop fatta dai BTS e altre boy band costruite a tavolino.

    E che dire del cinema, della fiction e della letteratura, manga compresi? Il caso più eclatante è Squid Game, ma anche di Parasite, prima pellicola nella storia non in lingua inglese ad aver vinto nel 2019 l’Oscar per il miglior film (insieme ad altre tre statuette) dopo la Palma d’Oro di Cannes.

    Squid Game
    Elettronica e intrattenimento di consumo

    Abbiamo scoperto che, oltre a Bong Joon-ho, sotto il 38° parallelo vi sono altri eccellenti registi, ma soprattutto che la Corea del Sud ha per tutti noi qualcosa che ci rappresenta e ci assomiglia. La conseguenza? È sapere che la Corea non è una specie di Giappone – anche se le loro storie recenti si assomigliano – e che non sono solo produttori di smartphone, televisori, lavatrici e automobili.

    Per scoprire meglio che cosa un paese può e vuole dare al mondo è sempre meglio andare a vedere che cosa vuole e può dare a se stesso. Un viaggio a Seoul può essere illuminante. Il grande viale di Gwanghwamun, tra grattacieli, pannelli pubblicitari e centri commerciali, ospita almeno quattro simboli in poche centinaia di metri che chiunque voglia conoscere la Corea deve vedere e conoscere.

    I simboli di Seoul

    Il primo è il Gyeongbokgung Palace il palazzo reale della dinastia Joseon (1392-1897), ora in ristrutturazione. Accanto c’è Samcheong dove ci sono musei, gallerie d’arte e un pezzo di vecchia Corea fatte di case basse dal valore inestimabile.

    Seoul

    In una città dove 60 metri quadri in centro possono costare anche l’equivalente di 3 milioni di euro, piccoli negozi, ristoranti e angoli dove lo sguardo abbraccia la Seoul storica e moderna: una megalopoli da 10 milioni di abitanti che si espande e si spande come un liquido ai piedi di verdi colline.

    Seoul

    Su Gwanghwamun, a pochi centinaia di metri, c’è la statua dorata del re Sejon il Grande. Il piedistallo riporta tutti i caratteri dell’alfabeto Hangul che il sovrano fece introdurre nel 1444.

    Seoul

    Sono 19 consonanti e 21 vocali che vengono usati in blocchi sillabici. Dunque, niente a che vedere con gli ideogrammi cinesi e qualcosa di simile ai katakana e hiragana giapponesi che però si servono sempre degli ideogrammi (kanji).

    Una nazione a testuggine

    Altri 250 metri e c’è la bruna statua dell’ammiraglio Yi Sun-sin che per i coreani è quello che Nelson è per gli inglesi: semplicemente l’Eroe, con la lettera maiuscola. Il 26 ottobre 1597, proprio mentre l’Armada di Filippo II cercava di invadere l’isola britannica, sullo stretto di Myeongnyang Yi Sun-sin riuscì a battere con 13 navi la flotta giapponese grande 10 volte quella coreana.

    Uno dei segreti di quella vittoria è rappresentato proprio alla base della statua ed è il Kobukson o nave testuggine il cui ponte era protetto da un tetto in ferro e lo scafo era in pino e con chiglia ad U. In questo modo, resistevano meglio agli attacchi, erano vincenti nello speronamento e potevano navigare sotto costa in acque più basse dove quelle avversarie invece rischiavano di incagliarsi.

    Il rapporto con il Giappone

    Se qualcuno vuole ravvisare in tutto questo una metafora del rapporto che c’è tra la Corea e il Giappone, nel loro approccio e nella loro cultura, non è distante dalla realtà. Il fattore religioso ha il suo peso. Il 30% dei coreani del sud è cristiano e i battezzati, oltre al loro nome autoctono, hanno anche un nome latino. Le generalizzazioni sono sempre riduttive, ma si può dire che il coreano è più individualista del giapponese. Il primo decide da solo, il secondo sempre insieme al gruppo ed in presenza del gruppo cui appartiene.

    Senza approfondire le differenze culturali con un paese così vicino e – per ovvie ragioni – così tenuto a distanza, basta vedere quanto monumentale sia Gwanghwamun. Fa pensare alle avenida spagnole, alle avenue parigine o anche alle downtown nordamericane. La gestione degli spazi è già cultura.

    Seoul
    Vicino scomodo e chiassoso

    Quanto all’altro scomodo vicino, ovvero la Corea del Nord e il suo dittatore Kim Joung-Un, il paese vive un misto di rimozione ed assuefazione. Avere una potenza atomica ostile che dista a meno di 100 km dalla capitale e che lancia missili per dimostrare di poter colpire quando e come vuole non è una preoccupazione: perché dovrebbe esserlo se Pyongyang queste minacce arrivano da più di mezzo secolo e non si sono mai materializzate?  

    Qualche centinaio di metri e si incrocia Cheonggyecheon, la via che contiene un fiume. Al centro – e sotto – vi scorre infatti lo Jungnangcheon, un affluente dell’Han, il fiume che taglia Seoul e che nel territorio della capitale è attraversato da 27 ponti. Sullo Jungnangcheon avevano costruito una strada e una sopraelevata, ma nel 2005 ne hanno fatto un parco urbano dove il letto artificiale scorre tra grattacieli alternato da piccole cascate e fontane.

    Seoul
    Un’anima elevata al cielo

    Ancora due passi e ci si trova di fronte al municipio. Di fronte una piazza con uno spazio verde a forma ellittica e una grande scritta “I SEOUL U”, un gioco di parole che significa “ti medito” o anche “ti do un’anima” o “ti animo”. L’edificio è un esempio di sedimentazione tra una severa architettura che sembra presa da Berlino Est e, come se volesse inghiottirla, una gigantesca onda in vetro e acciaio che si staglia dietro.

    Il simbolo di Seoul e delle sue ambizioni è però dall’altra parte dell’Han e si chiama Lotte Tower: un grattacielo da 550 metri, altezza che ne fa il sesto al mondo, e 120 piani.

    È costato 2,5 miliardi di dollari e può resistere a terremoti fino al nono grado della scala Richter. Dal 79° all’101° piano un hotel tra i più lussuosi di Seoul, all’85° piano una piscina e in cima un ponte di cristallo da 7 metri da attraversare per i forti di cuore.

    Automobili, che passione

    Seoul ha 22 linee di metropolitana e il biglietto si paga solo in contanti, ma si vede ad occhio nudo che ama le automobili. E neppure di piccola taglia. Suv, ma soprattutto berline, anche di rappresentanza.

    L’automobile è status ed è orgoglio nazionale. I numeri sono da mercato chiuso: su 1,71 milioni di auto vendute nel 2021, 1,44 sono di costruzione domestica ovvero l’84% del totale. Le auto di importazione sono premium e lusso per quasi il 80%.

    Mercedes, BMW, Audi e Volvo coprono da sole il 67% di questo specie di Champions League. Il campionato invece vede solo 4 squadre e Hyundai si prende oltre il 50%, un altro 37% la Kia mentre Renault Samsung ha poco più del 4%, ancora meno SsangYong e GM Korea. Sempre partendo dalle prime impressioni, di elettriche sembrano essercene ben poche, molto meno che da noi, ma i numeri dicono che l’elettrificazione sta accelerando.

    Elettrificazione? Anche idrogeno, con convinzione

    Dal 2020 al 2021 si è passati da 36.300 a 71.700 unità di auto elettriche e solo nella prima metà del 2022 se ne sono aggiunte altre 67mila portando il circolante a circa 300mila su un totale di 25 milioni dove ci sono anche oltre un milione di ibride e quasi 25mila auto ad idrogeno. E anche in questo caso la sensazione è di trovarsi in un posto dove le fuel cell ci sono. Non è invasione, ma auto come la Hyundai Nexo si incontrano dentro e fuori la città.

    Leggi la mia prova della Hyundai Nexo a Milano

    Secondo le statistiche governative, entro il 2022 ci saranno 310 stazioni per l’idrogeno, 100 di queste a 700 bar. L’obiettivo è di arrivare a 450 entro il 2025 e 1.200 entro il 2040. Hyundai prevede di produrre 700.000 stack all’anno nel 2030, dei quali 500mila destinati a veicoli. Potente è anche la spinta che il governo sudcoreano sta dando alle auto elettriche, sia in incentivi all’acquisto sia per la rete di ricarica.

    Leggi l’articolo su Hyundai ci crede, il futuro è a Idrogeno

    La grande accelerazione

    Il piano di incentivi all’acquisto per tutti i veicoli ad emissioni zero è finanziato con l’equivalente di 4 miliardi di dollari fino al 2025 ed è a due fasce: per auto con prezzo fino a 55 milioni di won (39mila euro) il sussidio è di 19 milioni (circa 13.500 euro), per la fascia 55-85 milioni di won (poco meno di 60mila euro) il sussidio è dimezzato. L’obiettivo di questo piano è avere nel 2025 il 20% di auto vendute ad emissioni zero e 3 milioni circolanti.

    Molto interessante è il meccanismo delle quote di auto a basso impatto ambientale introdotta nel 2020. In questa categoria sono comprese anche le ibride e persino le auto a GPL. Sono numerosi i distributori per quest’ultimo tipo di carburante. Ogni costruttore ha l’obbligo di venderne almeno il 15%. Se ne vende di più, può cedere la sua quota eccedente ad un altro costruttore, come dei crediti di imposta o gli ETS (Emission Trading System) per la CO2.

    Spine come nessun altro

    I numeri della rete di ricarica elettrica sono impressionanti: oltre 90mila punti di ricarica a corrente alternata e 15mila ad alta potenza a corrente continua nel 2021. Secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia, in un anno sono cresciute rispettivamente in numero del 50% e del 70% e la Corea del Sud è diventata il paese con la più alta densità di rete di ricarica al mondo con 2,6 veicoli ogni punto di ricarica.

    Per avere un ordine di grandezza, l’Europa è a 15,5 e la Cina a 7,2. Solo Hyundai lo scorso anno ha installato in patria 120 spine da 350 kW e conta di arrivare a 5mila nel 2025. Per il 2022 fondi per i punti a bassa potenza è di 74 miliardi di won (52 milioni di euro) e di 37 miliardi (26 milioni) per quelli ad alta potenza, dunque triplicati rispetto al passato, così come gli incentivi all’acquisto.

    Hyundai e Kia pronte

    Il sistema dunque si è messo in moto. E anche l’industria. Hyundai prevede 17 modelli elettrici, dei quali 6 con il marchio Genesis. Kia ha annunciato 14 modelli entro il 2027 e di raggiungere il 30% di vendite in elettrico. La Corea del Sud ha 50 milioni di abitanti su una superficie di 100.00 kmq (un terzo dell’Italia), ma ha il 5% della capacità produttiva mondiale relativa alle celle per le batterie.

    I tre maggiori produttori sono LG, Samsung e SK Innovation, veri e propri giganti industriali. C’è dunque già un sistema pronto a sostenere – e a sostenersi – attraverso sia il mercato interno, sia la forza commerciale e industriale acquisita su tutti i mercati. Basta dire che in Europa nei primi 8 mesi dell’anno la quota di Hyundai e Kia è passata rispettivamente dal 4% al 4,8% e dal 4% al 5,2%, negli USA dal 5,2% al 5,5% e dal 4,7% al 5%.

    La forza e la flessibilità del sistema

    Quale è la forza di questi due marchi di fronte all’elettrificazione? Tre elementi: una grande esperienza, una clientela già acquisita e soprattutto una varietà che va dal mild-hybrid all’idrogeno e spesso è disponibile anche per uno stesso modello. Dunque piattaforme flessibili accanto ad altre dedicate come la E-GMP che vanta tecnologie avanzate come l’architettura a 800 Volt e l’inverter al carburo di silicio. Ed in arrivo ve n’è un’altra per una piccola elettrica a basso costo.

    Leggi l’articolo sulla piattaforma E-GMP base delle Hyundai e Kia del futuro

    Leggi l’articolo su Hyundai Ioniq 5, l’elettrica nata per diventare una stella

    Leggi larticolo su Kia EV6 che vince il titolo di Auto dell’Anno 2022

  • Marghera, la torre di raffreddamento diventa incubatore di cultura d’impresa

    Marghera è un luogo di grande interesse. È la dimostrazione che esiste molto altro da vedere a Venezia, oltre alla città lagunare.

    Marghera vale la visita, qui si può realmente capire la cultura imprenditoriale italiana dello scorso secolo. La città è stata infatti dal 1904 un vero e proprio “prodotto” da promuovere in giro per il mondo per attrarre investitori in Italia.

    Marghera industria del 900

    Torre di raffreddamento

    C’è in particolare un elemento di urbanistica industriale a Marghera, nato circa un secolo fa mettendo insieme capacità architettoniche, ingegneristiche, matematiche e costruttive.

    Si tratta di quello che oggi è un vero un capolavoro di archeologia industriale. Una torre di raffreddamento in cemento armato alta 54,22 metri a forma di iperboloide.

    Costruita nel 1938, la torre è stata realizzata su progetto franco-olandese di fine Ottocento, recuperato e portato a Marghera dal Sen. Giovanni Agnelli, Presidente della Vetrocooke SPA dal 1924 al 1948.

    Porto Marghera torri di raffreddamento originali

    Si tratta dell’ultima torre di raffreddamento rimasta a Marghera delle 5 che campeggiavano un tempo sull’area industriale, l’unica salvata dalla demolizione.

    Venezia Heritage Tower

    Oggi la torre è il fulcro del progetto Venezia Heritage Tower realizzato avvalendosi di finanziamenti europei per lo sviluppo regionale POR.

    Venezia Heritage Tower è un’iniziativa unica nel panorama italiano ed europeo, nata con l’obiettivo di restituire ad imprese, istituzioni e cittadini un patrimonio culturale di tipo imprenditoriale.

    Venezia Heritage Tower

    La torre di raffreddamento è definita in modo molto efficace come un faro acceso sul cambiamento.

    Incubatore di cultura d’impresa

    La Venezia Heritage Tower è un luogo dove trovano casa molti servizi per la promozione e valorizzazione della cultura di impresa attraverso attrezzature tecnologiche, strumenti innovativi e attrattivi per la fruizione del patrimonio culturale, architettonico, naturale e imprenditoriale del territorio.

    Il visitatore può scegliere diversi percorsi di visita e utilizzare più sensi attraverso i quali fruire dei materiali espositivi. Realtà aumentata, storytelling audio immersivi, virtual reality permettono di valorizzare l’esperienza emozionale.

    Marghera torre di raffreddamento ultimo piano

    La torre di raffreddamento, forte della sua bellezza originale e rafforzata attraverso i contenuti espositivi e le occasioni di confronto e apprendimento, oltre che dal panorama mozzafiato che permette di ammirare, è secondo me un vero e proprio incubatore di cultura imprenditoriale.

    Come esistono gli incubatori d’impresa, noti contenitori virtuali capaci di offrire conoscenze, contatti, opportunità e attrezzature ad aziende nascenti o in corso di sviluppo, così la Venezia Heritage Tower mostra che esiste un ulteriore livello di intervento sul quale si può agire con efficacia per ottenere risultati positivi in termini di impatto socioeconomico e di sostenibilità industriale.

    Sostenibilità

    La sostenibilità dello sviluppo è strettamente legata alle occasioni di conoscenza, dell’innovazione come della storia industriale, che la Venezia Heritage Tower permette di offrire.

    Marghera Interno torre

    L’imprenditorialità italiana traspare in ogni aspetto del progetto Venezia Heritage Tower e in ogni angolo di Porto Marghera.

    Non ci può essere sviluppo sostenibile senza una sana evoluzione dell’imprenditorialità e della cultura d’impresa. Anche la sostenibilità, oggi presente molto più di quanto si immagini nelle aziende del complesso Marghera, trae vantaggio dall’evoluzione e dall’utilizzo di vecchi simboli, come la torre.

    Arte Marghera Torre

    In più c’è l’arte, che come in altre realtà fino a qualche anno fa post-industriali che guardano alla reindustrializzazione possibile in questo decennio, si rivela stimolo e catalizzatore estremamente prezioso.

    Street art Torre Marghera
  • Elezioni politiche, dieci domande a Livio De Santoli, esperto di sostenibilità che ha deciso di candidarsi

    Livio De Santoli si occupa di energia, ambiente e sostenibilità.

    Attualmente è prorettore alla sostenibilità della Sapienza Università di Roma, presidente del Coordinamento FREE (Fonti rinnovabili efficienza energetica), presidente dell’ATI (Associazione termotecnica italiana) e si occupa di molte altre cose.

    La sua candidatura alle prossime elezioni nelle liste del Movimento 5 Stelle mi incuriosisce molto.

    Lo conosco da molto tempo e con dieci domande cerco di capire perchè abbia accettato di scendere in campo e per cosa intenda lavorare in parlamento negli ambiti che per me sono più importanti: sostenibilità, sviluppo sociale, economico e industriale, ambiente, energia, mobilità, ricerca, scuola e università, auto elettrica, idrogeno e nuovi combustibili, politiche per i giovani.

    Livio De Santoli eolico

    Perchè la candidatura

    1 – QUAL È IL MOTIVO CHE TI HA SPINTO A CANDIDARTI?

    La mia candidatura nasce dalla volontà di mettere al sevizio del Paese il bagaglio di esperienze e conoscenze maturate in tanti anni di studi e applicazioni sul tema dell’energia, che più di altri oggi rappresenta sviluppo, crescita e democrazia di una società e che assume un carattere di urgenza anche per il contrasto al cambiamento climatico. Il  programma che presento è fortemente progressista perché, nell’ambito di un approccio di ecologia integrale, cioè quell’approccio complesso alla crisi ecologica che affronti contestualmente gli aspetti economici, ambientali e soprattutto sociali, si vogliono raggiungere gli obiettivi della decarbonizzazione imposti dall’Europa al 2030.

    Sostenibilità e politica italiana

    2 – C’È SPAZIO PER LA SOSTENIBILITÀ NELL’ATTUALE DIALETTICA POLITICA IN ITALIA?

    Nessuno ne parla, credo invece che un dibattito franco, serio e competente debba essere affrontato da tutti visto che questo tema risulta centrale per la nostra vita e quella delle future generazioni. Ma ci sono idee al riguardo? Sembrano tutti troppo distratti a formulare i proclami più fantasiosi.

    Obiettivi sviluppo sostenibile ONU in italiano

    Priorità

    3 – QUALI SONO LE PRIORITÀ PER RENDERE SOSTENIBILE IL NOSTRO MODELLO DI SVILUPPO?

    Il nostro modello di sviluppo, per essere coerente con il processo di decarbonizzazione urgente, deve subire una profonda trasformazione in ogni aspetto della società.

    Sarà necessario sviluppare un vero e proprio piano industriale del Paese riguardante tutti i settori coinvolti nella transizione energetica. Il piano industriale deve favorire lo sviluppo di componentistica nazionale per il settore della produzione dei moduli fotovoltaici, sull’esempio di quanto recentemente si sta facendo a Catania per i moduli bifacciali, dei sistemi di accumulo come nella gigafactory di Termoli, degli accumulatori da utilizzare sui veicoli elettrificati e per il bilanciamento della rete e dei circuiti integrati. Sono settori cruciali per non essere totalmente dipendenti dall’estremo oriente.

    Volvo Powerstop Perugia

    La riconversione del comparto industriale implica la riconversione dei posti di lavoro. Infatti, l’impatto occupazionale dovuto a tale politica industriale sarebbe significativo (100.000 posti di lavoro permanenti e 1,5 milioni di posti di lavoro temporanei). Investire nella transizione energetica può quindi essere un modo per coniugare la decarbonizzazione del sistema energetico con la ripresa dell’economia italiana.

    Infine la lotta alle disuguaglianze deve essere un punto centrale dell’azione politica, perché nessun aspetto della sostenibilità (ambientale, economica e sociale) deve essere trascurato.

    Energia

    4 – CRISI ENERGETICA, QUAL È LA STRADA PER USCIRNE?

    Bisogna liberarsi definitivamente, e nel più breve tempo possibile dalle fonti fossili che stanno generando, in questo momento storico, una crisi che non ha forse precedenti. In prima battuta per ridurre la bolletta energetica sia delle imprese che delle famiglie più bisognose, sarebbe opportuno andare a modificare l’art.16 bis della Legge 34/2022 eliminando l’extraprofitto che attualmente si sta realizzando con la vendita dell’energia elettrica da fonti rinnovabili tra i produttori e il GSE. In questo modo sarebbe possibile vendere al GSE questa energia ad un prezzo concordato, per un tempo più lungo dei 3 anni attualmente previsti. Questa stessa energia, immessa nel mercato elettrico da parte del GSE e venduta al prezzo attuale di mercato, genererà un ricavo che verrà utilizzato per ridurre il caro bolletta.

    Livio De Santoli

    Per questo la priorità assoluta riguarda le fonti rinnovabili, l’efficienza energetica e i combustibili alternativi (biometano e idrogeno). In particolare, 60 GW di rinnovabile nei prossimi tre-cinque anni, 7 miliardi di metri cubi di biometano, 4 milioni di pompe di calore, che corrispondono a 40 miliardi di metri cubi di gas fossile.

    Mobilità

    5 – MOBILITÀ SOSTENIBILE, OCCASIONE OPPURE DISDETTA PER L’INDUSTRIA ITALIANA?

    Anche la trasformazione del settore dei trasporti è un’occasione per sviluppare un nuovo comparto industriale tutto italiano.

    mobilita sostenibile

    Sono determinato a favorire la diffusione della rete di ricarica per veicoli elettrici, con il chiaro obiettivo di raggiungere i 110.000 punti di ricarica ad accesso pubblico al 2030 e almeno i 3 milioni di punti di ricarica privati, domestici o aziendali, sempre al 2030 per una penetrazione di auto elettriche pari a 6.000.000

    Per il conseguimento di questo obiettivo gli aspetti  più importanti da considerare sono: la realizzazione di nuove Gigafactory (oltre a quelle già esistenti di Monterubbiano e Termoli) per la produzione di batterie realizzate con materiali green ed ecosostenibili; la ricerca per la produzione di batterie ad accumulo elevato con ridotto ingombro, la realizzazione di colonnine con tempi di ricarica ridotti (le cosiddette Fast Charge) e la realizzazione di infrastrutture nazionali in grado di distribuire nelle varie regioni i carichi di energia prelevata.

    Formazione e ricerca

    6 – SCUOLA, UNIVERSITÀ E RICERCA POSSONO DIVENTARE CENTRALI NEL SISTEMA DI SVILUPPO E NELL’ECONOMIA ITALIANA?

    Scuola, università e ricerca devono essere il motore della ripartenza della nostra economia. Su questi temi negli ultimi 30 anni ci sono stati solo tagli continui, questa tendenza deve essere invertita il prima possibile. Investire sulla formazione dei giovani significa investire sul futuro del nostro paese. Inoltre la ricerca può rendere l’Italia all’avanguardia in ogni settore, in particolare per la trasformazione del sistema energetico, nello sviluppo di nuove tecnologie e per la transizione digitalizzazione. Tenere presente poi che la grande maggioranza dei nuovi green jobs sono da impostare ex novo, sia per la progettazione dei sistemi, che per la loro gestione e manutenzione.

    Auto elettrica

    7 – L’AUTO ELETTRICA È INDICATA DA TUTTI COME PROTAGONISTA ASSOLUTA DEL NOSTRO FUTURO PROSSIMO MA SUL MERCATO IN ITALIA NON DECOLLA, QUALI POLITICHE DOVREBBERO ESSERE ADOTTATE?

    Nella risposta 5 ho mostrato come grandi numeri debbano essere raggiunti sia in termini di infrastruttura, che per quanto concerne i veicoli stessi. L’aspetto più importante sarà la riduzione della burocrazia comunale per le autorizzazioni all’installazione delle colonnine di ricarica e l’aumento percentuale delle colonnine nel centro e nel sud in modo da rendere più agevole la transizione dai veicoli a motore endotermico, inquinanti, verso quelli elettrici puliti.

    Auto elettrica batterie stato solido

    Ovviamente il programma prevederà di intensificare il sistema di incentivi a favore del rinnovamento del parco automobili verso l’elettrico e l’aumentare della flotta del trasporto pubblico con mezzi elettrici andando progressivamente a dismettere gli attuali.

    Idrogeno e altri combustibili

    8 – COME BEN SAI CI SONO ANCHE IDROGENO, BIOCOMBUSTIBILI E COMBUSTIBILI SINTETICI, E-FUELS COME POSSIBILI ALTERNATIVE ALL’ATTUALE DOMINIO DEI COMBUSTIBILI FOSSILI, CHE RUOLO POTREBBERO AVERE?

    Lo sviluppo di combustibili alternativi è fondamentale nel prossimo futuro. Non tutti i settori possono essere facilmente elettrificati e la loro decarbonizzazione deve avvenire attraverso questi combustibili. Inoltre l’idrogeno è un modo per integrare la produzione aleatoria delle rinnovabili e il suo sviluppo sarà tanto più importante quanto aumenterà la penetrazione delle energie rinnovabili nella generazione elettrica. Il tema fondamentale è quello di sviluppare contemporaneamente sistemi di produzione con quelli di utilizzo, già oggi presenti e che necessiterebbero di una strategia nazionale consolidata.

    Hyundai Nexo idrogeno

    Nucleare

    9 – E IL NUCLEARE? CI SONO FORZE POLITICHE CHE LO HANNO INSERITO ESPLICITAMENTE NEL PROGRAMMA ELETTORALE.

    Premesso che non bisogna avere pregiudizi ideologici sul nucleare, le ipotesi che circolano in questi giorni avrebbero bisogno di un approfondimento tecnico circa: tipologia del reattore, costo dell’impianto, tempi di installazione. Reattori di cosiddetta quarta generazione, anche se è oggetto di studi da un paio di decenni, hanno ancora la necessità di quantificare costi e tempi in quanto non è ancora una tecnologia commerciale ma solo sperimentale con pochi prototipi funzionanti. Più verosimilmente le proposte potrebbero riguardare reattori di terza generazione che commercialmente annoverano al momento solo quattro reattori di grande capacità nel mondo, comunque caratterizzati da costi e tempi elevati (almeno 15 anni). Dei microreattori di limitata capacità di terza generazione non è facile assumere informazioni plausibili. Ad oggi comunque il confronto dei costi con le rinnovabili è a tutto vantaggio di queste ultime. Lazard e IEA stimano un valore del fotovoltaico intorno ai 40 euro/MWh contro 165 euro/MWh, cioè quattro volte di meno. Anche considerando la presenza di sistemi di accumulo per il fotovoltaico, il costo del fotovoltaico è ancora inferiore a quello del nucleare. In definitiva per il nucleare ne riparleremo tra dieci anni almeno.

    Centrale nucleare

    Giovani

    10 – PARLIAMO DEI GIOVANI, SIAMO ENTRAMBI PROFESSORI UNIVERSITARI E IL LORO FUTURO CI STA MOLTO A CUORE. COSA ANDREBBE FATTO PER LORO?

    Su questa tema è già stato avviato da me in collaborazione con altri professori, alla Sapienza un corso interdisciplinare dal titolo Sviluppo Sostenibile: la transizione culturale, ecologica e digitale con il quale vogliamo fornire una formazione sulla comprensione del concetto di sostenibilità secondo una strategia trans-disciplinare che comprende aspetti  dall’individuale e quello sociale, la salute e i diritti dell’individuo, le risorse naturali, l’innovazione, la digitalizzazione, il paesaggio, il tema delle città ed il territorio, il rapporto con le istituzioni. Questo come esempio di un nuovo modo, veramente integrato, di affrontare tutte le discipline e insegnare ai ragazzi un approccio utile per affrontare il nostro futuro. Noi professori, dovremmo abbandonare i recinti dei SSD (Settori scientifici disciplinari secondo i quali sono organizzate le carriere dei docenti e la struttura dei corsi di studio) e individuare le nuove figure professionali che si renderanno necessarie in questa transizione.

    De Santoli sapienza
  • Guerra e sostenibilità, ha senso parlare di sviluppo sostenibile nel mezzo di un conflitto?

    Guerra e sostenibilità sono agli opposti.

    Se però è chiaro a tutti che non ci sia alcuna sostenibilità possibile in caso di guerra, come mostra con evidenza ciò che sta avvenendo oggi in Ucraina e in altre decine di luoghi nel mondo, non è altrettanto condiviso il fatto che applicando i principi della sostenibilità la guerra possa realmente essere evitata.

    Realtà e astrazione

    Questo è comprensibile, vista la naturale predisposizione umana a considerare prioritari gli aspetti reali rispetto a quelli astratti.

    La realtà è ciò che secondo la nostra percezione ci accade oggi e per davvero, come la guerra in Ucraina, la crisi del gas, l’aumento delle bollette e le relative speculazioni finanziarie e di mercato nazionali e internazionali alle quali nessuno pare voglia realmente mettere un freno.

    Per reagire a una situazione percepita come reale, secondo il pensiero comune, bisogna agire nella realtà.

    Carbone, petrolio, altro gas oppure nucleare

    Quindi trovare altre fonti di approvvigionamento energetico, che sostituiscano il gas russo, pescando in ciò che abbiamo già dimostrato di saper fare in passato, come tornare a sfruttare petrolio e carbone (che sembravano dover uscire di scena nel giro di pochi decenni), trovare altro gas di diversa provenienza sul mercato internazionale oppure riaprire piattaforme di estrazione nei nostri mari, ripercorrere la strada del nucleare da fissione con tecnologie attualmente o velocemente disponibili (che fuori di scena, in Italia come in altri paesi, c’era già andato…).

    Impianto petrolio e carbone

    La strada della sostenibilità, in questo scenario, è vista invece come un’astrazione.

    Fonti energetiche rinnovabili

    Le fonti energetiche rinnovabili?

    Chi le ha mai viste soddisfare da sole e con continuità le esigenze di un intero paese…?

    Energia solare eolica

    La questione ambientale?

    Roba da fighetti ecochic, ad essere realisti morto un bosco se ne fa un altro… e poi non è nemmeno così evidente che esista veramente il cambiamento climatico… basta cercare su Internet e si trovano decine di pareri e spiegazioni che ne negano il legame con cause di origine umana.

    L’impatto sociale delle attività economiche?

    Paroloni da professori universitari, questioni da premi Nobel (tutti i recenti Nobel in Economia sono andati a studiosi che hanno dimostrato come senza una corretta valutazione socio-economico-ambientale il modello di crescita non regga), distanti anni luce dalle scadenze a fine mese delle famiglie…

    Tiriamo le somme

    Basta fare due conti per capire che nessuna delle soluzioni ritenute realistiche sia in grado di risolvere il problema a monte di ogni guerra, cioè l’interesse contrastante di due o più parti rispetto a una risorsa scarsa (territorio, ricchezze naturali, accesso al mare e ai corridoi di trasporto e comunicazione).

    Petrolio e carbone

    Petrolio e carbone sono geopoliticamente distribuiti in modo squilibrato sul pianeta, insufficienti per allargare lo sviluppo anche ai paesi emergenti, inquinanti a livello locale – oltre che fonti di emissioni climalteranti quando combusti.

    Pozzi di petrolio

    Gas naturale

    Lo stesso vale per il gas naturale, con un possibile miglioramento dell’impatto globale dal punto di vista ambientale che necessita però di un’attenta distribuzione e limitazione delle perdite lungo il percorso dall’estrazione all’utilizzo per avere reali vantaggi in termini di lotta al cambiamento climatico (il metano emesso direttamente in atmosfera è largamente più climalterante della CO2).

    Nucleare

    Il nucleare richiede risorse economiche ingentissime, lunghi tempi di realizzazione degli impianti (per i pochi impianti in costruzione in Europa i tempi di realizzazione si stanno rivelando lunghissimi…), per l’Italia presenterebbe lo stesso problema della dipendenza dall’importazione della materia prima dei combustibili fossili, genera senza dubbio una quantità importante di scorie radioattive attive per tempi che vanno ben oltre l’orizzonte prevedibile (ammesso che esista un orizzonte politicamente prevedibile, cosa smentita dalla crisi ucraina e dall’imprevista rottura con la Russia) ad oggi insoluto.

    Centrale nucleare

    Realismo… teorico

    Più che realistico, lo scenario dell’apparente realismo appare quanto di più teorico e astratto si possa immaginare.

    Scenario sostenibile

    Passando allo scenario della sostenibilità, risulta evidente come:

    • le fonti rinnovabili siano ampiamente sufficienti, con tecnologia attuale, quindi a maggior ragione in una prospettiva di sviluppo e innovazione, a garantire l’indipendenza energetica della grande maggioranza dei paesi e delle aree geopolitiche del mondo, comprese quelle emergenti e in via di sviluppo;
    • La questione ambientale sia ormai una priorità condivisa ed evidente a livello globale, con emissioni di gas serra, dispersione di plastiche e qualità dell’aria nelle aree urbane ai primi posti per urgenza di intervento;
    • L’impatto sociale delle attività economiche sia la nuova frontiera dell’industrializzazione, vissuta dalle comunità come risorsa preziosa quando è in grado di garantire lavoro, reddito, benessere e servizi.
    Guerra e sostenibilita

    Dal noto all’innato

    La guerra non è l’unico elemento reale nel dualismo con la sostenibilità.

    Gli elementi reali sono entrambi quelli in contrapposizione: uno (la guerra) noto e distruttivo, l’altro (la sostenibilità) innato e costruttivo.

    Sì, innato. Perché è nella natura umana preservare e conservare le risorse che permettono la vita e il miglioramento delle condizioni sociali. La sostenibilità non è altro che questo.

    Quindi non è affatto astratta, anzi.

    Cervello mente

    La sostenibilità, nella storia umana, nasce prima della guerra – anch’essa ancestrale ma affermatasi nella storia come strumento di supremazia, per certi versi concepito proprio per difendere o attuare piani di presunta sostenibilità (presunta perchè inevitabilmente a breve termine) di strutture sociali e comunità organizzate.

    Sviluppo duraturo

    La via della sostenibilità è l’unica possibilità che abbiamo per ambire a un mondo che costruisca invece di distruggere. Quindi a un mondo che possa durare nel tempo.

    Sviluppo duraturo e sostenibilità

    Non a caso in francese lo sviluppo sostenibile è detto developpement durable. Sviluppo duraturo, appunto.

    L’incognita della distribuzione del potere

    Certo, c’è un’incognita. Quella dell’elemento veramente intangibile eppure così decisivo che permea i rapporti umani, quindi anche quelli internazionali.

    L’incognita è il potere, inteso come controllo politico.

    Potere e sostenibilita

    Ogni scenario di sostenibilità socio-economico-ambientale tende a indebolire i poteri centrali classici e attualmente strutturati, a favore della diffusione e parcellizzazione del potere e delle responsabilità. A spese soprattutto della politica.

    Questa è l’incognita. Trovare nuovi meccanismi e un nuovo ruolo per la politica e per la distribuzione del potere in un mondo sostenibile.

  • Auto elettriche, secondo AXA sono meno sicure, ma pesano le abitudini e l’elemento mentale

    Le auto elettriche sono più sicure o più pericolose? Secondo la compagnia assicuratrice AXA sono più pericolose, soprattutto quelle più potenti, e torna a ribadirlo con uno studio realizzato in Svizzera corroborato da dati e un sondaggio che permette di analizzare la percezione degli automobilisti rispetto ai rischi, reali o immaginari, che le auto a batteria presentano.

    AXA
    I dati di AXA

    I dati. Un’auto elettrica di piccole dimensioni e di potenza normale ha un’incidentalità superiore del 50% rispetto ad una pari dotata di motore a combustione interna, una di potenza e costo elevati del 162%. Per queste ultime, i danni di responsabilità civile da esse causati sono superiori del 30%.

    AXA

    Nel dettaglio. Le auto elettriche tamponano il 30% in più, provocano incidenti senza concorso di terzi del 45% in più e in manovre di parcheggio del 56% in più. Questo riguarda la classe inferiore di veicoli mentre AXA non fornisce dati altrettanto accurati per le elettriche di costo e prestazioni più elevati.

    Leggi l’articolo su Volvo che distrugge macchine per salvare vite umane

    Uno stile di guida diverso

    Quali sono allora i motivi di queste differenze? Secondo Michael Pfäflli, responsabile Infortunistica e Prevenzione di AXA sta nelle caratteristiche di erogazione dell’auto elettrica: la reattività dell’acceleratore e la disponibilità immediata di coppia mette il guidatore in situazioni difficili da gestire.

    AXA

    L’AXA afferma inoltre che i guidatori di un’auto elettrica hanno dovuto modificare il loro stile di guida, in particolare in frenata. La ricerca non analizza il motivo di questa affermazione, ma possiamo ipotizzare che dipenda dalla risposta del pedale del freno, differente e non sempre modulabile come si deve.

    Riabituarsi a frenare

    Come è noto infatti i sistemi frenanti di auto ibride ed elettriche sono del tipo elettroidraulico by-wire. Il pedale cioè non aziona direttamente la pompa idraulica, ma un potenziometro. La forza trasmessa all’impianto frenante è dunque decisa da un software che trasforma la pressione sul pedale in rallentamento.

    AXA

    Fino ad un certo tasso di decelerazione, a rallentare la vettura è la forza inversa del motogeneratore elettrico, per recuperare energia. Oltre una certa soglia, decisa dal costruttore, il sistema fa entrare in azione l’impianto frenante vero e proprio. L’armonizzazione di questi due effetti è ancora fonte di grattacapi per gli ingegneri e, talvolta, di difficile interpretazione per l’utilizzatore.

    Accelerare il giusto

    Quanto all’accelerazione, l’AXA mette sotto accusa il cosiddetto “overtapping” ovvero il fatto che il guidatore, pur credendo di esercitare una pressione lieve sull’acceleratore, riceve invece dal veicolo un’accelerazione superiore alle proprie aspettative trovandosi in situazioni inaspettate e rischiose.

    AXA

    Per dimostralo AXA ha riprodotto uno scenario nel quale il guidatore si ritrova a velocità eccessiva in prossimità di una rotonda, è costretto ad attraversarla centralmente danneggiando il fondo della vettura e ribaltandosi. Grazie alla resistenza della scocca e ai sistemi di ritensione le lesioni per gli occupanti sono minime.

    La tutela della batteria

    I danni però ci sono. E riguardano potenzialmente il cuore dell’auto elettrica: la batteria. Dal punto di vista della sicurezza, il rischio maggiore non deriva dal pericolo di un incendio. Il 33% degli intervistati ritiene che questo rischio sia maggiore per le auto elettriche, ma le statistiche dicono che questo non è vero.

    AXA

    È invece vero che un incendio che viene causato dalle batterie è assai più complesso da estinguere ed è più subdolo, poiché può innescarsi a distanza di ore dall’impatto. Del resto anche le auto a combustione interna soffrono di fenomeni di autocombustione. Statisticamente prendono fuoco 5 auto su 10.000, una percentuale 38 volte inferiore ai danni originati da impatti con le martore.

    Protezione batteria, si può fare di più

    Tornando alle batterie, la ricerca AXA richiama l’attenzione su una sua maggiore protezione. A tale aspetto le case già dedicano una considerazione particolare, soprattutto per gli urti laterali visto che, tra le prove principali di tutti gli enti di sicurezza, c’è l’impatto laterale contro un palo.

    L’AXA tuttavia sollecita i costruttori a rinforzare il fondo della batteria, solitamente sistemata nella parte più bassa, con materiali altoresistenziali come il titanio. Inoltre invita gli enti preposti ad aggiornare il capitolato di prova introducendo un nuovo scenario per verificare la resistenza del fondo ad eventuali impatti.

    Il percorso istituzionale

    Lo scenario proposto dalla società assicuratrice appare estremo, ma crediamo che la proposta di aggiornare gli standard di sicurezza, verificando la resistenza inferiore della batteria, sarà accolta presto visto che l’EuroNCAP è un consorzio del quale fanno parte anche gli assicuratori (Axa compresa) attraverso la Tatcham.

    La ricerca mette l’accento anche sull’effetto massa per la sicurezza. In generale, dal 2000 al 2020 il peso medio delle vetture assicurate da AXA è passato da 1.340 a 1.680 kg, un aumento del 25%. E si prevede che tale valore raggiunga i 2.000 kg nel 2030, a causa di norme sulla sicurezza e della presenza delle batterie.

    AXA
    Golf contro Golf, questione di massa

    Un crash test frontale a 50 km/h tra una Volkswagen Golf VII termica e una elettrica semplifica il discorso: la prima, che pesa 1.250 kg, riceve deformazioni sensibilmente superiori all’altra che pesa 400 kg in più. Statisticamente, un mezzo da 1 tonnellata ha danni superiori del 10% se ha un impatto con uno da 2 tonnellate.

    Fortunatamente, non c’è un effetto proporzionale – peso la metà e ho il doppio dei danni, peso il doppio e ho la metà dei danni – ma occorrerebbe verificare come in tale quantificazione sono stati ponderati gli effetti economici: ci sono fari di auto a tecnologia avanzata che come ricambio costano più un frontale completo.

    Generazione di fenomeni

    Quanto agli effetti per gli occupanti, gli effetti sono simili anche con grandi differenze di massa. Ma questo avviene se si considerano vetture della stessa generazione e dunque che sono verificate con gli stessi standard di sicurezza. Se effettuiamo un crash test tra la già citata Golf VII con una Golf VI, le differenze sono evidenti.

    Statisticamente AXA quantifica nel 20% la differenza di danni per gli occupanti di un’auto progettata 10 anni fa rispetto ad una di nuova generazione. E questo al netto di tutti i sistemi di evitamento e mitigazione dell’impatto come la frenata automatica di emergenza, dotati di logiche sempre più ampie sofisticate.

    Situazioni di pericolo diverse

    I risultati di questa inchiesta confermano e completano quelli di un’altra condotta nel 2019. Allora l’AXA rilevò che le auto piccole e microauto elettriche hanno un incidentalità inferiore del 10% rispetto alle corrispondenti con motore termico mentre quelle grandi e potenti l’hanno superiore del 40%.

    La studio del 2019 evidenziava come le situazioni di rischio create dalla guida delle auto elettriche siano sensibilmente diverse da quelle della auto termiche e, di conseguenza, anche la dinamica degli incidenti. Ma soprattutto affermava che le auto elettriche esigevano un comportamento di guida diverso.

    Scenari di prova estremi

    I fattori fondamentali sono, oggi come allora, la frenata e l’accelerazione. Nel 2019 lo scenario immaginato era il seguente: il guidatore sta percorrendo una strada a scorrimento veloce curvando verso destra, preme l’acceleratore, la vettura accelera più del previsto e il guidatore perde il controllo del veicolo.

    La vettura invade la corsia opposta dove sopraggiunge un altro veicolo che non ha tempo e modo di frenare a sufficienza e/o evitare l’impatto. La collisione avviene da 70 km/h, una velocità che permette di assicurare agli occupanti un tasso accettabile di sicurezza, ma con il rischio di lesioni e di danni significativi alle vetture.

    La sottostima del rischio

    Anche in questo caso si tratta di uno scenario estremo, quasi inverosimile. Ma occorre riflettere. Spesso il guidatore sottostima le situazioni di rischio e sopravvaluta le proprie capacità, soprattutto sulle auto moderne, ultraisolate dall’esterno e fornite di innumerevoli dispositivi di assistenza.

    AXA

    Le auto elettriche estremizzano questi due fattori. Sono infatti ancora più silenziose e chi sceglie un’auto elettrica ha una propensione naturale maggiore alla tecnologia e all’utilizzo dei dispositivi di assistenza. Questo provoca un calo dell’attenzione e dunque tempi superiori di reazione al manifestarsi di un pericolo.

    Lo strano caso dei premi assicurativi

    Basta pensare alle cronache che parlano di clienti Tesla che hanno causato incidenti mentre utilizzavano i controlli automatici della velocità e del mantenimento della corsia. Questo non vuol dire che le Tesla siano meno sicure, ma che i suoi clienti, molto probabilmente, sono portati ad affidarsi ai dispositivi di bordo con una fiducia che lambisce l’imprudenza se non l’incoscienza.

    Qualcuno potrebbe sostenere che la ricerca dell’AXA è strumentale per dimostrare l’esistenza di un fattore di rischio economico che legittima l’aumento dei premi. Ognuno fa il suo gioco. Eppure tutte le compagnie assicurative praticano premi inferiori per le auto elettriche o elettrificate. Secondo i siti Facile.it e assicurazione.it tale differenza arriva al 50%. A questo punto piacerebbe davvero sapere i motivi di tale generosità.

    Ci pare invece molto interessante la frase di una ricercatrice dell’AXA, Bettina Zahnd, che appare sulla ricerca del 2019:

    Essere capaci di guidare un’automobile non significa necessariamente che puoi guidare qualsiasi automobile. Così come per le classiche lezioni di guida, la conoscenza specifica di differenti tipi di veicolo sta diventando sempre più importante. Con le auto elettriche in particolare, i guidatori devono prima abituarsi al loro differente comportamento in accelerazione e frenata prima che essi possano usare il veicolo in modo sicuro

    Il potere della mente

    Ma il fattore principale che va rimarcato è quello mentale. Tutti gli aspetti che riguardano la sicurezza delle auto hanno una fonte mentale. La ricerca di AXA mette la maggiore pericolosità delle auto elettriche in rapporto alle nostre abitudini e ai nostri presupposti e dice chiaramente che dobbiamo modificarli.

    EuroNCAP

    Occorre dunque modificare il software umano. La ricerca AXA dice che il processo di adattamento per la frenata è già iniziato, non ancora o non abbastanza per l’accelerazione. Finora è stata sempre la velocità ad essere considerata pericolosa. In futuro l’accelerazione potrebbe subire limitazioni tecniche come la velocità?

    L’accelerazione da tenere d’occhio

    In commercio ci sono auto elettriche dal peso elevato e capaci di accelerare e riprendere in tempi rapidi. Anche in salita e in percorsi ricchi di curve. Queste auto danno la possibilità di scegliere la modalità di guida e ammansire la loro spinta. Ma tutto dipende dal raziocinio di chi è al volante, dai suoi riflessi e dalla sua capacità.

    Parliamo di nuovo di software umano e di quei fattori che – elettrico e non – riguardano il 90% degli incidenti. È dunque lecito chiedersi se non sia utile limitare la capacità di accelerazione delle auto elettriche agendo su parametri oggettivi come i G che si sviluppano ogni volta che si preme l’acceleratore.

    Tutelare i veri valori della transizione

    Il tema sarebbe ovviamente dibattuto perché toglierebbe di mezzo, dopo la velocità, un altro classico elemento emozionale della guida e che colpisce i sensi umani in modo ancora più naturale della velocità. Ma una discussione preventiva aiuterebbe a prendere una decisione giusta affinché vite umane non siano messe a rischio e, magari dopo incidenti ascrivibili alle auto elettriche, non si creino strumentalizzazioni inutili contro la nuova mobilità. Nessuno dica dunque che l’auto elettrica è pericolosa in quanto tale rinforzando i pregiudizi contro di essa. Allo stesso modo, occorre considerare altri aspetti della transizione ecologica che non riguardano i carburanti, la CO2 o altro ancora, ma il sacrosanto diritto di ognuno di viaggiare in modo sicuro, per se stesso e per gli altri.

    AXA
  • USA, tornano gli incentivi per le auto elettriche, e sono selettivi, protezionistici e con credito d’imposta

    Incentivi alle auto con la spina, per gli USA si prepara il gran ritorno, ma con correzioni di ordine operativo e protezionistico. Il piano è contenuto nell’Inflation Reduction Plan e prevede fino al 2032 un credito d’imposta pari a 7.500 dollari per auto elettriche o ibride o plug-in nuove e fino a 4mila per quelle usate.

    I tre “ma” dei nuovi incentivi

    Ma c’è un ma, anzi più di uno. Il primo ma è che c’è un limite di prezzo: 55mila dollari per le autovetture e 80mila per suv, truck e van. E questo risponde ad un criterio utilizzato anche da noi, sostenuto dal Fondo Monetario Internazionale e che sarà introdotto anche in Norvegia perché l’incentivo flat è iniquo e non vantaggioso per la comunità.

    Leggi l’articolo sui cambiamenti alle politiche di incentivazione dell’auto elettrica in Norvegia

    Un tetto al prezzo e al reddito

    Il terzo è che il reddito del beneficiario non deve superare (al netto di detrazioni e deduzioni) i 150mila dollari se è celibe o nubile, 225mila per i capofamiglia e 300mila per le coppie sposate. Anche in questo caso, il principio è di favorire la classe media e non chi può comunque acquistare auto da 200mila dollari.

    Anche per le auto usate

    Per le auto usate invece il credito massimo di 4mila euro non deve superare il 30% del prezzo di transazione che, in ogni caso, non deve superare i 25.000 dollari. In questo caso, i limiti di reddito sono di 75.000 dollari per i single, 150.000 per i coniugi in comunione dei beni e di 112.500 per i capifamiglia.

    Protezionismo mascherato, neppure troppo

    Il terzo ma è che le auto da acquistare devono essere prodotte sul suolo americano con batterie le cui materie prime critiche utilizzate (litio, nickel, cobalto, manganese, etc) devono essere sotto il controllo di aziende nazionali. Tale misura mira evidentemente a limitare il potere economico della Cina.

    Obiettivo primario: la Cina

    Come è noto infatti il Dragone controlla, attraverso proprie aziende, l’estrazione di metalli e terre rare indispensabili per le batterie. Non a caso sotto la Muraglia si è sviluppata l’industria di celle e batterie più grande del mondo, dapprima per l’elettronica di consumo e poi per l’autotrazione.

    Il 70% dei modelli sarebbe escluso

    Tale scelta ha però ricevuto due critiche fondamentali. La prima viene dall’esterno, la seconda dall’interno. Quest’ultima è firmata da John Bozzella. Dei 72 modelli PHEV, EV e FCEV attualmente in vendita negli USA – afferma il presidente della Alliance for Automotive Innovation (AII) – il 70% sarebbe immediatamente escluso.

    Il rischio dell’inefficacia

    Questo fa sì che il provvedimento rischia di essere inefficace mettendo in pericolo l’obiettivo di Washington del 40-50% delle auto vendute elettriche entro il 2030. Il numero uno dell’associazione che riunisce i costruttori condivide la ratio del provvedimento, ma chiede più tempo affinché l’industria nazionale possa organizzarsi.

    Leggi l’articolo sulle misure e gli obiettivi degli Usa per l’auto elettriche

    I costruttori chiedono ponderazione e tempo

    Bozzella sostiene che, per permettere al sistema di differenziare le fonti di approvvigionamento e consolidarsi, dare modo ai clienti di comprare auto alla spina e tutelare la sicurezza nazionale si debbano operare alcune correzioni tenendo anche conto delle alleanze strategiche e difensive che gli USA hanno.

    Tutelare le alleanze

    Per questo il presidente e ceo della AII propone di esentare dalle limitazioni i paesi che fanno parte della Nato, il Giappone e altri ancora che vantano con gli USA solide relazioni diplomatiche. «Allargare la lista dei paesi ammissibili fornirebbe opzioni più numerose per ridurre velocemente la dipendenza dalla Cina».

    Anche l’Unione Europea protesta

    L’altra critica arriva proprio dall’Unione Europea che, per bocca del portavoce della Commissione, Miriam García Ferrer, ha definito la misura statunitense «discriminatoria» e si è detta «preoccupata da questa nuova potenziale barriera commerciale transatlantica» che violerebbe le regole del WTO.

    Azione e reazione

    Il rischio è che le battaglie di trumpiana memoria sui dazi si prolunghino o prendano un’altra forma. Sta di fatto che l’Europa rappresenta per gli USA sempre un pericoloso concorrente ed è più lanciata dello Zio Sam nel costruire un mercato ed una base industriale per l’auto elettrica.

    L’esempio di Obama e oltre

    Va detto che il provvedimento riprende quanto fatto dall’amministrazione di Barack Obama negli anni 2008 e 2009, ma in quel caso era previsto un tetto di 200mila veicoli per ogni marchio. Dopo questo limite, l’incentivo diminuiva in modo progressivo. Il nuovo invece non è sottoposto ad alcun vincolo di volume.

    Sconto in… dichiarazione dei redditi

    Altro aspetto interessante del provvedimento è che non si tratta di uno sconto: è un credito d’imposta che il cliente può scaricare autonomamente oppure – e questa è una novità – cedere al concessionario. Come da noi succede per le ristrutturazioni edilizie o il loro efficientamento energetico.

    Il credito è del cliente

    Questo permette, prima di tutto, di possedere effettivamente il credito da parte del cliente e anzi gli dà maggiore potere negoziale. Il concessionario o le reti commerciali saranno infatti costrette ad acquistarlo alle migliori condizioni possibili aggiungendovi sconti in forma di denaro o di ulteriori incentivi.

    L’incentivo all’italiana

    L’incentivo in Italia invece è nelle mani dei concessionari e delle reti commerciali. Questo dà vita a situazioni non sempre chiare, ad aumenti di prezzo e permette operazioni commerciali dietro le quinte fatte nell’interesse non certo del mercato, del cliente e della effettiva transizione ecologica.

    Incentivi per l’elettrico a corrente alternata

    L’incentivo italiano ha inoltre un’altra caratteristica scomoda: ha avuto storicamente fondi limitati e deve essere frequentemente rifinanziato creando pause e distorsioni notevoli nel mercato. La cessione del credito fornita direttamente dal cliente può risolversi invece in una partita di giro tra il contribuente e l’esattore.

    L’esempio e l’insegnamento dell’edilizia

    Diciamo “può” perché occorre vedere chi garantisce la somma oggetto della eventuale cessione. L’esperienza recente italiana dimostra che, se la mediazione è affidata alle banche, il sistema crea spese ulteriori ed è soggetto ad incagliarsi. Vista però l’entità del credito, è più facile che lo gestisca direttamente.

    Per rendere utili gli incentivi

    Perché allora non fare incentivi all’americana anche in Italia attraverso il credito d’imposta? L’Unrae lo aveva proposto anni fa prendendo ad esempio proprio gli incentivi riservati all’edilizia. Non se n’è fatto nulla. Alla luce del sostanziale fallimento degli incentivi attuali che ha costretto ad una loro profonda revisione, val bene riflettere sulla creazione di meccanismi nuovi che siano convincenti, trasparenti ed efficaci. L’esperienza insegna che non è solo la quantità di denaro a fare la differenza, ma la scelta dei canali e delle modalità giusti attraverso i quali elargire benefici che siano davvero apprezzabili dal mercato innescando il ricambio e l’effettivo miglioramento dell’efficienza del circolante.

  • La scelta di Ulrich, vivere in modo naturale sulle Dolomiti – Video del mio incontro

    Ulrich, l’eremita delle Dolomiti. Questo è il nome che è stato dato alla persona incredibilmente interessante che incontro proprio sotto il Sassopiatto, una delle montagne più famose e affascinanti che ci siano in Italia.

    Ulli, questo è il nomignolo con cui si fa normalmente chiamare, è intento a girare il suo fieno quando arrivo alla piccola malga. Fieno rigorosamente tagliato e raccolto a mano, come si faceva una volta.

    Ulrich falci fienile

    Non è un eremita

    Penso addirittura che non voglia parlarmi o vedermi in giro tra il suo fienile e il suo orto, quando lo vedo da lontano. Un eremita è così, si isola in un luogo remoto e non vuole incontrare nessuno.

    Invece Ulli arriva verso di me, mi saluta e si ferma a parlare anche con altre persone, che si sono avvicinate seguendo le mie orme e quelle di mia moglie Laura, che mi ha avuto l’intuizione di questo incontro e mi spinge a cercare di parlare con lui e a chiedergli di realizzare un video insieme, prestandosi anche a fare da operatrice.

    Ulrich non è affatto un eremita qui sulle Dolomiti, vuole parlare con gli altri e – anzi – sta realizzando questo suo progetto sperimentale di vita completamente naturale, in equilibrio con un luogo montano che d’inverno ha temperature molto al di sotto dello zero per lunghi periodi, senza l’ausilio di macchinari e cercando di lasciare un’impronta ambientale nulla, con precisi fini di condivisione.

    Ulrich Dolomiti Malga

    L’esperimento

    Secondo me, sentendo quello che mi dice Ulrich, vedendo il suo luogo di vita e dopo aver conosciuto il suo passato (che potrebbe diventare di nuovo il suo futuro, chissà…), il suo è un vero e proprio progetto sperimentale.

    Un esperimento, che vuole provare come si possa ancora vivere e lavorare in armonia con un luogo naturalmente meraviglioso, come le Dolomiti, senza bisogno di risorse che arrivino da chissà dove, utilizzando soltanto materiali locali e completamente a Zero Emissioni, oltre che a zero consumo di materiali non rinnovabili.

    Rastrelli in legno

    Ulli è arrivato sulle Dolomiti sotto il Sassopiatto, dove vivevano i suoi nonni e bisnonni, per vivere nel presente recuperando alcuni elementi tutt’ora applicabili del passato, come il lavoro manuale, l’utilizzo di risorse locali e l’adozione di soluzioni naturali per convivere con il tempo atmosferico che si sussegue nelle diverse stagioni.

    Il suo passato (e futuro?) da architetto

    Nel passato di Ulrich c’è una vita da architetto vissuta tra Vienna, Berlino e Amburgo. Prima del 2019, quando è tornato sulle Dolomiti da dove era partito ragazzo, tra l’Austria e la Germania ha esercitato con successo la sua professione. Ha una moglie, dalla quale è attualmente separato, e due figli piccoli che vivono in Germania e quando possibile vengono a trovarlo e trascorrono con lui giornate entusiasmanti alla scoperta della natura, sia d’inverno che d’estate.

    FO con Ulrich

    Una vita piena, quindi, che si arricchisce oggi di un ulteriore, incredibile contenuto grazie alla scelta di vivere qui e in questo modo.

    Questo fatto, dal mio punto di vista, rende ancora più interessante l’esperimento di Ulli. Ha una vita piena e non la rinnega affatto, anzi. La spinge verso nuovi obiettivi con il suo progetto, che ha dentro elementi già visti in sue creazioni da architetto, portati però all’essenziale, per capire se e come le sue teorie urbanistiche e sociali possano essere applicabili.

    Fabio Orecchini con Ulrich

    Il progetto del comprensorio a impatto zero

    Mentre parliamo, quando capisco che Ulrich è un architetto, gli chiedo se abbia ancora qualche suo progetto da mostrarmi.

    Mi dice di sì e mi fa vedere un progetto che – in base al suo racconto – è stato a un passo dal poter essere realizzato in Germania, a metà strada tra Berlino e il Mar Baltico.

    Progetto comprensorio impatto zero

    Si tratta di un comprensorio fatto di case con grandi vetrate e muri realizzati con materiali naturali, dove la luce e il calore vengono sapientemente distribuiti e accumulati. Un progetto che Ulrich non ha affatto abbandonato e che probabilmente rappresenta il passo successivo rispetto alla sua attuale esperienza sulle Dolomiti.

    Sperimentare per condividere

    Ecco perché quello che è stato giornalisticamente e frettolosamente chiamato l’Eremita delle Dolomiti è tutt’altro che un eremita.

    Ulrich sta cercando delle soluzioni capaci di confermare la sua tesi, che qualcuno chiamerebbe ambientalista, sulla possibilità di avere una vita piena, attiva e soddisfacente attingendo a risorse locali e senza impatti ingiustificati sull’ambiente.

    Ulrich rastrelli legno

    Il suo esperimento non è certamente destinato a rimanere racchiuso nell’esperienza di un solo uomo, ma ha un futuro davanti. Fatto di condivisione, nella sua malga – per chi vuole già adesso, senza pagare ma rendendosi utili nei lavori necessari e magarti con qualche baratto – come nei futuri comprensori che nasceranno grazie al suo genio architettonico.

    Non buttare la plastica già presente

    Una delle sfide più difficili per Ulli è quella di trovare alternative alla plastica per alcuni utilizzi.

    Mentre sperimenta vecchie e nuove soluzioni, ha deciso di non buttare la plastica già presente nella sua malga.

    Ciò che è già stato prodotto, e lui ha trovato nella malga al suo arrivo nel 2019, va utilizzato e poi correttamente smaltito, non buttato subito. Perché l’impatto causato dalla produzione e dalla distribuzione fin lì in montagna c’è già stato, quindi anche quel materiale – che Ulrich certo non ama – va utilizzato fino a quando sarà in grado di rendersi utile.

    Malga Sassopiatto

    Natura e ragione, quindi. Non idee astratte e integralismi ingiustificati.

    Questo è Ulrich sulle Dolomiti, detto Ulli. Tornerò a trovarlo con grande piacere. Magari portando dell’avena e delle noci per la colazione, come mi ha chiesto prima di salutarmi.

    Arrivederci, Ulli. Buona vita nella natura.

  • Toyota bz4X, sulle strade e sui monti di Copenaghen. La prova dell’elettrica delle Tre Ellissi

    A Copenaghen c’è un colle sul quale si scia e da dove si può vedere il ponte di Øresund che collega la capitale della Danimarca alla città svedese di Malmö. Quasi 16 chilometri, alcuni dei quali in realtà corrono sotto il mare per poi riemergere e correre leggeri sullo stretto che divide Mar Baltico e Mare del Nord. Un capolavoro di ingegneria con stralli lunghi fino a 490 metri e piloni alti fino a 206 metri.

    Copehagen
    Copenhill, per bruciare e sciare

    È tutto vero, compreso il fatto che a Copenhagen ci sia un colle dove si scia. Si chiama Copenhill, è in realtà un enorme termovalorizzatore altro circa 100 metri. Alla base vi è un negozio dove di affitta materiale da sci, le sue piste artificiali sono rivestite di un materiale speciale. Vi si sale con uno skilift e c’è anche lo spazio per erbe, alberi e fiori. Come se fosse davvero la cima di una montagna.

    Copenhagen
    Ricarica ad idrogeno

    Siamo venuti qui a provare la versione definitiva della Toyota BZ4X. E alla base di Copenhill ci sono i punti di ricarica. Per alimentarli c’è un impianto fuel-cell mobile alimentato con idrogeno verde. Un cerchio che si chiude in modo simbolico: l’energia diventata idrogeno che si tramuta di nuovo in energia per muoversi. E poi ci sono l’acqua, il vento che fa girare le pale eoliche sul mare e il fuoco che crea energia dai rifiuti.

    Copenhagen
    Il poker di Nagoya

    Sembra il contesto perfetto per l’auto elettrica, per la nuova mobilità della quale Toyota fa già parte da tempo. Solo che, a differenza degli altri, vi è entrata per gradi e vuole restarvi con un poker di tecnologie di elettrificazione: ibrido full, ibrido plug-in, fuel cell ad idrogeno ed elettrico. Messi in ordine di tempo, non di priorità. Secondo Nagoya infatti il vertice è rappresentato dall’idrogeno.

    Idrogeno
    Credere prima nell’elettrificazione

    L’elettrico è una novità abbastanza recente. Si è anche detto: Toyota non crede nell’elettrico. Chi lo fa non conosce evidentemente Toyota che, da sempre contempla le auto che si muovono a batteria tra le tecnologie necessarie. Sicuramente, non l’unica come molti insistono nel dire. La cosa certa è che Toyota l’elettrificazione l’ha avviata quando nessuno vi credeva e nella BZ4X c’è tutta la sua esperienza in merito.

    Toyota bz4X
    Un’esperienza da oltre 20 milioni

    Dagli inizi degli anni ’90 a Nagoya si studiano motori elettrici, batterie e batterie. Dal 1997, quando la Prius fu presentata, sono stati messi su strada oltre 20 milioni di automobili che – con o senza motore a scoppio e con o senza celle a combustibile – si muovono grazie a queste tecnologie. I 25 anni di esperienza vera oggi permettono a Toyota di mettere su strada la BZ4X e di manifestare qualche legittimo dubbio sulle capacità taumaturgiche dell’elettrico.

    Copenhagen
    Un ponte, un termovalorizzatore e un’elettrica

    Avevamo per questo grande curiosità per provare la versione definitiva della BZ4X, dopo la prova in anteprima del prototipo, e vedere Copenhill. Il colle artificiale, spazzato dal vento – non di montagna ma del Mare del Nord – regala temperature che in giugno oscillano tra 12 e 14 °C. Il ponte di Øresund è all’orizzonte e, mentre il termovalorizzatore è in moto, non si avvertono rumori o odori, anche a pochi metri dalla ciminiera mentre sono prodotti calore ed energia per 150mila edifici.

    Woven City Monte Fuji
    Il filo tra Danimarca, Giappone e Italia

    Anche il grigio del cielo inghiotte senza sforzo il sottile sbuffo della ciminiera. Per noi mediterranei è un atmosfera, rotta soltanto dal verde del prato, dai fiori e dalla pizzeria che si trova su questa struttura che ha un altro legame con la sostenibilità e Toyota. Ad averla progettata infatti è lo studio danese BIG-Bjarke Ingels Group, lo stesso che si sta occupando di Woven City ai piedi del monte Fuji e il cui progetto esecutivo è stato presentato ai giapponesi dall’italiana Giulia Frittoli.

    Non si maschera più

    In questa tessitura di destini e verbale (woven in inglese vuol dire intrecciato, tessuto) c’è anche la BZ4X. L’ultima volta ci eravamo visti al Sud della Spagna, tra i guadi e il fango della tenuta di Nasser Al-Attiyah e le strade dell’entroterra catalano. Stavolta non ci sono camuffature e quello che c’è è definitivo. La posizione di guida è sportiva, la visibilità ottima, la sensazione è di essere su un’auto che guarda avanti.

    Leggi la prova in anteprima della Toyota BZ4X

    Toyota bz4X
    Morbida e progressiva

    La versione provata è quella con ruote su cerchi da 20” e a trazione integrale. Due motori da 80 kW l’uno per una coppia di 336 Nm, espressi con armonia e dolcezza. La BZ4X non cerca l’effetto “wow” di molte elettriche, al contrario è morbida ed estremamente graduale all’acceleratore. Lo 0-100 km/h avviene in 6,9 s. Anche la modulabilità del pedale del freno è di ottimo livello, piacerebbe avere più di due livelli di decelerazione e recupero, magari le levette al volante e anche la possibilità di guidare con un solo pedale. La decelerazione massima è di 0,15 G e c’è una sola modalità di guida.

    Toyota bz4X
    Assetto indovinato

    Le due cifre della BZ4X sono il comfort e la facilità di guida. Rispetto al prototipo, lo sterzo sembra un più lento nella risposta, ma rimane l’assetto piatto e composto eppure a proprio agio sulle sconnessioni. Sulle strade ve ne sono ben poche, ma sono assorbite in modo morbido e preciso. Giudizio estremamente positivo anche per la silenziosità del corpo vettura (cx di 0,28), del sistema elettrico e la progressività dei sistemi di assistenza alla guida.

    Toyota bz4X
    Consumi esatti!

    I consumi. I tecnici Toyota ci hanno dato prima dell’inizio della prova dati seconda degli allestimenti e delle versioni. Ebbene dopo 104 km di prova partendo dal 97% di batteria, il computer di bordo indica un’autonomia di 283 km. Ma il dato sorprendente è la media di consumo: 18,1 kWh/100 km. Era il dato esatto che ci era stato pronosticato. Segno che il guidatore normale può contare su 400 km sicuri. I dati di omologazione indicano una forbice tra 411 km e i 516 km della versione 2WD da 150 kW con ruote da 18”.

    Toyota bz4X
    Il serbatoio di energia ed esperienza

    La batteria ha una capacità netta di 71,4 kWh (netti o lordi?), è la prima di Toyota raffreddata a liquido attraverso un sistema integrato con la pompa di calore dedicata alla climatizzazione. Secondo i tecnici giapponesi assicura la temperatura ideale ad abitacolo e accumulatore in un intervallo tra -30 °C e +60 °C. I motori invece sono raffreddati a olio. La batteria si ricarica in corrente continua fino a 150 kW e in alternata fino a 11 kW.

    Toyota bz4X
    Fino ad un milione di chilometri

    Anche sulla struttura interna i tecnici dicono poco. Apparentemente è molto sottile, molto ben integrata nella scocca e ha solo 96 celle fornite dalla Prime Earth Energy, joint-venture tra Toyota e Panasonic. Questo fa supporre un design senza moduli con lunghe celle a lama controllate singolarmente. Toyota dunque si tiene i suoi segreti e sa bene quello che fa. Promette infatti di poter garantire la batteria della BZ4X per 10 anni o un milione di km mantenendo il 70% dell’efficienza, se i tagliandi si fanno presso la propria rete.

    Leggi l’articolo sulla joint-venture tra Panasonic e Toyota

    Autonomia dal sole e sterzo by-wire

    La BZ4X ha in serbo altre due chicche. La prima è il pannello fotovoltaico che, in situazioni di soleggiamento normale, potrà assicurare 1.800 km di autonomia assolutamente puliti. La seconda è il sistema sterzante by-wire, ovvero senza collegamento meccanico tra volante e ruote: basteranno 150 gradi di angolo per una svolta completa mentre in marcia demoltiplicazione e grado di assistenza saranno regolate continuamente. La BZ4X arriva per la fine dell’anno con un listino che parte da 50mila euro.

    Toyota bz4X