Le strategie per la ripartenza economica nel post-Coronavirus sono partite dalla casa, con il superbonus del 110 % per le ristrutturazioni mirate alla maggiore compatibilità ambientale e al risparmio energetico.
Per il rilancio, però, serve una politica industriale coraggiosa, innovativa e urgente.
Non ci sono posizioni da mantenere, ci sono piuttosto campioni da spodestare per poterne prendere il posto in un mondo che andrà ancora più velocemente di prima e in Europa non aspetterà certo gli ultimi per tendere loro la mano.
Aggressività fiscale
Ben venga un’aggressività fiscale nei confronti di tutti quelli che ci portano via aziende e attività commerciali.
Iniziando ovviamente da Olanda e Lussemburgo, parenti serpenti che fanno i benpensanti a parole in Europa ma non trovano nulla di sbagliato nel mangiare coi nostri soldi, il nostro lavoro e la nostra creatività.
Aggressività industriale
Ma non basta. Serve anche un’aggressività industriale che preservi e rilanci l’industria meccanica di eccellenza, settore nel quale nel mondo siamo i più grandi concorrenti dei tedeschi.
Dire industria oggi significa incrociare la manifattura con la digitalizzazione e le telecomunicazioni. Questo è sotto gli occhi di tutti, non esiste meccanismo moderno che non abbia un sistema di controllo e non vada predisposto per un collegamento remoto.
L’auto è strategica
Il prodotto principe di questa rivoluzione destinata a far incrociare nelle nostre vite fonti energetiche rinnovabili, elementi robotici e una costante e crescente connettività è l’automobile.
Chi perde di vista l’auto, scambiandola per un prodotto del passato, si taglia fuori dal futuro.
Come ho avuto modo di scrivere:
l’auto non va combattuta, va evoluta.
Dalla sua evoluzione può nascere quasi tutto ciò che serve per il mondo del futuro.
Superbonus auto
L’Italia deve avere un mercato dell’auto in salute, basato in maniera rapidamente crescente su modelliad emissioni sempre più basse nel tempo. Con un occhio di riguardo per la crescita della quota delle zero emissioni.
Non basta certamente la sola conferma degli incentivi precedenti, seppur con un maggiore finanziamento, stabilita nel Decreto rilancio.
Serve un superbonus auto di più anni e su più gradini che renda appetibile l’acquisto di una nuova auto già nel 2020 con emissioni inferiori ai 95 g/km di CO2.
Tra il 2021 e il 2025 si dovrà scendere ancora per accompagnare il mercato all’obiettivo di arrivare al 2025 agli 80 g/km già fissati a livello europeo.
Elettrificazione e combustibili alternativi
Le tecnologie elettrificate e le alimentazioni alternative, capaci di emettere ancora meno CO2, ma anche meno sostanze inquinanti nocive in ambito urbano (CO, PM e NOx) – oltre ad abbassare i livelli di consumo e quindi di emissioni di CO2 – vanno differenziate ulteriormente, con diversi livelli di attenzione relativi a:
ibrido leggero (piccolo motore elettrico, senza spostamento da fermo in zero emissioni);
alimentazione a metano (che può diventare biometano);
alimentazione Gpl (con sempre minore contenuto di prodotti di raffinazione petrolifera);
ibrido pieno (motore elettrico di potenza paragonabile a quella del motore a combustione interna, con spostamento da fermo in zero emissioni e frequente funzionamento ZEV specialmente in città);
ibrido con la spina (come l’ibrido pieno ma con batterie ricaricabili dall’esterno e decine di chilometri di marcia continuativa in ZEV);
elettricopuro (soltanto ZEV a batterie o idrogeno).
Premio di vetustà
Il premio di vetustà riconosce un valore economico ad ogni anno di età dell’auto permutata o rottamata.
Si tratta di una misura semplice, che può eliminare dalla circolazione dei veri e propri mostri ambientali che costituiscono anche un pericolo evidente sulla strada se si guarda alle statistiche sull’incidentalità e la sicurezza.
Be Charge conferma il piano di sviluppo da 150 milioni di euro nell’infrastruttura di ricarica in Italia.
L’emergenza Coronavirus e il conseguente lockdown imposto da Governo e Regioni, che ha visto un blocco totale di circa cinquanta giorni, ha provocato pesanti danni al settore automotive senza però riuscire a scoraggiare il processo di elettrificazione dell’intero comparto.
A partire dalle aziende che si occupano della mobilità a zero emissioni e che hanno continuato a studiare e mettere a punto i progetti infrastrutturali avviati nella fase pre-Covid19.
Un esempio su tutti quello dell’azienda Be Charge che è andato avanti con il piede sull’acceleratore, per proseguire il suo programma ambizioso di elettrificazione della Penisola, a partire proprio dalla fine del lockdown lo scorso 4 maggio.
Centocinquanta milioni nei prossimi tre anni
Centocinquanta milioni di euro per i prossimi 3-5 anni: questo l’investimento messo a punto dall’azienda.
Sono già oltre 3.500 i punti di ricarica Be Charge operativi sul territorio italiano e altri 4.000 sono in fase avanzata di sviluppo per realizzare uno dei maggiori e più capillari network di infrastrutture di ricarica pubblica per veicoli elettrici in Italia.
«Ad oggi contiamo 1.500 punti di ricarica installati (quasi 800 colonnine) di cui una buona parte attualmente in fase di attivazione (attività sotto il controllo dei distributori locali di energia elettrica) vantando una diffusione ed una capillarità unica sul territorio nazionale – dice Paolo Martini, ceo di Be Charge – . La messa a terra di altri 2.000 punti di ricarica (già contrattualizzati) è attualmente “work in progress” ed oltre 4.000 punti di ricarica sono in fase avanzata di sviluppo per un piano complessivo di medio termine di 30.000 punti di ricarica».
L’auto elettrica è una risorsa
Insomma, la mobilità elettrica sta piano piano prendendo piede anche nel nostro Paese.
Anche e soprattutto per una serie di motivazioni che spingono le persone a non vivere più come un limite l’auto con la spina. A partire dal costo delle batterie che ormai è in rapida discesa: si è passati dai mille dollari per kWh del 2010 agli attuali circa 180 dollari per kWh con una proiezione a meno di 109 dollari per kWh nel 2025 e 73 dollari per kWh neo 2030 (fonte Morgan Stanley su dati del Politecnico di Monaco).
Ecco quindi il motto: ansia da ricarica addio.
La capacità produttiva di batterie sta velocemente crescendo da 103 GWh del 2017 a 271 GWh del 2021. I costi di produzione di vetture elettriche a batterie, inoltre, sta precipitando.
Se nel 2017, ad esempio, il costo delle batterie da 50 kWh per un’auto elettrica incidevano per circa il 35% sul costo totale di produzione, si prevede che nel 2025 il peso economico di questa componente possa scendere sotto il 25%.
Contestualmente il costo totale di produzione delle auto elettriche si ridurrà del 15% circa, rendendole economicamente più convenienti rispetto a vetture a benzina, Diesel o ibride.
Il quadro normativo punta ormai chiaramente alla riduzione delle emissioni di CO2, con la soglia di 59 g/km di CO2 emessi dall’intera flotta di vetture vendute nel 2030.
Anche in caso di slittamenti per via della crisi sanitaria, la strada verso la riduzione delle emissioni climalteranti è chiara e sarà raggiungibile soltanto attraverso la vendita di un sempre crescente numero di auto elettriche a batterie.
Il mercato dei veicoli a zero emissioni
Il mercato dei veicoli elettrici sta velocemente crescendo trasformandosi da un contesto di nicchia ad un mercato di massa. Le auto elettriche circolanti in tutto il mondo a fine 2019 erano circa 5 milioni, ma già entro la fine di quest’anno si stima una crescita che porterà almeno al raddoppio: da 9 a 20 milioni.
Nel 2025 si stimano 40-70 milioni veicoli elettrici circolanti, fino a raggiungere i 500 milioni nel 2050. (secondo i dati diffusi da The Electric Vehicle Outlook 2019 by Bloomberg New Energy Finance BNEF).
La crescita del mercato dei veicoli elettrici a batteria è in pieno sviluppo anche in Italia con oltre 48.000 vetture già vendute e circolanti ad inizio 2020 e 4-6 milioni previste entro dieci anni.
Di pari passo cresce la rete dei punti di ricarica che a inizio 2020 contava già 7.000 stazioni di ricarica con una previsione di oltre 45.000 per il 2030.
La crisi sanitaria e il ruolo dell’infrastruttura
La recente crisi sanitaria ha sicuramente impattato sul comparto come sul resto dell’economia, ma si stima che il minor utilizzo di mezzi pubblici porterà ad una maggiore diffusione del car sharing elettrico, così come la minor propensione ai viaggi al di fuori dei confini nazionali porterà alla riscoperta delle bellezze del nostro Paese attraverso una mobilità dolce, probabilmente elettrica.
L’accresciuta attenzione collettiva alle problematiche ambientali indurrà probabilmente a comportamenti dei consumatori maggiormente consapevoli e quindi ad una maggiore propensione all’acquisto di vetture elettriche ed elettrificate.
Il ruolo dell’infrastruttura pubblica nel nostro Paese risulta determinante per via della scarsità di posti auto privati disponibili per la moltitudine di cittadini che abita in condominii.
Soltanto con investimenti sostanziali per l’ampliamento delle infrastrutture pubbliche di ricarica su tutto il territorio sarà possibile garantire una graduale transizione verso l’elettrificazione. Investimenti che peraltro non incidono sul debito pubblico perché interamente a carico dei privati titolari dei punti di ricarica.
Considerando un parco circolante di oltre 40 milioni di autovetture (oltre 660 ogni mille abitanti) l’Italia è uno dei Paesi a più alto tasso di motorizzazione al mondo e con una popolazione di oltre 60 milioni di abitanti (la quarta per estensione nell’UE), lavorare all’infrastruttura pubblica significa anche democratizzare l’accesso alla mobilità elettrica.
Coronavirus e futuro dell’auto, chi deve decidere si trova davanti a un bivio.
Si può continuare a investire, pensando a un mercato ad elettrificazione dell’auto crescente, oppure fermarsi. E puntare sulle tecnologie tradizionali.
Guardare davanti, oppure indietro
Non ci sono vie di mezzo, visto che certamente le risorse economiche a disposizione saranno limitate. Si può guardare avanti, oppure rivolgere la propria attenzione all’indietro.
Cosa insegna la storia
Chi ha voglia di guardare al passato, farebbe bene a riflettere su ciò che ci insegna la storia.
L’uscita dalle grandi crisi del passato è sempre stata accompagnata dalla diffusione di nuove tecnologie.
Il passato, dal punto di vista tecnologico, non ha mai vinto. Anzi, chi ha deciso di rimanere legato alla tradizione ha ben presto dovuto salutare il mercato, che dopo possibili e comunque limitate soddisfazioni iniziali, gli ha definitivamente voltato le spalle.
Ecco i grandi episodi di crisi che hanno caratterizzato la nostra storia recente e i salti tecnologici che li hanno seguiti, con particolare attenzione all’automobile.
Per capire cosa ci riservi per il futuro il rapporto tra Coronavirus e futuro dell’auto è molto utile analizzarli uno ad uno.
1929 – Grande depressione USA
La crisi americana del 1929 è ricordata ancora oggi come una delle più terribili, soprattutto per gli effetti devastanti in termini di disoccupazione.
L’uscita da quella crisi è accompagnata dalla diffusione di tre grandi innovazioni basate su tecnologie esistenti anche prima, ma che devono proprio alla rinascita economica la loro crescita decisiva.
Il primo grande salto tecnologico degli anni Trenta riguarda il cinema, con l’arrivo del cinema sonoro e riflessi decisivi nell’evoluzione sociale ed economica.
L’altra innovazione la cui diffusione è importantissima e veloce è quella della radio.
Il salto tecnologico che riguarda l’automobile in questo periodo è a dir poco incredibile e riguarda praticamente tutti i componenti. La carrozzeria viene sviluppata come elemento progettuale e arriva ad essere integrata al telaio, il sistema di avviamento del motore diventa automatico.
L’auto, nelle sue migliori realizzazioni sulle due sponde dell’Oceano Atlantico, assume sembianze e contenuti simili a quelli attuali.
1946 – Seconda Guerra Mondiale
La seconda guerra mondiale è certamente la più grande tragedia nella storia dell’uomo. Quello che rimane in Europa, larghe parti dell’Asia, Africa e anche economicamente negli Stati Uniti – provati dallo sforzo speso per sostenere il conflitto – è poco più che distruzione.
Eppure la velocità di crescita e diffusione delle innovazioni nel dopoguerra è impressionante. Non c’è settore nel quale la ripresa economica si sia poggiata su tecnologie pre-esistenti.
La grande diffusione dell’aviazione civile nel dopoguerra è inarrestabile e sovrasta economicamente, fino a travolgerla in pochi anni la navigazione transatlantica.
L’altra grande innovazione del dopoguerra è senz’altro la televisione. In questo caso la radio non viene travolta ma affiancata, con un ruolo però ben diverso (anche dal punto di vista economico) rispetto al periodo precedente rispetto all’arrivo della nuova scatola che porta le immagini in tutte le case.
Anche in questo periodo, l’automobile è protagonista dell’evoluzione tecnologica. La novità del dopoguerra per l’auto riguarda tutti i componenti principali, dalle sospensioni, al cambio, alla carrozzeria integrata al telaio, all’utilizzo dell’acciaio che rimpiazza definitivamente il legno.
Aumenta enormemente la capacità produttive e la diffusione di mercato. L’auto non è più uno strumento di trasporto d’élite ma diventa un prodotto di massa.
.
1973 – Crisi petrolifera
La crisi petrolifera porta agli occhi del mondo il fatto che il petrolio sia una risorsa con riserve limitate e concentrazione della produzione in poche aree geografiche. L’impatto sulle famiglie, soprattutto in Europa, è significativo.
I principali effetti tecnologici in ambito energetico e industriale riguardano l’evoluzione degli impianti e l’inizio della diffusione del gas naturale, destinato a guadagnare nei successivi decenni grandi spazi di mercato.
L’automobile diventa attenta ai consumi e si evolve notevolmente nelle motorizzazioni. Nascono i modelli che introducono l’auto compatta come la intendiamo oggi e nuovi motori maggiormente efficienti. Vede la luce il concetto di “downsizing” – anche se non è ancora chiamato così.
Nel giro di qualche anno sono introdotte innovazioni poi lasciate per qualche anno da parte ma oggi ampiamente adottate, come il sistema stop-and-start per arrestare il motore nelle soste.
Nascono nuove linee estetiche figlie dell’aerodinamica, arrivano a bordo autoradio estraibili, impianti stereo con mangiacassette, alzacristalli elettrici, chiusura centralizzata e sistemi di climatizzazione.
2008 – Crisi finanziaria Lehman Brothers
La grande crisi finanziaria mette in ginocchio interi comparti ed è particolarmente feroce con le piccole e medie aziende poco schermate rispetto alla difficoltà di reperire finanziamenti.
L’innovazione che con la sua diffusione, nel periodo di uscita dalla crisi, cambia profondamente costumi e abitudini è lo smartphone.
Esplode il fenomeno iPhone, muore il vecchio concetto di telefonia cellulare. Le vittime illustri e imprevedibili della diffusione di un’innovazione sotto-considerata (lo schermo tattile, detto anche touch screen) sono addirittura l’apparentemente inarrivabile Nokia e la Motorola.
Il grande fenomeno è l’accesso globale a Internet attraverso i motoridi ricerca e i social media, nonché l’esplosione della fruizione di contenuti e degli acquisti online.
Google, Facebook, Amazon, Netflix, Alibaba sono i grandi vincitori, esistevano già prima della crisi ma è dopo il 2008 che arrivano ad essere dei veri dominatori.
L’automobile acquista nuove funzionalità, arrivando ad avere una sempre maggiore connettività e una capacità di assistenza alla guida molto vicina alla guida autonoma in determinate condizioni di marcia.
Si diffonde in tutte le principali città del mondo il car-sharing e, soprattutto negli Usa, la vendita di corse a pagamento da parte di normali automobilisti attraverso Uber apre un inedito settore di attività.
Si diffondono le batterie al litio che aprono nuove prospettive al mercato dell’elettronica di consumo e arrivano fino all’automobile.
Crescono in tutto il mondo le energie rinnovabili, mentre prende forza la convinzione che è reale l’esigenza di ridurre le emissioni di CO2 per contrastare l’emergenza climatica.
L’auto Diesel, tecnologia dominante in Europa fino al 2015, perde quote di mercato nonostante le basse emissioni di CO2. Il processo di elettrificazione coinvolge tutti i marchi.
2020 – Pandemia di Coronavirus
Non è ancora chiara la reale dimensione della crisi economica dopo la pandemia, che sarà però purtroppo sicuramente enorme e molto profonda.
L’emergenza da Covid-19 è in ancora nel vivo e non ci sono certezze sulla sua durata, né sugli effetti che sarà in grado di provocare praticamente in tutto il mondo. La particolarità della crisi, comunque, è sicuramente la sua globalità, visto che non c’è angolo produttivo del pianeta che ne risulti immune.
Una caratteristica prevedibile, e per molti versi auspicabile, dello scenario socio-economico-ambientale del dopo emergenza è l’attenzione alle realtà locali.
Tra le tecnologie più adatte a una diffusione nella condizione di crisi e al successivo ruolo da protagonista nel rilancio economico, c’è la produzione diffusa di energia. Le fonti rinnovabili di energia con impianti di piccola e media taglia gestiti localmente possono essere il polmone della ripresa.
Questa soluzione garantisce impatto ambientale molto limitato, creazione di posti di lavoro con necessità di investimento contenute, riparo dai rischi della globalizzazione ma accesso alle opportunità offerte da un mondo che rimarrà comunque globale.
L’altro grande filone, già in decollo negli ultimi anni e che probabilmente sarà ancora più appropriato allo scenario futuro, è quello del Biologico. Dal cibo bio, alla cosmesi, alla nuova chimica che può sostituire in lungo e largo i tradizionali prodotti di derivazione petrolifera.
È destinata a prendere forma anche la Personal smart technology, la tecnologia di intelligenza artificiale applicata all’individuo che va dagli organi artificiali di prossima generazione, alle nanotecnologie, alla robotica personale (domestica e in ambiente di lavoro). Qualcosa si è già visto ma il grosso deve ancora arrivare ed è probabilmente oggi addirittura al di fuori della nostra immaginazione.
Per quanto riguarda il rapporto tra Coronavirus e futuro dell’auto, la prima cosa da dire è che l’automobile è candidata a rimanere saldamente protagonista dei processi di innovazione dei prossimi decenni.
Si integra perfettamente nel mondo ancora più connesso che ci accompagnerà nella futura Globalità e in numerosi servizi che potranno essere offerti attraverso di lei oppure al suo interno. Tutto questo mentre diventa sempre più robotica nelle funzioni e biologica nei materiali, adattandosi quindi anche alle altre tendenze del futuro.
L’elettrificazione dell’auto è destinata a proseguire, a breve termine con la sempre maggiore presenza a bordo di motori elettrici e batterie, quindi con la crescita e la diffusione della trazione puramente elettrica a batterie.
Con un ruolo per l’idrogeno ancora da costruire ma molto probabile, vista la prevedibile diffusione della produzione diffusa di energia da fonti rinnovabili che potrebbe aiutarne la crescita in campo stazionario. E della diffusione della trazione a zero emissioni anche nel campo dei camion.
Coronavirus e inquinamento, arrivano i primi risultati sperimentali relativi al legame tra Coronavirus e particolato atmosferico PM10.
Virus sul particolato
Il presidente della SIMA – Società Italiana di Medicina Ambientale, Alessandro Miani (ricercatore presso l’Università degli Studi di Milano, dove insegna Prevenzione ambientale), conferma il ritrovamento di tracce di RNA di SARS-Cov2 su particolato atmosferico.
La presenza del Coronavirus sul particolato è stata riscontrata da analisi eseguite su 34 campioni di PM10 in aria ambientale di siti industriali della provincia di Bergamo.
Campioni d’aria raccolti tra febbraio e marzo
Spiega Leonardo Setti (ricercatore della Facoltà di Chimica Industriale dell’Università di Bologna, dove insegna Biochimica industriale): “I campioni sono stati raccolti con due diversi campionatori d’aria per un periodo continuativo di 3 settimane, dal 21 febbraio al 13 marzo 2020”.
I campioni, analizzati dall’Università di Trieste in collaborazione con l’azienda ospedaliera Giuliano Isontina, dimostrano la presenza del virus in almeno 8 delle 22 giornate prese in esame.
I risultati positivi sono confermati da 12 diversi campioni per tutti e tre i marcatori molecolari: gene E, gene N e gene RdRP. Il gene RdRP è ritenuto altamente specifico per la presenza dell’RNA virale SARS-CoV2.
Struttura del SARS-CoV2 – credit: https://www.scientificanimations.com/wiki-images/
Il gruppo di ricerca ritiene quindi di aver ragionevolmente dimostrato la presenza di RNA virale del SARS-CoV-2 sul particolato atmosferico. Questo perchè è stata rilevata la presenza di geni altamente specifici, utilizzati come marcatori molecolari del virus, in due analisi genetiche parallele.
Gruppo di ricerca
Il gruppo di ricerca comprende, oltre ad Alessandro Miani e Leonardo Setti, anche Gianluigi De Gennaro (professore associato dell’Università di Bari, dove insegna Chimica dell’ambiente).
I risultati anticipati sulle nuove evidenze del rapporto tra Coronavirus e inquinamento non risultano ancora pubblicati su una rivista scientifica, quindi metodi e conclusioni non sono verificate dalla necessaria revisione tra pari che – una volta effettuata – permetterà di ritenerli scientificamente validi e sottoposti all’attenzione e alla validazione, nella successiva attività, da parte della comunità scientifica.
Non è provato che possa infettare
I risultati ottenuti dimostrano quindi la presenza di tracce di RNA del virus, non del Coronavirus intatto e certamente in grado di penetrare e svilupparsi nell’organismo umano.
Il virus, quindi, viene trasportato dal particolato ma non è ancora dimostrato che in queste condizioni si mantenga attivo o abbia una carica virale sufficiente per infettare delle persone e diffondere la malattia.
Marcatore ambientale
Il particolato potrebbe – secondo il gruppo di ricerca della SIMA – diventare un indicatore per approfondire la ricerca di casi della malattia nella zona dove ne vengono rilevate tracce. Questo in parallelo con l’analisi delle acque di scarico, altro elemento nel quale sono state trovate tracce del virus in diverse località interessate dalla pandemia.
L’individuazione del virus sulle polveri potrebbe essere anche un buon marcatore ambientale per verificarne la diffusione negli ambienti interni di ospedali, uffici e altri locali frequentati da un numero elevato di persone.
Attenti alle emissioni
Dagli autori della ricerca, arriva un invito che suona come un monito anti-inquinamento.
Occorre che si tenga conto nella cosiddetta Fase 2 della necessità di mantenere basse le emissioni di particolato per non rischiare di favorire la potenziale diffusione del virus.
Il presidente della SIMA, Alessandro Miani, conferma che la ricerca va avanti e c’è la volontà di arrivare a capire se tra Coronavirus e inquinamento ci sia un rapporto anche relativamente alla diffusione della malattia.
“Siamo in stretto contatto con l’Organizzazione Mondiale della Sanità e con la Commissione Europea – afferma Miani – e sono in corso ulteriori studi di conferma di queste prime prove sulla possibilità di considerare il PM come vettore di nuclei contenenti goccioline virali. Le ricerche dovranno arrivare a valutare la vitalità e soprattutto la virulenza del SARS-CoV-2 trasportato dal particolato”.
Non è piacevole scoprirlo perchè ci troviamo nel pieno dell’emergenza Coronavirus, ma l’auto anti-contagio è elettrica.
Il dato di fatto è che il minor numero di contatti personali, per andare da casa al supermercato, si può avere proprio con una vettura a batterie.
Elettrica pura, oppure ibrida Plug-in
La cosa vale sia per l’elettrica pura, sia per l’ibrida plug-in. Ogni auto che possa fare il pieno di elettricità nel garage di casa e percorrere poi la manciata di chilometri che ci separa dalla destinazione, fa evitare qualsiasi tipo di contatto con estranei e infrastrutture tra origine e destinazione. E’ quindi la più sicura. Per noi e per gli altri.
Benzinaio e colonnina di ricarica
Meno soste significano infatti meno incontri, quindi un minore rischio.
Il fatto di poter evitare punti di rifornimento aperti al pubblico, inoltre, permette di evitare di toccare erogatori maneggiati anche da altri. Ovviamente i guanti usa e getta aiutano in quel caso, ma il rischio di toccare qualcosa senza adeguata protezione c’è comunque.
Colonnina per ricarica standard o ricarica veloce
Anche le colonnine di ricarica pubbliche comportano un rischio di questo genere.
Ricarica standard
Il rischio è però decisamente inferiore, rispetto all’erogazione presso una pompa di benzina, nel caso di ricarica standard. Il cavo, infatti, è quello dell’auto. Sbloccando la ricarica con una card o la classica app, possono non esserci contatti tra la mano di chi ricarica e l’infrastruttura.
Ricarica veloce
Diverso è il caso della ricarica veloce. Tanto desiderata, nella maggior parte dei casi anche più costosa rispetto a quella lenta, ma legata all’utilizzo del cavo fisso. Molto simile alla pompa di benzina, quindi. Con l’aggravante – in questo caso – che di solito non ci sono guanti usa e getta messi a disposizione dal gestore.
Buona norma, anche in tempo di normalità, è averne di propri.
Ricarica domestica
Il vero segreto dell’auto elettrica anti-contagio è nella ricarica domestica che, a maggior ragione in tempo di Coronavirus, diventa la modalità di rifornimento preferita da ogni utilizzatore .
La comodità della ricarica a casa non è una scoperta di oggi. Chiunque guidi o abbia valutato l’acquisto di un’auto a batteria sa molto bene che nell’uso quotidiano è proprio questo il modo più comodo e meno costoso di approvvigionarsi di energia dalla rete.
Però quella caratteristica, così poco osservata fino ad oggi, di consentire di uscire di casa con le batterie cariche e di rientrare a casa senza doversi mai fermare per fare il pieno in una stazione di servizio balza prepotentemente agli occhi.
Nel momento in cui fermarsi o fare tappe intermedie diventa addirittura un rischio per se stessi e per gli altri, è un grosso vantaggio.
Vantaggio anche per le altre ibride
Se l’elettrica è anti-contagio, osservando con sguardo attento all’economia delle soste i vari tipi di auto in circolazione, va detto che anche le altre vetture ibride offrono un vantaggio.
In modo particolare le Full Hybrid, garantendo consumi sensibilmente inferiori – quindi percorrenze più alte – per ogni litro di combutibile, sono certamente da ritenersi auto a minor rischio di contagio nel corso dell’utilizzo.
Bene anche il Diesel
Il maggiore tasso di anti-contagio non riguarda solo l’elettrico. Le lunghissime percorrenze offerte con un pieno rimettono in gioco prepotentemente anche le auto a gasolio.
Un’auto Diesel, a parità di dimensioni e prestazioni, ha consumi chilometrici più bassi di un’auto a benzina non elettrificata.
Quindi, grazie al pieno fatto in un’unica sosta dal benzinaio, si può avere un’autonomia di più giorni senza doversi di nuovo fermare e, anche in questo caso, il rischio contagio si abbassa.
Coronavirus e crisi economica sono ormai un tutt’uno. Questa constatazione porta parecchi osservatori a ipotizzare un rallentamento nel processo di elettrificazione dell’auto.
L’equazione
L’equazione presentata da molti relativamente al rapporto tra Coronavirus, crisi economica ed elettrificazione è semplice, quasi banale. L’auto elettrificata costa di più dell’auto con tecnologia convenzionale.
Inoltre, se si tratta di un’auto con tecnologia ibrida plug-in, oppure esclusivamente elettrica a batterie, i sistemi di ricarica richiedono anche investimenti importanti in nuove infrastrutture.
Quindi, l’auto della nuova specie nel difficile scenario economico dei prossimi anni sarà completamente fuori mercato.
Gli indizi
Il primo indizio citato a supporto di questa tesi così elementare è il crollo senza precedenti del mercato dell’auto in tutti i paesi interessati dalla pandemia di Covid-19. Nessuno ha voglia di auto mentre fa la guerra al virus, figuriamoci se si complica la vita andando a cercare nuove soluzioni.
Il secondo indizio, terribilmente efficace, è la caduta del giro d’affari in quasi tutti i settori dell’economia. Con conseguente perdita di posti di lavoro e di potere d’acquisto. Pochi soldi in giro, uguale poco interesse per tecnologie elettrificate e più costose.
Il terzo indizio è relativo all’enorme necessità di denaro per tamponare con interventi pubblici la caduta del mercato, i fermi produttivi e gli adattamenti necessari nella fase – che si prevede lunga – del distanziamento sociale e della grande attenzione comportamentale per impedire la ripresa dell’epidemia.
Se il denaro serve per far sopravvivere interi settori produttivi, non può essere indirizzato verso gli investimenti sulle infrastrutture necessarie alla diffusione delle auto elettrificate ricaricabili.
L’errore
Chi immagina un ritorno da protagonista di un’auto retrograda sul mercato dell’auto, invece, si sbaglia di grosso.
Nel crollo dei mercati dell’auto in tutta Europa, accanto agli evidenti e pesanti “segni meno” relativi alle vendite globali e a quasi tutte le categorie di veicolo, c’è un solo “segno più” e riguarda proprio le auto elettriche ed elettrificate con tecnologia ibrida Full-Hybrid e Plug-in Hybrid.
Segno più sui principali mercati
Secondo i dati ACEA e UNRAE, a marzo 2020 si registra –85% dell’Italia, con l’insieme dei 5 Major Markets a -56% (Germania, Italia, Francia, Regno Unito, Spagna).
In Germania, Regno Unito e Francia, però, crescono a tassi a doppia e anche tripla cifra le immatricolazioni di elettriche plug- in ed elettriche pure (queste ultime anche in Italia), con quote di mercato complessive mai viste prima, tra il 7% del Regno Unito e il 12% della Francia, con il 9% in Germania
Germania
Auto ibride al 12,5% di quota (+62%), con le ibride plug-in che registrano un +208%. Mentre le auto elettriche fanno segnare +56%.
Francia
Ottimo risultato dei veicoli ibridi (+47%), con un +140% delle ibride plug-in (che sono al 2,6% di quota). Le ibride nel complesso raggiungono quasi l’11% del mercato complessivo (+6 punti percentuali). Le auto elettriche segnano una crescita del 145% e arrivano al 7,1% di quota
Regno Unito
Le auto elettriche triplicano quasi le immatricolazioni con un +197% e balzano in avanti nella quota passando dallo 0,9% al 4,6%. Le auto ibride plug-in fanno registrare un +38%.
I pochi soldi che ci saranno durante la crisi economica che ci aspetta, quindi, saranno spesi con grande parsimonia. Si tratterà più di investimenti, per le singole famiglie e imprese, che di spesa intesa come semplice costo. Investire dei soldi, significa guardare a tecnologie che promettono di durare nel tempo, non a tecnologie obsolete – per quanto convenienti.
Il mercato del futuro
Il mercato dell’auto nei prossimi anni sarà caratterizzato da numeri certamente e sostanziosamente inferiori rispetto agli anni pre-Coronavirus, come prevedono tutti gli operatori del settore. All’interno di quei numeri, però, le tecnologie elettrificate aumenteranno il loro peso relativo
Non solo, perchè cresceranno anche in termini assoluti andando a costituire la vera e solida ossatura sulla quale crescerà il mercato dell’auto del futuro.
Investimenti strategici
Anche la questione degli investimenti pubblici e dell’indirizzo da parte della mano pubblica dei grandi investimenti privati in una lettura legata a Coronavirus, crisi economica ed elettrificazione è tutt’altro che ostativa.
La rinascita economica si basa sulle grandi opere, che intese in forma moderna non sono soltanto ponti, autostrade, stadi o roba simile. Le grandi opere del presente e del futuro sono nell’infrastruttura di servizio al bene comune.
Certamente l’istruzione, la ricerca e la sanità come ci insegna con ferocia l’esperienza Coronavirus. Io faccio parte di questo mondo (istruzione e ricerca) e spero che finalmente sia una visione condivisa la necessità di investire sull’educazione e l’innovazione per il nostro futuro.
Ma anche grandi reti, come quella delle telecomunicazioni, dell’energia e – in modo specifico – dell’elettricità intelligente.
L’auto che si ricarica dalla presa elettrica fa parte di almeno due di queste reti strategiche per il futuro di ogni società: la rete delle telecomunicazioni e quella dell’elettricità.
Gli investimenti per evolvere queste due reti continueranno e – auspicabilmente – aumenteranno nel prossimo futuro. Proprio per farci uscire dalla crisi nella quale un virus globale ci ha cacciati.
Questione ambientale
Un ulteriore elemento che in troppi sembrano aver dimenticato, è che all’uscita dal tunnel ci aspettano gli stessi problemi ambientali di prima.
Le emissioni si sono ridotte momentaneamente con il fermo generalizzato e planetario di moltissime attività. Ma il cambiamento climatico è un nemico che ci aspetta rabbioso, non è stato ancora né affrontato, né tantomeno sconfitto.
Coronavirus e crisi economica non ci potranno esimere dal doverlo affrontare e l’elettrificazione nel settore dell’auto è uno dei principali strumenti a nostra disposizione. Non la potremo abbandonare.
Insieme all’esperienza del Coronavirus, la questione ambientale sarà l’altro grande elemento che disegnerà il nostro futuro.
C’è poi l’aspetto psicologico a chiarire ulteriormente il quadro nel rapporto tra Coronavirus, crisi economica ed elettrificazione.
Non si esce da una crisi guardando al passato, ma rivolgendo l’attenzione completamente al futuro. Non c’è grande crisi della nostra storia che si sia conclusa con mercati caratterizzati da tecnologie obsolete.
Al contrario, all’uscita dal tunnel si ha addirittura voglia di salti in avanti dal punto di vista tecnologico.
L’arrivo su larga scala e con u peso importante – relativamente al totale del mercato – delle tecnologie di trazione auto altamente elettrificate (Full Hybrid, Plug-in Hybrid, Elettrico puro a batterie e, perchè no, a idrogeno) può essere addirittura accelerato della crisi economica che ci attende.
Si venderanno meno auto, questo è sicuro, ma quelle che si venderanno saranno maggiormente elettrificate.
La mobilità della Fase 2, quella del post lockdown sarà caotica. E questo è facilmente prevedibile.
Per alcuni mesi i mezzi pubblici non potranno offrire la massima capienza possibile perché sarà fondamentale garantire il distanzamento sociale antivirale. E questo significa code per prendere la metro o salire su un treno per pendolari.
Molte auto su strada
Una situazione che, inevitabilmente, spingerà molti a usare l’auto propria in massa. Facile immaginare che il sistema viario di una città come Milano o Roma andrà totalmente in tilt.
E con tale prospettiva sarebbe logico attuare iniziative per fluidifucare il traffico, anche tramite strumenti tecnologici come semafori intelligenti e incroci smart.
Emissioni e smog
Più traffico vuol dire più emissioni e smog. E non è più il momento di giocare alla “mobilità nuova”, di restingere carreggiate, fare imbuti per creare intoppi alle auto e costruire ciclabili larghe come autostrade.
Con l’emergenza traffico che si verrà a creare non si può immaginare di vedere nuove iniziative di traffic calming o, come si è sentito in questi giorni, di avviare lavori per nuove ciclabili al fine di favorire e sostenere la bicicletta come veicolo primario della fase 2.
La soluzione non è la bici
Diciamolo una volta per tutte. La bici è un bellissimo modo per muoversi ma ha grandi limiti: non si possono percorre grandi distanze, fare la spesa, portare i figli a scuola. Inoltre, il fattore meteo la penalizza e di certo non è una soluzione per i pendolari o per attraversare un’intera città come Milano.
Chi è allenato e ha voglia di farlo si accomodi pure in sella, ma non è il momento di sostenere azioni lobbistiche di ciclofanatici per i quali le due ruote a pedali sono un feticio totemico.
Nel post covid-19 ci dovremo muovere tutti al meglio, sarà difficile ed è il momento per le amministrazioni locali di fare scelte intelletualmente oneste e intelligenti.
Ztl e guerra al Diesel
Sarebbe anche il caso di eliminare Ztl, come la famigerata Area B di Milano, un giochetto che serve a rimpiguare le casse comunali, ma che non migliora sostanzialmente la qualità dell’aria.
Sono in molti che avranno bisogno di usare l’auto, non si può pensare più di fermare le diesel Euro 4 e procedere nella roadmap della insensata guerra all’automibile e della lotta al diesel.
Serve una moratoria, anche perché la crisi economica difficilmente potrà agevolare acquisti di auto nuove.
Un occhio di riguardo per il buon usato
Meglio dunque favorire l’usato più fresco in modo da far demolire magari le vecchie euro 3 diesel e far circolare le ben più pulite euro 5.
Tuttavia dagli amminstratori locali, come quelli romani, che riuscirono a bloccare la circolazione delle Euro 6, anche di quelle appena immatricolate, non ci aspettiamo nulla di buono.
Dai mitici impianti della Ferrari a Maranello escono valvole per respiratori. Un componente apparentemente semplice e mai realizzato in un reparto dove si costruiscono di solito prototipi di auto da sogno.
Proprio la nobiltà dei prodotti che solitamente abitano quei padiglioni, conosciuti e desiderati in tutto il mondo, ben rappresenta l’unità di intenti con cui l’Italia affronta l’emergenza.
Missione compiuta
La Ferrari ha portato a compimento in tempi record la sua missione a sostegno dell’assistenza sanitaria ai malati di Covid-19.
Dallo stabilimento di Maranello escono valvole per respiratori polmonari e raccordi per maschere di protezione.
I grandi produttori confermano così l’impegno preso in vari posti del mondo di mettere a disposizione la loro capacità progettuale e di fabbricazione nella battaglia contro il terribile virus.
I componenti sono rigorosamente e orgogliosamente marchiati col Cavallino rampante.
Si tratta di componenti termoplastici prodotti con la tecnologia della manifattura additiva in un luogo simbolico per qualsiasi appassionato di auto.
Le valvole vengono prodotte a partire da disegni tridimensionali nel reparto dove abitualmente si costruiscono i prototipi delle vetture.
Maschere da sub
Alcune delle valvole prodotte sono state sviluppate dalla Mares, noto marchio di attrezzatura subacquea, per poter essere accoppiate alle maschere e creare così dispositivi d’emergenza utili per la respirazione assistita.
La Nuovamacut Gruppo TeamSystem segue la logistica e ha facilitato la ricerca delle ulteriori aziende che hanno contribuito al successo del progetto.
Specifici raccordi termoplastici sono destinati alla Solid Energy, che li impiega per la trasformazione delle maschere da snorkeling della Decathlon in attrezzature di protezione per il personale sanitario esposto al contagio.
Centinaia di pezzi per gli ospedali italiani
La Ferrari grazie alle valvole per respiratori prodotte, ha pianificato di realizzare diverse centinaia di dispositivi per la distribuzione ad aziende ospedaliere italiane con il coordinamento della Protezione Civile.
Tra gli ospedali coinvolti ci sono quelli di Bergamo, Genova, Modena e Sassuolo, oltre agli operatori sanitari della città di Medicina.
Coronavirus e 5G, nel Regno Unito è allarme rosso a causa di interpretazioni e teorie – alcune nuove, altre già note – che legano la terribile pandemia di Covid-19 alla rete di trasmissione dei dati per la telefonia mobile del prossimo decennio.
Da noi se ne parla ma con troppa superficialità. Mentre un’analisi puntuale dei fatti secondo me è opportuna.
Il primo argomento, che attira grande attenzione e un elevato allarme, riguarda una precisa azione negativa sulla salute umana: le onde elettromagnetiche emesse dai trasmettitori 5G danneggerebbero infatti direttamente il sistema immunitario.
Il 5G causerebbe quindi un indebolimento sostanziale delle nostre difese nei confronti del Coronavirus.
Il secondo argomento riguarda in fatto che l’elettromagnetismo causato dall’infrastruttura 5G possa favorire in modo decisivo la diffusione dei virus, quindi in particolare la veloce avanzata del Coronavirus.
Questo sulla base del fatto che l’elettromagnetismo può permettere o stimolare una forma di comunicazione tra microrganismi.
Partire dai fatti
Anche nel caso del legame tra Coronavirus e 5G, come riguardo al rapporto tra Coronavirus e inquinamento, è bene non cedere alla tentazione del sensazionalismo.
La regolafissa, per capirci qualcosa, è partire dai fatti. Quindi da ciò che è stato realmente osservato e analizzato dagli esperti.
Le abituali due semplici domande
Chi ha studiato cosa?
Cosa emerge realmente dagli studi di settore?
Azione del 5G sulla salute e sull’indebolimento delle difese immunitarie contro il Coronavirus.
Le onde elettromagnetiche possono essere pericolose e dannose per l’uomo e per l’ambiente. Questa è una verità di base, dalla quale è bene partire.
Tanto che precise normative ne regolano il livello di esposizione. E tutti ben conosciamo il pericolo di un’esposizione elevata ai raggi solari o ai raggi X, ai quali ci sottoponiamo per accertamenti medici soltanto quando è veramente necessario.
Decenni di esposizione alle onde elettromagnetiche, emesse da tutte le tecnologie elettriche ed elettroniche che ci circondano, dimostrano però che con la dovuta attenzione alla sicurezza e al controllo dei livelli di esposizione, il pericolo può essere evitato.
Le due particolarità della tecnologia 5G sono di:
lavorare su frequenze decisamente più elevate e vicine alle cosiddette millimetriche,
richiedere un numero elevato di infrastrutture di trasmissione del segnale, proprio per la caratteristica di questo tipo di onde di non avere un’elevata capacità di attraversamento degli ostacoli.
Gli studi reperibili in letteratura scientifica non dimostrano però la pericolosità delle onde da 5G.
Al contrario, l’opinione pressoché unanime degli scienziati appartenenti ai settori interessati, nonché delle istituzioni responsabili della tutela e dello studio sella salute pubblica è che i livelli di esposizione – nel rispetto delle normative esistenti – siano più che sicuri.
Andando a vedere le cose con estremo ma doveroso spirito critico, quello che emerge è però che di spazio per ulteriori ricerche ce ne sia in abbondanza.
Articolo sull’International Journal of Environmental Research and Public Health
La principale review (cioè la ricerca che prende in esame i risultati di ricerche precedenti e li organizza per estrarne le conclusioni prevalenti) è stata pubblicata dai due ricercatori svedesi Myrtill Simkò e Mats-Olof Mattsson sull’International Journal of Environmental Research and Public Health lo scorso mese di settembre.
L’IJERPH è della MDPI, che conosco molto bene visto che edita anche la rivista Energies; tra le case editrici Open Access (cioè che mettono a disposizione gratuitamente in Rete i contenuti pubblicati) è una delle più serie.
Le conclusioni parlano chiaro, non c’è evidenza di pericolosità specifica del 5G ma c’è evidente bisogno di un maggior numero di ricerche (in vitro e in vivo) e di modalità maggiormente comparabili nella redazione dei risultati.
Rapporto dell’ISDE – International Society of Doctors for Environment
L’ISDE – International Society of Doctors for Environment (Società internazionale dei medici per l’ambiente) ha dedicato lo scorso settembre un rapporto (che cita e indica riferimenti bibliografici ma non è di per sé una pubblicazione scientifica) all’argomento campi magnetici e in particolare al 5G.
Anche in questo caso – che rappresenta uno dei capisaldi di riferimento di più di un critico nei confronti del 5G, leggendo con attenzione quello che si invoca è il principio di precauzione. Non c’è l’evidenza di dati a riscontro della pericolosità.
La prima verità è che le onde elettromagnetiche possono essere pericolose – come già ben sappiamo – ma non c’è nessuna evidenza della pericolosità dell’infrastruttura 5G sulla salute umana. Né, tantomeno, della capacità di indebolire direttamente il sistema immunitario favorendo l’aggressione da parte del Coronavirus.
Per quanto riguarda in particolare gli effetti sull’uomo, le evidenze scientifiche sono relative all’aumento della temperatura superficiale, quindi dell’epidermide ed eventualmente degli occhi. Non ad azioni dirette sul sistema immunitario – come indicato in alcune ipotesi che vengono riportate.
Le onde radio con elevate frequenze possono quindi riscaldare il nostro corpo e, in modo indiretto, arrivare anche a indebolire il sistema immunitario. Secondo la maggior parte degli studi effettuati finora, però, potenze e frequenze utilizzate non riescono a danneggiare le cellule.
Emerge comunque chiaramente la necessità di ampliare la conoscenza. Le voci critiche che si muovono con strumenti scientificamente corretti hanno ragione su questo.
L’affascinante prospettiva dell’Internet delle cose e delle innumerevoli potenzialità della velocità di risposta del 5G in molti campi, compresi quelli dell’energia, dell’ambiente e della mobilità, unita a un nuovo settore d’affari capace di muovere migliaia di miliardi nel mondo devono essere uno stimolo alla maggiore attività di ricerca, non un freno.
Relazione tra 5G e capacità di diffusione del Coronavirus
Relativamente alla relazione Coronavirus e 5G, o meglio tra inquinamento elettromagnetico e capacità del virus di diffondersi, la situazione è apparentemente complicata ma mettendo in fila gli elementi a disposizione si arriva chiaramente a una conclusione.
Ci sono poche pubblicazioni relative alla capacità dei batteri di comunicare grazie a segnali elettromagnetici e sono anche molto controverse.
Non c’è traccia di pubblicazioni relative ai virus e alla loro presunta capacità di maggiore diffusione causata dalle onde elettromagnetiche. Ci sono delle ricostruzioni di parallelismi pseudo-storici che circolano soprattutto grazie a messaggi Whatsapp, forse all’origine addirittura costruiti con finalità umoristiche, ma nulla di più.
La questione dell’emissione di onde elettromagnetiche dal DNA dei batteri è invece rintracciabile in letteratura scientifica e ha una paternità molto importante.
Il primo a parlarne nel 2009 è il Premio Nobel per la medicina Luc Montagnier – virologo francese di fama mondiale, scopritore del virus HIV.
Un’altra pubblicazione che riguarda l’argomento ha autori, all’epoca appartenenti a strutture della Northeastern University di Boston e dell’Università di Perugia, che però non risulta abbiano più pubblicato nulla al riguardo.
Lo scienziato Montagnier ha iniziato però proprio con quella pubblicazione – che se confermata avrebbe avuto effetti incredibili sul mondo scientifico – un vero e proprio declino nella considerazione della sua comunità scientifica di appartenenza.
La seconda verità
La seconda verità è che la relazione tra onde magnetiche 5G e diffusione del Coronavirus non solo non è scientificamenteprovata, ma non è proprio mai stata nemmeno ipotizzata in lavori scientifici rintracciabili nelle principali banche dati.
I pochi e controversi lavori esistenti, oltre a non essere mai stati confermati da successive evidenze, sono relativi ai batteri e non ai virus.
Se il virus ha altre forme di diffusione rispetto a quelle aeree fin qui evidenziate e confermate, pertanto, queste sono tutte da rintracciare.
Commenti in evidenza